Di seguito la trascrizione integrale della seconda parte dell’intervista di Daniele Magrini al Rettore (Radio Siena TV, di Sabato, 19 marzo 2016).
Magrini. Allora, veniamo al tema delle iscrizioni; cioè io ho visto che tutti gli atenei, tutte le università in Italia hanno avuto una flessione nelle iscrizioni, probabilmente anche in relazione alla situazione generale. Siena negli ultimi 5 anni ha perso circa 3.000 forse 3.500 iscritti a partire dal 2011, facendo il conto, mi pare – correggimi se sbaglio – che è una cifra in linea con la tendenza nazionale o un po’ più forte, com’è?
Riccaboni. Ma diciamo, anche su questo ti ringrazio dell’opportunità di parlarne, perché almeno così si sfatano alcuni miti. Allora, noi abbiamo avuto 15.775 iscritti nel 2014/2015. Diciamo che questa dimensione fra i 15 e i 17 mila è la nostra dimensione naturale. Ci sono stati degli anni in cui siamo stati anche vicini a ventimila, però, vorrei ricordare una cosa, perché se non si guardano i dati è difficile capire. C’era stato e parlo degli anni dal 2004 al 2007 la possibilità da parte del Ministero di riconoscere, a istituzioni come le Forze Armate, il percorso di carriera per arrivare a laurearsi. Noi in quegli anni abbiamo avuto 9.800 iscritti delle Forze dell’ordine. Allora se noi avevamo 19.500 studenti meno, in media, 2.500 all’anno ritorniamo a quel numero di 17 mila che è il nostro ordine di grandezza; quindi i 17 mila rispetto ai 15.775 dell’anno scorso è più che in linea con la dinamica nazionale. Ma noi abbiamo fatto anche un altro studio e abbiamo visto che negli ultimi tre anni – perché mi sia consentito che negli anni della grande crisi non è facile fare dei confronti con quegli anni – negli ultimi tre anni la nostra riduzione, rispetto alla media nazionale, è stata totalmente in linea; quindi, questo è un buon risultato, tenendo conto che Siena – questo va detto perché vorrei anche che ci fosse consapevolezza della qualità del nostro Ateneo – nelle classifiche del Censis, lo sappiamo, è sempre ai primi posti; ma quello che conta molto è la provenienza degli studenti da fuori regione; noi siamo i primi, in Toscana, per la provenienza da fuori regione; in particolare siamo i primi per la presenza, fra le lauree magistrali, di studenti stranieri; e questo lo dico perché era uno degli assi del mio mandato; e noi nelle lauree magistrali – tu sai che ora ci sono lauree triennali, i primi tre anni, e poi le lauree magistrali, i due anni – nei due anni della laurea più avanzata, in questi ultimi tre anni siamo passati dal 5% degli stranieri, al 10% degli stranieri, al 16% degli stranieri; questo penso che la città cominci a vederlo; cioè, se voi andate in mensa, o a San Francesco o a San Miniato, ci sono moltissimi ragazzi colorati, persone che si vede chiaramente che non sono italiane e questa è stata una grande attrattività di Siena che ha, probabilmente, aiutato a controbilanciare la riduzione degli italiani.
Magrini. Allora, è cronaca dei nostri giorni: si discute molto di sanità delle Scotte, come una struttura sanitaria che rischia di perdere un po’ di colpi. Mi pare che si discuta, non molto, sul ruolo della Facoltà di Medicina. O meglio, c’è stata l’iniziativa dell’Associazione “Confronti”, di Alberto Monaci, tre giorni fa, in cui è stato lanciato un appello anche molto preoccupato proprio al ruolo della Facoltà di Medicina, anche come Facoltà che fa buona ricerca, che attrae tanti studenti perché fa buona formazione. Che cosa pensi di questo ruolo specifico di Medicina a Siena?
