Rabbi Jaqov Jizchaq. La notizia degli arresti domiciliari per Miccolis è passata sotto silenzio ed era sfuggita anche al sottoscritto: ma non era venuto a Siena con l’allure di una specie di “commissario Basettoni”? Annamo bbbene, annamo proprio bbbbene, direbbe la sora Lella. Certo non si sa più da che parte girarsi. Del resto, dal silenzio di tomba che nel dibattito pubblico circonda tutta la questione universitaria, nonostante la sua persistente drammaticità, desumo che il modo col quale a queste latitudini si affrontano certi problemi è tacendone, sperando sempre “che io, comunque, me la cavo” grazie allo stellone o all’intercessione dello zio vescovo. Si procede in ordine sparso e pare non sia a tutti chiaro che coltivando il proprio particulare entro le angustie corporative non si va da nessuna parte. Il silenzio è interrotto qua e là da sparate demagogiche o annunci trionfalistici, entrambi esecrabili: uno spettacolo intollerabile, in quella che dovrebbe costituire la palestra della dialettica e la culla del pensiero critico. Laddove un tempo si sciorinavano devozionalmente capitoli dei “Grundrisse” di Carlo Marx con scioltezza, come fossero cinque poste di rosario, ora regnano il conformismo e la rassegnazione (forse era già in nuce allora). Non fosse mai che, interrompendo per un attimo la taciturna contemplazione del proprio ombelico ci si avventurasse in analisi di respiro meno corto, “oltre “, ma intimamente legate alle pur essenziali problematiche di quegli “equilibri di bilancio” che paiono equilibrati come la famosa casa di Swift, costruita così perfettamente secondo tutte le leggi dell’equilibrio, che cadde non appena vi si posò un fringuello.
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