Università di Siena: la grande bufala del risanamento con i complimenti del Mef

BruttoanatroccoloUnisi

Scrive il rettore a tutto il corpo accademico: «Ho, inoltre, condiviso con il Senato Accademico l’apprezzamento che ci è stato recentemente rivolto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per i risultati conseguiti nell’azione di risanamento intrapresa.» Perché, il Magnifico, non rende pubblica la missiva ricevuta? Un bel messaggio merita d’esser pubblicato!

Rabbi Jaqov Jizchaq. Per qualche ragione che ignoro, ma riconducibile sostanzialmente a una forma di grettitudine, quando si parla dei problemi del MPS, giustamente ci si esprime in termini drammatici, mentre quando si parla dell’università al collasso ci si abbandona al sarcasmo. Eppure la situazione è per certi aspetti speculare: anche l’università ha avuto le sue dilapidazioni partitocratiche, i suoi titoli tossici e sta cedendo i suoi “asset”. Il futuro è ugualmente, o addirittura più incerto. Leggo questo sorprendente “peana” su Repubblica del 25 gennaio: «Abbattersi sarebbe un errore clamoroso – sostiene l’attuale rettore dell’università Angelo Riccaboni, uno che in tre anni ha fatto passare il bilancio dell’ateneo da un disavanzo di oltre 30 milioni di euro a meno 8 e da “brutto anatroccolo” della città ha incassato di recente i complimenti del ministero per l’opera di risanamento: “Siena ha molte eccellenze e un patrimonio che richiama turisti da tutto il mondo, si ricominci da lì”.» 
Mi domando e dico: ma in questa congiuntura, per avere contezza in modo oggettivo e spassionato delle gesta mussariane, tu ti rivolgi al Riccaboni? Vabbè, “chiudiamo la parente” (Totò); a parte questo, le cosiddette “eccellenze” non mi paiono punto tutelate; ciò che resta e ciò che muore lo decidono criteri a dir poco cinobalanici (vedi miei precedenti post) e parlare di un ateneo risanato mi pare parecchio avventuroso, per non dire alquanto superficiale (ma questo fa parte della superficialità fatta di luoghi comuni con cui si affrontano le questioni universitarie, dove l’università è descritta come una nebulosa, un tutt’uno senza articolazioni, punti critici, allarmanti vulnerabilità). Noto poi che quando non si sa che dire intorno allo sviluppo economico di un territorio ci si appella al “turismo”: in fondo siamo tutti turisti “gettati” in questo mondo, come direbbe l’ex rettore di Friburgo; chiudono le miniere nel Sulcis o le acciaierie di Piombino? Chi se ne frega se questo paese del Moplen e del “perottino”, di Galileo, di Fermi e di Marconi, si avvia a produrre oramai soltanto cocomeri e aria fritta: svilupperemo il turismo! Ma poi curiosamente scopriamo che paesi che non hanno un cavolo di gioielli da mostrare, ricavano dal turismo e dai musei ben più del paese che lascia cadere in rovina Pompei. E vale far notare che anche su questo piano la crisi senese è abbastanza palpabile, come attesta il fatto che il principale museo della città è chiuso, mentre con singolare vanità ci si cimenta in una gara per la “capitale della cultura”: il SMS non è l’Ermitage, è ridotto a uno spazio vuoto inservibile che dunque non calamita turismo; quattrini da parte del MPS non ne arriveranno più; specifiche competenze manageriali per far sì che arrivino da privati, non ve ne sono all’opera.

Una Risposta

  1. «Adesso ci “accorgiamo” che all’Università manca tutto: professori, studenti e denaro, così che di conseguenza la ricerca non può che languire. È un danno incalcolabile per le giovani generazioni, indubitabilmente. Ma è un danno più complessivo per tutto il Paese, che oltre al rischio della de-industrializzazione fronteggia due spettri altrettanto temibili. Il primo, il più ovvio, è quello di un impoverimento complessivo del suo capitale umano.»
    (http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2013-02-02/universita-manca-tutto-studenti-100853.shtml?uuid=AbeGkYQH&fromSearch)