Riccaboni. Innanzitutto, bisogna fare una contestualizzazione. Noi abbiamo, a parte che non c’è più la Facoltà, diciamo che abbiamo un’area biomedica molto forte, molto importante, un punto centrale del nostro ateneo, ma, vorrei dire, un punto centrale per lo sviluppo del nostro territorio. È chiaro, l’ha detto anche Rossi recentemente, che in futuro a Siena gli assi sono la cultura, il turismo, tutta la parte dell’agrifood e la parte biomedicale. Allora, la parte “biomedicale” vuol dire l’area biomedica, ma tutta la parte di farmacia e farmaceutica. Quindi noi abbiamo un grande asset perché sulla base della forza dell’area biomedica si può anche rafforzare il distretto farmaceutico; lo dico, questo, perché uno degli assi sui quali stiamo lavorando proprio in queste settimane, in questi mesi è rafforzare tutta questa parte: l’area farmacia, sperimentazione, clinica, l’area medica. Ed è proprio alla base del progetto che stiamo concordando con la Regione; quindi io posso assicurare che con la Regione c’è un confronto, un dialogo proprio per rafforzare queste aree su questi temi, come su anche altri temi legati alla medicina di precisione; però ora non vorrei entrare troppo nei dettagli. Quindi, è chiaro che ci sono state delle dinamiche che sono state tipiche soltanto di Siena, nel senso che a Siena abbiamo avuto negli anni una forte presenza dell’area universitaria dentro “Le Scotte”, come sappiamo. Quindi, questa grossa presenza in altri atenei in altre aziende della Toscana sappiamo che non è successo; quindi, la Regione lì interveniva tradizionalmente, ora deve intervenire anche di più da noi, ma sulla base di queste progettazioni io sono sicuro che ci sarà questo intervento; quindi c’è un dialogo con la Regione, con l’assessore Saccardi, in particolare, per riuscire a far sì che l’intervento della Regione sulle “Scotte”, per quanto riguarda anche la nostra Facoltà (per usare questo termine) sia maggiore. Come Università, come sapete, abbiamo ricominciato il percorso di programmazione dei ruoli e l’area medica, giustamente, ha una quota importante di questi ruoli.
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“gli assi sono la cultura, il turismo, tutta la parte dell’agrifood e la parte biomedicale” Rettore
Aridagli, ma cos’è “la cultura”? La cultura come acquetta per sciacquarsi i cabbasisi… non c’è un’istituzione culturale senese che non sia in crisi, Siena è culturalmente agonizzante, della situazione dl SMS è meglio tacere; i comparti universitari teoretici e delle scienze pure (“la cultura”, appunto, nelle sue accezione che quelli ganzi definiscono “umanistica” o “scientifica”) sono stati decimati: si può sapere cosa intendono questi qua per “cultura”? Una cosa vaga, che si fa dilettantisticamente nel tempo libero? Uno, quando ragiona seriamente si occupa di sociologia del turismo e invece nel tempo libero pondera su questioni di fisica teorica, rivoluziona le arti visive, o compone quartetti d’archi in stile dodecafonico? Scrive sinfonie quando glielo consente il suo lavoro di assicuratore come Charles Ives?
Non c’è discorso di politico di qualsiasi razza che non citi en passant “la cultura”: ma si può sapere cosa intendono con questo termine e come ritengono dar seguito a questi propositi? La cultura, spesso viene brandita retoricamente come una sorta di intercalare, in ogni caso come una cosa da non prendere sul serio: simposi nelle migliori osterie a parlottare a vanvera di Trotsky, Bukowski e Tarkowsky nella sonnolenza postprandiale. Ma forse il concetto di “cultura” oramai è scisso da quello di “università”. In quest’ultima, appena reduce dalla tregenda del VQR, oramai contano solo le dozzine di articoli prodotti col ciclostile al ritmo di quattro al mese… ma che razza di ricerca sarebbe? Fu vera “cultura”? Dov’è la riflessione, la profondità, l’originalità? Il motto di Gauss era Pauca sed matura (Poche cose, ma mature).
La situazione è quella ben descritta da Galli della Loggia sul Corriere della Sera, che ha così sintetizzato il senso delle ultime riforme:
“L’Italia non dovrà più interessarsi di alcun aspetto del mondo che abbiamo alle spalle, dei suoi eventi, delle sue idee, delle sue produzioni artistiche. Ma non solo. Dovrà farla finita anche con una buona parte di quei saperi astratti come la filosofia, la matematica, o con altre scienze esatte non sufficientemente utilizzate dall’apparato produttivo.” http://www.corriere.it/cultura/16_marzo_20/i-sommersi-salvati-nell-universita-senza-passato-9e3604aa-ee10-11e5-9277-b3acd54d3652.shtml”
Ora, voglio sperare che sia legittimo interrogarsi su queste questioni senza incorrere in sanzioni. Se vi va, chiamatemi pure Argo, Snoopy o Braccobaldo. Bau!
