Le prime domande ai candidati a Rettore dell’Università di Siena

StemmaUnisiRabbi Jaqov Jizchaq. Finalmente sono uscite alcune candidature a rettore, condite naturalmente di un sovrappiù di retorica come si confà ai manifesti elettoralistici. Adesso, non è per fare il bastian contrario, ma l’università (anche se non lo è più da tempo) dovrebbe essere un luogo dove si discute, e dunque spero di non essere considerato menogramo e disfattista se interpongo qualche nota grave nel coretto dei sovracuti.

Resto intanto in attesa di sapere come il candidato prof. Petraglia intenda realizzare il suo proposito di «Creare innovazione [che] permetterà di cogliere e sfruttare le opportunità locali ed internazionali», così come, alla luce dei freddi dati numerici più volte esibiti in questo blog, attendo chiarimenti da parte del candidato prof. Rossi riguardo al vasto programma di «liberare le energie presenti nel nostro Ateneo, investire con generosità su chi merita… valorizzare le differenze in ogni ambito, rifuggendo dalla tentazione dell’uniformità». Ma come si sa, in politica il programma vero, con la medicina amara, si squaderna solo dopo l’elezione. Prima dell’elezione, meno tasse, più pane e prosciutti per tutti!

L’autocandidatura più articolata, ça va sans dire, è quella del prof. Frati. Sostiene il candidato, con soverchio ottimismo, che «possiamo legittimamente ritenere concluso il percorso di risanamento». Sostiene altresì, con notevole esagerazione, che l’università di Siena «ha mantenuto intatta la propria attrattività nei confronti degli studenti». Ma com’è possibile, se il risanamento è avvenuto mandando in pensione il 50% dei docenti (circa 480-500), bloccando il turnover per dieci anni (in pratica, Unisi è un gerontocomio) e chiudendo la metà dei corsi? Voglio dire, è vero che l’uomo della strada (non ancora travolto dal tram) gode quando legge che hanno fatto fuori un po’ di culturame, ma sono andati via metà dei giocatori e tu hai certo risparmiato, non pagando più i relativi stipendi (così sono capaci tutti, non solo i bocconiani!): però non hai più una squadra, o ce l’hai pesantemente ridimensionata, e con essa devi affrontare il campionato. Dunque, non credo si possa affermare con nonchalance che le strutture sono rimaste intatte.

A meno di non dichiarare a posteriori inutile ciò che non si è riusciti a salvaguardare, sarebbe più corretto riconoscere che l’offerta si è di molto contratta e concentrata su alcuni settori. E allora attendono risposta varie “unanswered questions” su cui ha battuto ripetutamente questo blog. In primo luogo, la sorte di quelle aree scientifiche di base pesantemente colpite dai pensionamenti e il destino di chi ancora ci sta dentro (vedi la metafora di Simeone lo Stilita); in secondo luogo, e di conseguenza, il rapporto con gli altri atenei toscani, che si avviano ad avere una massa considerevole, rispetto a Siena, con almeno il triplo di docenti e di studenti. Non credo sia riproponibile la teoria del “piccolo è bello”. Correva, infatti, l’anno 1687, quando Sir Isaac Newton si rese conto che il Sole, dotato di una massa molto grande, costringe i pianeti a ruotargli intorno (o per dirla altrimenti col Manzoni, «Il nostro Abbondio … s’era dunque accorto… d’essere, in quella società come un vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro»).

Sostiene il candidato che «i Dipartimenti devono diventare sempre più il fulcro delle attività di formazione, ricerca e trasferimento tecnologico»; visto che lo dice la legge, per forza dovrà essere così: ma quanti degli attuali dipartimenti sono sostenibili nel tempo? Qual è stato il guadagno dello scioglimento delle Facoltà a favore di dipartimenti dai nomi talvolta incomprensibili? Ne ha guadagnato la ricerca? E la didattica (anche se oramai non conta più nulla)? Scommetterei una cifra che da qui a poco torneremo a un assetto simile alle vecchie Facoltà. Nel frattempo si saranno cancellate aree scientifiche e distrutte le vite di molti “giovani” in irriferibili faide.

