Il numero di febbraio di Altreconomia (l’informazione per agire) – acquistabile a Siena presso MondoMangione coop Via Pantaneto 96 oppure scaricabile online per 4.00 € – ha pubblicato un’inchiesta sull’Università secondo la quale «l’uso privatistico degli atenei è già realtà da molto tempo e la riforna Gelmini arriva a completare l’opera.» Di seguito si riportano i passi riguardanti l’Ateneo senese.
Stefano Zoja. Caccia agli immobili universitari. L’ex ospedale psichiatrico San Niccolò è una magnificente struttura, inaugurata a Siena nel 1818. Oggi fa parte del patrimonio di Fabrica Immobiliare, che l’ha acquistata nel 2009 dall’Università di Siena per 74 milioni di euro. Solo un anno prima nell’ateneo toscano era scoppiato il bubbone finanziario più grave dell’università italiana: un buco di bilancio di quasi 300 milioni di euro. Nel piano di risanamento della voragine contabile – che ancora oggi si sta allargando – si è decisa anche la vendita di alcuni gioielli di famiglia, come il San Niccolò e il Policlinico universitario Le Scotte, “svenduto per 108 milioni alla Regione Toscana, nonostante ne valga più o meno il doppio”, dice Giovanni Grasso, ordinario di Anatomia a Siena. Più corretto è apparso il prezzo di vendita del San Niccolò, che però è ora affittato alla stessa università per una cifra intorno ai 5 milioni annui. A riscuotere l’affitto c’è, appunto, Fabrica Immobiliare, una società di proprietà dell’Inpdap (l’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica), che vantava un credito colossale nei confronti dell’ateneo senese, e che ha tra i soci la Fincal dei Caltagirone e il Monte dei Paschi di Siena, che attraverso la sua Fondazione è un importante finanziatore dell’ateneo. La coerenza dell’investimento per Fabrica Immobiliare è data anche da uno dei fondi operativi di sua gestione, il “Fondo Aristotele”, consacrato agli investimenti immobiliari nei settori dell’università e della ricerca. A Siena è oggi in vendita anche la Certosa di Pontignano, uno splendido complesso a Nord della città, oggi centro congressi dell’università. Lo scorso 30 novembre è andata deserta un’asta che aveva come prezzo base 68 milioni. La quotazione dovrà scendere, forse avvicinandosi al valore indicato da uno studio che valuta l’immobile fra i 10 e i 21 milioni, redatto da Sansedoni spa. La società, i cui soci principali sono Fondazione e Banca Monte dei Paschi di Siena, ha realizzato all’inizio del 2009 uno studio di fattibilità sulle opportunità di valorizzazione della Certosa. “Incerte”, dicono, nonostante “l’unicità architettonica” dell’immobile. E Siena potrebbe essere solo l’inizio.
(…) Ad aggravare le difficoltà di sistema, c’è poi la gestione più che disinvolta di alcuni atenei. Nel 2008 è esploso il bubbone dell’università di Siena: un buco di bilancio di quasi 300 milioni, coperto fino ad allora con trucchi contabili. Una voragine dovuta in gran parte alle spese per il personale, gonfiate da assunzioni clientelari e dall’apertura di inutili sedi distaccate, fin dai lontani anni di rettorato dell’ex ministro Luigi Berlinguer e poi di Piero Tosi, ex presidente della Conferenza dei rettori (Crui). Ma Siena è stato un ateneo all’avanguardia anche nella sperimentazione di una cogestione pubblico-privata, con ben sei membri esterni nel consiglio d’amministrazione. Eppure “l’università è diventata un centro di potere per gli enti locali – spiega Giovanni Grasso, ordinario di Anatomia umana a Siena e animatore del blog “il senso della misura.com” –: “Regione, Provincia, Comune, Camera di commercio, ma anche Monte dei Paschi, che sedevano in Cda, hanno fatto i propri comodi”. Ed è anche per questa storia, divenuta emblematica, che la riforma Gelmini non è ritenuta una soluzione al rebus dell’università italiana, ma una possibile aggravante. Le norme sulla governance, che rendono obbligatoria la presenza di un minimo di tre membri esterni (ma non c’è un limite massimo) su undici nel Cda, istituzionalizzerebbero il sistema che ha reso possibile la catastrofe senese. Se a questo si aggiungono il vasto trasferimento di poteri dal Senato accademico al Cda, l’istituzione della figura del direttore generale (un vero e proprio manager, che sostituirà il vecchio direttore amministrativo) e le competenze “in campo gestionale” come requisito fondamentale per i membri esterni, si capisce perché la riforma, sia in senso sostanziale che formale, porti molti a temere un asservimento degli atenei a logiche privatistiche.
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Non è necessario il commissariamento. Occorre un serio piano di risanamento, portato alla visibilità di tutti e condiviso a larga maggioranza, se non all’unanimità.
Ma finché vi scannate per affermare che a Grosseto, Colle, Arezzo, etc, le sedi staccate sono inutili e dispendiose, senza peraltro premere queste sedi a diventare indipendenti e concorrenziali all’Università di Siena, Un si risolve nulla..
Secondo:
È finito un ciclo e non si ha il coraggio di ammetterlo. Grasso, mi spiace per Lei e i suoi amici, ma sta da troppi anni sostenendo una battaglia che non l’ha condotta da nessuna parte.
In questi anni ho sentito troppe volte inviti a farla Rettore, etc. quando in realtà chi scriveva era ben consapevole che così faceva un danno alla sua eventuale candidatura.
Chi si ricorda che ad Arezzo c’era la Facoltà di Magistero, orbene, potrà anche valutare da solo che ad Arezzo si tornerà ad avere quella seconda Facoltà di lettere che non chiuderà. Prima c’era il Magistero, oggi è rimasta sotto altro nome e forma. La vera anomalia sta in quelle sedi che non hanno mai avuto una sede universitaria neanche nelle epoche andate. L’anomalia si poteva “curare” laddove ci sarebbe stato un collegamento con l’industria ed il tessuto politico locale. Colle val d’elsa doveva essere una sede accademica per il rilancio dell’industria con cui si è resa famosa in questi anni e traghettare gli studenti nel mercato del lavoro e della produzione.
Inviterei gli storici locali a scrivere la storia degli ultimi anni dell’ateneo senese come la storia delle occasioni mancate e proprio durante il suo apogeo (1997-2007).
Ora, che si perdano sedi, pezzi, docenti, signori miei, fa parte della storia dell’umanità.
Un consiglio:
tentate di imporre giovani agli atenei con contratti di medio importo ed orari d’insegnamento non superiori a 40 ore.
L’unico modo di salvare questa università è mantenere il numero di iscrizioni, non vi aspettate nulla dallo stato o dai privati investitori.
Sicché bisognerebbe “premere” Follonica acciocché diventi indipendente e concorrenziale! Cominciamo col non confondere i congiuntivi con i condizionali.