A fronte di una situazione drammatica relativa al corpo docente sono rilevanti le parole pronunciate da ultimo dal Rettore (“Come Università, come sapete, abbiamo ricominciato il percorso di programmazione dei ruoli..”). A tal proposito, sarebbe interessante verificare da subito se le piccole iniezioni di trasparenza, che a onor del vero il Magnifico Riccaboni ha introdotto nel sistema pubblicando le programmazioni triennali per Dipartimento e poi facendole approvare dagli organi di Ateneo, siano poi rispettate nella sostanza delle decisioni. All’ordine del giorno dei prossimi Cda e SA risulta esserci la programmazione del piano straordinario dei Ricercatori di tipo B così come la programmazione di altri ruoli e questo sarà il primo banco di verifica di trasparenza e correttezza dell’Ateneo, il quale sotto la guida del Magnifico non dovrebbe consentire spartizioni dell’ultimo momento in barba alle programmazioni già approvate pochi mesi fa e validate dagli organi di Ateneo. Di contro, se le programmazioni approvate non saranno rispettate e i Dipartimenti saranno liberi di adoperarsi per baratti dell’ultimo minuto, allora sarà stata una manovra di facciata la pubblicazione (obbligatoria per legge) delle programmazioni triennali.
Vigilate gente, vigilate!
ahimè, temo che un ricercatore a tempo determinato e qualche posticino che forse spunterà sperabilmente nel futuro prossimo, coprendo qualche falla (vuoi per effettiva urgenza, vuoi per spartizione baronale, o verosimilmente per entrambe) statisticamente non modificheranno in nulla la situazione creata dall’uscita di ruolo di circa 500 docenti: quand’anche ne rimpiazzassero il 5%, tra ricercatori di tipo B e professori di ruolo, cosa cambierebbe dal punto di vista della sostenibilità dei corsi? Sicché non vedo come possano essere elusi i discorsi coi quali vi ho ammorbato: sono due scale diverse.
Scrive Ernestina: «piccole iniezioni di trasparenza, che a onor del vero il Magnifico Riccaboni ha introdotto nel sistema pubblicando le programmazioni triennali per Dipartimento…,»
Aggiunge alla fine, Ernestina: «se le programmazioni approvate non saranno rispettate, allora sarà stata una manovra di facciata la pubblicazione (obbligatoria per legge) delle programmazioni triennali.»
Come si possa definire trasparente un’amministrazione che pubblica («piccole iniezioni») quel che è obbligatorio per legge quando, invece, «dalle vicende dell’università di Siena emerge la mancanza di trasparenza assurta a ordine di governo»? Riccaboni dovrebbe andare sotto processo proprio per aver sistematicamente violato tutte le leggi sulla trasparenza (Legge 241/1990 e successivi aggiornamenti e integrazioni; D.lgs 150/2009, Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione; L. 33/2013, Decreto Trasparenza) e per aver eluso fino al 21 novembre 2013 un preciso obbligo di legge: l’approvazione di un «Programma triennale per la trasparenza e l’integrità e di un Piano di Prevenzione della Corruzione».
Infine, le programmazioni dei ruoli per Dipartimento – in assenza di una programmazione d’Ateneo che stabilisca le reali necessità ed eviti duplicazioni di ruoli nello stesso settore – sono un ritorno al passato, un ritorno a quelle pratiche clientelari e assistenziali che hanno contribuito alla formazione del dissesto da 270 milioni di euro.
Mi spiego meglio: nessuna levata di scudi in favore del Magnifico. Volevo solo fare presente che, a differenza di altri Atenei, Siena ha pubblicato le programmazioni per Dipartimento ottemperando ad un obbligo di legge. Tuttavia, l’operazione è inutile se non dotata di correttezza e trasparenza anche a livello dipartimentale. Mi spiego meglio ancora: tutti i dipartimenti avrebbero dovuto indicare un ordine di priorità per ruolo e per settore, in relazione ad indicazioni e criteri precisi di ateneo. Invece, non solo alcuni dipartimenti non hanno neanche indicato esattamente ruoli, settori e priorità, correlate ripeto ai criteri di ateneo, ma per di più risulta che anche i dipartimenti che avessero fatto le dovute specifiche poi realmente non seguiranno quanto già deliberato a livello periferico e validato a livello centrale. Quindi, e così chiarisco il mio pensiero sull’operato dell’ateneo, la trasparenza sembra essere solo un’operazione di facciata, su cui bisogna vigilare….
Quanto alla deriva numerica (e non solo) della classe docente, è pacifico che non si possa rimediare con pochi posti e poche risorse, ma sarebbe un gran passo avanti se il poco di cui si dispone Fosse utilizzato al meglio e in trasparenza.
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