Mi rendo conto che su alcune di queste questioni la risposta sarà “ignoramus et ignorabimus”, e che il destino dell’università pubblica è forse da considerarsi uno dei grandi enigmi dell’universo. Su tutto aleggia inoltre un problema di fondo di questa città (e non solo) ed è la mancanza di una forte coesione: la politica è così poco autorevole e decaduta, che molta opinione pubblica guarda oramai alle formazioni politiche e ai loro programmi con diffidenza e con rassegnato disincanto. È pertanto difficile realizzare una qualche unità d’intenti capace di sostenere sforzi erculei come quello necessario per risollevarsi dai vari recenti cataclismi.

«Là dove fanno il deserto gli danno il nome di pace Tacito

I primi tre candidati alla guida dell’Ateneo senese

Felice Petraglia - Alessandro Rossi - Francesco Frati

Felice Petraglia – Alessandro Rossi – Francesco Frati

Carissimi,
vorrei informare tutti voi che intendo candidarmi alla carica di Rettore della nostra Università.
L’Ateneo di Siena vanta una tradizione ed un’identità che tutti noi abbiamo il dovere di difendere, mantenendo come riferimento fondamentale il primato e l’autonomia della cultura e della scienza. Dobbiamo collaborare affinché la nostra Università rappresenti un sicuro riferimento per il futuro dei giovani, perché possano essere il motore del rilancio culturale ed economico. Creare innovazione permetterà di cogliere e sfruttare le opportunità locali ed internazionali.
Per costruire
un piano strategico puntuale e non generico, che individui l’agenda dei prossimi sei anni, sono a chiedere la concreta collaborazione a docenti, personale tecnico e amministrativo e studenti.

Vi saluto caramente, con l’auspicio di incontri costruttivi e confronti sereni
Felice Petraglia

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Al Personale Docente dell’Università di Siena
Al Personale Tecnico e Amministrativo dell’Università di Siena
Agli Studenti dell’Università di Siena

Carissime e Carissimi,
ho deciso di candidarmi a Rettore della nostra Università. Responsabilità e chiarezza dei ruoli, rispetto per le autonomie, collegialità degli Organi, programmazione, trasparenza e pari opportunità sono le parole chiave dell’azione di governo. È necessario restituire tempo ai docenti per svolgere attività di didattica e ricerca di qualità, liberare le energie presenti nel nostro Ateneo, investire con generosità su chi merita. Dobbiamo non solo riconoscere, ma valorizzare le differenze in ogni ambito, rifuggendo dalla tentazione dell’uniformità. Tutto ciò sarà possibile solo con un ampio coinvolgimento di tutta la nostra comunità di studenti, ricercatori, docenti e personale tecnico e amministrativo in un clima positivo accomunati da uno spirito solidale e senso di appartenenza.

A presto e un caro saluto a tutti
Alessandro Rossi

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Al Personale Docente dell’Università di Siena
Al Personale Tecnico e Amministrativo dell’Università di Siena
Agli Studenti dell’Università di Siena

Cari colleghi e studenti,
rispondendo alle sollecitazioni giunte da molti colleghi, ho deciso di presentare la mia candidatura alla carica di Rettore dell’Università degli Studi di Siena per il mandato 2016-2022.

Presento la mia candidatura avendo alle spalle un lungo e intenso periodo durante il quale l’Ateneo è riuscito a risollevarsi dopo una fase che ne aveva addirittura messo a repentaglio la stessa sopravvivenza. Essere riusciti a evitare il crollo e a riportare l’Ateneo perfettamente in linea con le altre Università italiane, pur mantenendo elevatissimi standard di qualità nella didattica e nella ricerca, e avendo mantenuto intatta la propria attrattività nei confronti degli studenti, deve essere per tutti noi motivo di grande orgoglio. Il successo di questa operazione di risanamento risiede nella grande coesione dell’intera comunità universitaria, nella decisione con la quale gli organi di governo hanno implementato la logica programmatoria e nell’abnegazione di tutto il personale che ha sempre coerentemente perseguito l’obiettivo, anche quando, oggettivamente, il senso di frustrazione e la mancanza di riconoscimenti tangibili per il lavoro svolto quotidianamente avrebbero potuto, comprensibilmente, indebolire gli sforzi.