    L’uscita di ruolo del 22% dei professori a turn over fermo, ha prodotto di per sé la chiusura di centinaia di insegnamenti e di corsi di studio, senza che la valutazione di merito circa l’inutilità o l’eccellenza abbia avuto alcun ruolo in ciò. A Siena, mentre si constatava con serafica e trilussiana oggettività che secondo “le statistiche” la media dei docenti nei “bei tempi andati” fosse più alta di quella nazionale, ci si dimenticava sovente di sottolineare il profondo squilibrio nella loro distribuzione (e soprattutto la ragione del perché). Per cui adesso, in molte aree scientifiche, non c’è più trippa per gatti, né ci sarà mai più in futuro. Quanto ai “corsi inutili”, leggo una rilevazione del 2006 (P. Sylos Labini-Il Fatto) dalla quale si evince che oltre il 40% dei professori italiani di Fisica aveva all’epoca più di sessant’anni, contro il 10% circa di Francia e UK; ma il meccanismo anagrafico è stato proprio quello che ha determinato la chiusura dei corsi e sfido chiunque a dire che la Fisica è inutile. Il non-detto, dietro a questi “tagli lineari” (‘a livella) è che si voleva ulteriormente ridimensionare drasticamente l’università nel suo complesso, ma senza possedere un chiaro disegno strategico di come farlo, senza avere in testa un progetto mirante al salvaguardare l’eccellenza e a garantire meritocraticamente il diritto allo studio.

    Nei miei precedenti post ho ammorbato i lettori di questo blog con prediche inutili circa quello che a mio modesto avviso, e secondo il lume naturale, avrebbe dovuto essere l’atteggiamento conseguente ad una tale impostazione, se premeva in qualche modo salvaguardare un livello di eccellenza, ove vi fosse la consapevolezza di non riuscire più a mettere in campo la massa critica (= “una soglia quantitativa minima oltre la quale si ottiene un mutamento qualitativo”) necessaria per poter parlare sensatamente di ricerca e di buona didattica; ossia il ventaglio di possibilità che va dalla federazione tra atenei (extrema ratio), all’attuazione di corsi di laurea interateneo (il minimo sindacale): strutture condivise in genere, dottorati, tra atenei statali che insistono sul medesimo territorio.

    Altre strade non se ne vedono, tranne quella di assistere imbelli al declino e alla putrefazione. Incomprensibilmente e pavlovianamente l’orientamento pare essere invece quello opposto, in nome di una malintesa “auronomia universitaria”, del “piccolo è bello”, o dell’inamovibilità di certi poderosi e venerabili deretani, come attesta il permanere di sciatte repliche dello stesso corso di laurea all’interno del medesimo ateneo per il narcisistico delirio d’onnipotenza di lorsignori. Il risultato, soprattutto in una situazione disperata come Siena, nella quale occorrerebbe mettere in campo iniziative più forti che altrove, sono le facciate di cartone di Cinecittà, pronte a cadere non appena si levi la tramontana. Simulacri vuoti che non attirano più. In capo a un paio d’anni le norme ancor più restrittive di cui si ventila renderanno impossibili anche queste recenti opere di maquillage.

    Si è detto che è fallito il 3+2, che pure è grosso modo il modello europeo: ma chi ci ha mai creduto in questa riforma? Le lauree magistrali sono per lo più stanche ripetizioni delle triennali, i PhD attendono di essere riformati, più o meno da quando sono nati. IL vero problema del falso riformismo italiano (il non-detto delle varie riforme) è che in realtà, dell’articolazione Baccalaureato-Master-Phd uscita dal Decreto Ministeriale 509 del 3 novembre 1999, interessava solo il primo livello, quello insomma del baccalà: il baccalà è stato ribattezzato “laureato”, identificando di fatto la “laurea” con diplomi triennali di basso profilo per raggiungere, drogandole con “titoli tossici”, le medie europee, ed è questo che è fallito, una volta che ci si è resi conto della perfetta inutilità della maggior parte dei pezzi di carta che si spacciavano e dell’insegnamento che si somministrava. I teorici dello sputtanamento a oltranza dicevano che “il mercato” non vuole la “specializzazione”, ma la “flessibilità”, cercando di convincere la plebe che la strada verso un posto di lavoro sarebbe stata più facile per chi non sa fare un tubo ed è ignorante come un ciuco. La realtà, come provano anche le formidabili imprese senesi di illustri incompetenti in questo anticipo di Carnevale, si è incaricata di smentirli.

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