Roberto Petracca. Hanno rubato la biada e, a meno di nuove dirompenti idee, vendendo immobili o mandando via le persone si può arrivare soltanto a chiudere i battenti dell’università. Il ministro Arpagone ha deciso che per proteggere le casse dello Stato è meglio rubare la biada al cavallo piuttosto che pascerlo per farlo lavorare proficuamente. Dato che essere avari per conto terzi appare improbabile, rimane il sospetto che si tratti di cialtroneria. Il quadretto assume tinte fosche se poi si aggiunge una ministra che scopre di essere rimasta senza fondi soltanto per un puro accidente durante un talk show televisivo.
Affinché non sia tutto nero occorrono nuovi comportamenti e nuove idee. C’è uno scossone in corso; le vecchie prassi non valgono più ed occorre cambiare registro, anche perché, con l’opposizione che abbiamo, mandare a casa questo governo appare un’impresa disperata. Oggi la Iervolino ha tirato fuori dai rifiuti la sua faccia e s’è palesata sui media per annunciare che le sue sfortune dipendono dal caballero, reo di guardarla in cagnesco. In un colpo solo centomila voti sono passati dall’opposizione alla maggioranza. Con questa opposizione l’Università dovrà quindi rassegnarsi ad essere amministrata da Arpagone per i prossimi quarant’anni; tanti quanti si dice che ne rimangano da vivere al caballero.
Negli anni a venire l’università sarà a corto di biada e trovare nuove vie per finanziarsi è quindi un imperativo.
Riccaboni ci starà pensando? O starà ancora aspettando l’improbabile ritorno di Pantalone? Se fossi in lui o in quelli come lui mi rassegnerei a mettere in moto le meningi. Comincerei a metter sù una task force in grado di capire perché il MIT, Berkeley, Cambridge, Stanford, Oxford, l’Imperial College, Harvard e Yale sono sempre in cima alle classifiche mondiali mentre per trovare l’Alma Mater o la Sapienza occorre scollinare di molto il centesimo posto.
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Sì, ma il problema, avrebbe detto Bianciardi, sta, in questo caso, a monte (potendo stare indifferentemente a valle, o addirittura essere “altro”): i 270 milioni di euro di debito non li ha fatti né Arpagone, né la ministra, né il caballero, ma una banda di malversatori interni all’istituzione, i quali sono sempre a piede libero ed hanno delegato a loro pupi a filo la gestione attuale. Perché mai Arpagone dovrebbe far pagare a tutti gli italiani le malefatte di costoro, come Rossi ci farà pagare le truffe di Massa? La differenza con il MIT e il resto sta ovviamente nell’assenza di simili figuri e della politica da quei consigli di amministrazione e da tante altre diversità culturali e giuridiche che, per carità di patria, non staremo ad elencare.
Lo schema che vede da una parte i malfattori ben caratterizzati e catalogati e dall’altra le vittime innocenti mi convince poco. Come se i pupari fossero ascesi al potere per opera dello spirito santo e non piuttosto a colpi di voti espressi “democraticamente” da vittime tanto innocenti da essersi stracatafottuti (direbbe Montalbano) ben 270 milioni insieme ai loro beniamini.
Il difetto principale della democrazia è l’irresponsabilità dell’elettorato. Ciascuno può votare il peggiore mafioso e portarlo al potere senza che qualcuno si sogni di chiedergliene conto.
Potremmo fare così: Pantalone smetterà di pagare a patto che il voto sia obbligatorio e palese invece che facoltativo e segreto. Se l’amministrazione eletta risana il bilancio e fa funzionare le cose è bene, altrimenti i danni li paga sia l’amministrazione che chi l’ha votata. Scusa il francesismo ma penso che se facessimo così asseconderemmo il battito del nostro culo prima di esprimere il voto, smettendola quindi di affidarci al fato, se non di fare i froci col culo degli altri.
Nel 2010 l’indiano Ratan Tata ha donato 50 milioni di dollari ad Harvard.
Anand Mahindra, un altro indiano, ne ha donati 10.
Due cittadini di un paese non certo ricco donano montagne di soldi ad una università privata di un paese ricco.
Capire e cercare di innescare da noi il circolo virtuoso che produce questa apparente contraddizione è un punto importante su cui riflettere per rifondare le nostre università.
Il circolo si apre con la selezione meritocratica dei docenti e degli studenti e si chiude con uomini di successo e premi Nobel che si ricordano della loro università, gliene sono grati e ricambiano facendo donazioni.
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