Adesso siamo di fronte a una fase nuova, nella quale l’Università di Siena ha l’obbligo di continuare a confermarsi nel novero delle migliori università italiane, nella posizione, cioè, che ha sempre occupato durante la sua storia plurisecolare. Per raggiungere l’obiettivo occorreranno investimenti e capacità di fare scelte per il bene comune, sia in termini di risorse umane che finanziarie. Se possiamo legittimamente ritenere concluso il percorso di risanamento, non possiamo non continuare a monitorare con attenzione l’equilibrio del nostro bilancio, in modo da rendere la fase di rilancio sostenibile nel tempo.

Sarà una fase, se possibile, persino più interessante di quella che abbiamo appena trascorso.

Lo scenario che abbiamo davanti ha subìto molti cambiamenti negli ultimi anni, non solo per effetto della Legge 240/2010. È cambiata, in questi anni, anche la percezione pubblica del ruolo dell’Università: da parte delle famiglie, e quindi dei potenziali studenti; da parte dei cittadini; da parte delle istituzioni; da parte del mondo imprenditoriale. A questi cambiamenti, che seguono quelli – importanti e sempre più rapidi – della nostra società, le Università sono chiamate ad adattarsi, per confermare e irrobustire quel ruolo chiave nello sviluppo culturale, sociale e tecnologico di un territorio o di un paese che esse devono ricoprire in una società civile che si rispetti.

Sta alle Università prendersi quel ruolo, perché soltanto le Università possono garantire l’impulso innovativo che viene dalla ricerca e far sì che tale impulso penetri nelle nuove generazioni attraverso le proprie attività di formazione. Più intensi, diffusi e globali sono i fenomeni di trasformazione sociale e culturale, più è necessaria la spinta innovativa che viene da formazione e ricerca scientifica.

Senza che formazione e ricerca occupino un ruolo centrale non può esserci sviluppo per nessuna società.

Purtroppo, la continua contrazione dei finanziamenti alle Università sta minando l’esistenza stessa dell’Università pubblica nel nostro Paese. Se i confronti con gli altri paesi con i quali l’Italia aspira a cimentarsi sul palcoscenico internazionale sono impietosi, sia in termini di numero di ricercatori che in termini di finanziamenti erogati alla ricerca da soggetti pubblici e privati, i ricercatori italiani hanno dimostrato di essere assai competitivi, meritandosi il diritto di pretendere il rispetto della loro dignità professionale e stipendiale e opportunità maggiori e più gratificanti all’interno del sistema pubblico di ricerca e formazione. Lo scarso interesse verso l’Università pubblica da parte di chi dovrebbe, invece, sostenerla e rafforzarla, non solo lede la dignità dei docenti e del personale delle Università, ma rappresenta un miope strumento di revisione di spesa le cui conseguenze negative ricadono sulle capacità produttive del paese e, ciò che è ancora peggiore, sulla crescita delle nuove generazioni.

Nel frattempo, le Università hanno contribuito responsabilmente agli sforzi di risanamento finanziario della pubblica amministrazione, e non sono sfuggite né alla valutazione dei propri risultati (anzi, hanno assecondato collaborativamente tale valutazione), né all’erogazione di risorse – pur vitali – coerentemente con il suo esito. Il fatto che vengano distribuite come “premiali” risorse che fanno parte del minimo indispensabile per la sopravvivenza degli Atenei, però, è un’anomalia tutta italiana.

Sono convinto che l’Università non si debba sottrarre alla valutazione. Ma sono anche convinto che la valutazione debba essere condotta con strumenti più idonei, equi e trasparenti di quelli utilizzati sinora.

Internamente, tra i cambiamenti determinati dalla L. 240/10, quello che trovo più significativo è il nuovo ruolo dei Dipartimenti. Al di là di quanto previsto dalla legge, dopo tre anni di comprensibile rodaggio, i Dipartimenti devono diventare sempre più il fulcro delle attività di formazione, ricerca e trasferimento tecnologico. Per farlo, hanno bisogno di autonomia gestionale, attraverso il decentramento amministrativo, e finanziaria, attraverso l’erogazione di risorse coerenti con gli impegni e i risultati raggiunti, accoppiate con l’onere della responsabilità di scelte sempre più cruciali per il proprio futuro e che devono essere monitorate e valutate dagli organi di governo. Solo così, accoppiando autonomia e responsabilità, possiamo liberare le forze migliori per il beneficio dell’intero sistema.

L’ottimo esito delle valutazioni (CIVR e VQR) ha confermato la qualità delle nostre attività di ricerca. Con il riequilibrio economico-finanziario, possiamo ragionevolmente puntare a sostenere sempre più la ricerca con investimenti crescenti, così da mettere i nostri ricercatori nelle condizioni di affermare il proprio valore e di dar seguito a una tradizione di eccellenza consolidata nel tempo e riconosciuta dalle valutazioni.

Grandi passi in avanti sono stati compiuti anche sul fronte dell’internazionalizzazione. Oltre alla naturale componente internazionale delle nostre attività di ricerca, l’Ateneo ha imboccato con decisione la strada dell’internazionalizzazione anche sul versante della didattica, incrementando in pochi anni fino a 13 il numero dei programmi o curricula di Laurea o Laurea Magistrale insegnati interamente in lingua inglese, e aumentando, di conseguenza, la propria attrattività nei confronti degli studenti stranieri. L’internazionalizzazione è un tema in cui credo molto, e sul quale ritengo opportuno impegnarsi. Lo dobbiamo ai nostri studenti, italiani o stranieri, per dar loro la possibilità di misurarsi con il mondo; ma lo facciamo anche per consolidare il prestigio internazionale del nostro Ateneo, che, come ogni università che si rispetti, ha come scenario di riferimento l’intero pianeta.

Dobbiamo guardare con grande attenzione ai nostri studenti. A loro dobbiamo l’entusiasmo e la vitalità che si respirano nelle nostre sedi. Verso di loro ci dobbiamo impegnare affinché essi trovino strumenti didattici e servizi adeguati alle loro esigenze, e in linea con le innovazioni, anche digitali, del nostro tempo. Non dimentichiamoci mai che il periodo degli studi universitari sarà da loro ricordato come un’esperienza cruciale della loro vita. Insieme a loro dobbiamo modellare un Ateneo a misura di studente, che soddisfi le loro esigenze di formazione, di aggiornamento e di reciproca interazione, e li faccia crescere come donne e uomini della società globale.

Se l’Università di Siena ha la fortuna di essere nata e cresciuta in una bellissima città, Siena ha la fortuna di ospitare una delle più prestigiose Università al mondo. L’Università di Siena e la sua città hanno percorso un lungo cammino insieme, condividendo risultati importanti e momenti di difficoltà, rispettandosi e traendo reciproco beneficio dalla simbiosi. Adesso l’Università può rappresentare per la città un formidabile motore di sviluppo: attraverso l’attrattività nei confronti degli studenti e degli studiosi di tutto il mondo, che arricchiscono il nostro tessuto sociale ed economico; attraverso la qualità delle proprie attività di ricerca, che determinano quel fervore culturale respirabile soltanto nelle più vive città universitarie; attraverso il valore dei propri docenti e del proprio personale, profondamente intrecciati con la comunità locale; attraverso l’impulso all’internazionalizzazione, che promuove la nostra città in tutto il mondo.

L’Università di Siena deve aspirare a ricoprire un ruolo guida per lo sviluppo della città.

Ai colleghi e agli studenti dico: siate orgogliosi di essere membri di una comunità ricca e vivace e aiutatela a consolidare il proprio prestigio in Italia e nel mondo.

Tutti insieme possiamo e dobbiamo contribuire a rendere il nostro Ateneo un luogo sempre migliore dove studiare, insegnare e fare ricerca, un luogo sempre più internazionale dove studenti e docenti di culture diverse si confrontano e si arricchiscono vicendevolmente.

Contestualmente alla presentazione della mia candidatura, ho rassegnato al Magnifico Rettore le mie dimissioni dalla carica di Pro Rettore Vicario, in coerenza con i principi di piena trasparenza ed equità.

Con l’occasione, lo ringrazio per la stima e la fiducia che mi ha dimostrato in questi cinque anni di collaborazione, prima come Pro Rettore alla Didattica e poi come Pro  Rettore Vicario. Ho cercato di ricambiare la sua fiducia con l’impegno e la dedizione, potendo contare sempre sul sostegno di tutti i colleghi docenti e del personale tecnico e amministrativo.

Vi allego di seguito una mia breve biografia, rimandandovi al curriculum vitae presente sulla mia pagina web istituzionale per una dettagliata illustrazione della mia attività accademica.

Offrire la mia disponibilità a ricoprire la carica di Rettore dell’Università di Siena è, per me, un atto di rispetto per una Istituzione a cui devo molto. Una Istituzione che mi ha consentito di svolgere un lavoro affascinante; che mi ha consentito di confrontarmi con colleghi e realtà di tutto il mondo; che mi ha consentito di misurarmi con le sfide della ricerca più avanzata; che mi ha consentito di mantenere un contatto quotidiano ed estremamente fertile con le giovani generazioni. Proprio per il rispetto che ho nei confronti di questa Istituzione, metto a Sua disposizione e a disposizione dei colleghi dell’Ateneo il mio tempo, la mia esperienza, la mia competenza, il mio carattere e il mio entusiasmo, con l’auspicio che le mie caratteristiche professionali e personali siano apprezzate dalla comunità universitaria come lo sono state dai colleghi che mi hanno stimolato a manifestare la mia disponibilità. E con l’umiltà di chi si mette a disposizione con spirito di servizio, chiedo sin d’ora a voi tutti, se mi riterrete degno di rappresentare questa Istituzione, di sostenermi e aiutarmi con la forza delle vostre idee.

Nelle prossime settimane avremo modo di incontrarci e scambiarci idee nelle forme e nei luoghi che riterrete opportune.

Prof. Francesco Frati

BIOSKETCH – Francesco Frati,
Sono nato a Siena il 19 gennaio 1965.
Attualmente sono professore ordinario nel SSD BIO/05 – Zoologia presso il Dipartimento di Scienze della Vita, avendo conseguito presso l’Università di Siena il Dottorato di Ricerca in Biologia Animale nel 1992 e la Laurea in Scienze Biologiche nel 1988.

Durante la mia formazione sono stato Research fellow presso il Cornell Medical College e Postdoctoral Fellow presso la University of Connecticut, prima di essere assunto come Ricercatore presso l’Università di Siena nel 1994.

Dal 2011 ricopro la carica di ProRettore Vicario, dopo essere stato per un breve periodo ProRettore alla Didattica. In passato ho ricoperto le cariche di Direttore di Dipartimento, Vice-Preside di Facoltà, Coordinatore di Scuola di Dottorato, Presidente di Comitato per la Didattica.

Insegno Evoluzione Biologica nella Laurea in Scienze Biologiche e Biologia Animale nella Laurea Magistrale in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche.

Mi occupo di evoluzione molecolare e filogenesi degli insetti, e ho all’attivo oltre 120 pubblicazioni scientifiche. Sono Associate Editor della rivista Molecular Phylogenetics and Evolution e membro dell’Editorial Board delle riviste Pedobiologia e Entomologia.

Sono membro dell’Accademia Nazionale di Entomologia e in passato membro del Consiglio Direttivo dell’Unione Zoologica Italiana.

Contatti: tel.: 0577-234417; mobile: 347-6446574; email: francesco.frati@unisi.it; web: http://www.dsv.unisi.it/it/dipartimento/personale-docente/francesco-frati; skype: francesco_frati; facebook: http://facebook.com/francesco.frati; twitter: @francescofrati

Proprio come all’Università di Siena! Del resto il vicesindaco è professore!

Campanile-MangiaSiena, Engioi e il Mangiacotto (da: My BOG – La mia palude)

Dr. J. Iccapot. I sapori conosciuti nell’infanzia sono quelli che si ricordano meglio, specie se si tratta  dei dolci e in particolare di quelli di Natale.
Fra tutti i dolci della tradizione senese, sono particolarmente affezionato ai cavallucci: semplici, grigi, compatti, con pochi sapori ben definiti che si aprono al palato non appena li addenti. Rigorosamente mangiati solo nei pochi giorni delle feste, a me ricordano il Natale di quando ero piccolo, i dolciumi serviti dalla mamma in quelle rare occasioni, segnate dal calendario, in cui si poteva mangiare qualcosa fuori dall’ordinario.

I dolci senesi sono conosciuti ovunque, inutile parlarne; carni di cinta, tartufi e quant’altro sono poi le ricchezze della zona.
Credevo di conoscere, almeno di nome, tutti i prodotti culinari (e vinicoli) di Siena, quando mi sono imbattuto, giorni fa, in un nuovo prodotto gastronomico che scommetto nessuno di voi conosce: il Mangia cotto (o Mangiacotto che dir si voglia). Sorpresi, vero? Non ne avete mai sentito parlare? Eppure, se navigate in internet, scoprirete che non solo lo conoscete da tanto tempo, ma che addirittura è il simbolo della città!

Il Mangiacotto lo trovate, indovinate un po?, sulle pagine (in “inglese”) di EnjoySiena, il sito del comune di Siena su cui imparare l’inglese giocando (giocando alla caccia all’errore, eh!), il sito in cui avevano addirittura tradotto il nome di Giovanni di Balduccio in John Balducci, prima di correggerlo dopo aver letto il mio post della scorsa settimana.

Se visitate la pagina dedicata alla Torre del Mangia (per l’appunto), leggerete che:
“The tower […] is baked until the crown” cioè, per chi non parla l’inglesondo, “La torre […] è cotta sino al coronamento”.
Insomma, avevamo in Piazza un enorme specialità, quasi un kebab, pronto per essere mangiato da chiunque vi si fosse  avvicinato e ne avesse avuto voglia, e per centinaia di anni non se ne è accorto nessuno!

Questa pagina è ancora lì, a far arrossire Siena e i senesi tutti.

Eppure, la dottoressa Pallai, assessore al turismo a capo della catena di comando per la sua responsabilità politica, non solo ha capacità di espressione orale in inglese molto buona, ma anche buona capacità di scrittura e buona capacità di lettura in questa lingua sconosciuta ai redattori delle pagine in parola.
Ora, se quanto ella dichiara nel curriculum vitae corrisponde a verità, le dovrebbe bastare scorrere un rigo, un rigo solo, di questa pagina, per arrossire di vergogna, prendere il cellulare e fare quello che qualsiasi committente dovrebbe fare con un suo fornitore o con i suoi collaboratori.

È chiedere troppo voler evitare questo scempio e questa vergognosa figura mondiale che stiamo facendo da oltre un mese?

Operatori, enti e associazioni, direttamente coinvolti nella vicenda, non hanno preso visione? Non commentano? Non intendono fare nulla?

Povera Siena, sì, ma ancor più: poveri senesi!

Chi protesta non lo fa “per bloccare la valutazione” ma “per difendere un diritto”

Andrea Landolfi

Andrea Landolfi

Andrea Landolfi (del Coordinamento Docenti contro il blocco degli scatti stipendiali). Magnifico Rettore, il Coordinamento dei Docenti che aderiscono alla protesta contro il blocco degli scatti stipendiali registra con soddisfazione, dopo mesi di silenzio, la crescente attenzione Sua e della CRUI per la vertenza in atto e condivide l’analisi contenuta nella Sua comunicazione odierna quanto a numeri e percentuali.

Dissente invece, e con fermezza, dalle Sue considerazioni in merito ai modi della protesta, e in particolare respinge il passaggio in cui Lei fa uso di un termine, “reputazione”, che al momento, e nella incresciosa situazione presente, sembra stare a cuore molto più a chi dissente che non a chi, indipendentemente dalle ragioni che lo muovono, ha deciso di piegare il capo a una patente ingiustizia.

Rincresce doverLe rammentare, Magnifico Rettore, che chi protesta non lo fa “per bloccare la valutazione” – al contrario, si chiede di essere valutati due volte, per la VQR e per gli scatti! – ma piuttosto “per difendere un diritto”. L’obiettivo che i firmatari dell’appello al Presidente della Repubblica si prefiggono va molto al di là di questa VQR: esso riguarda, infatti, la dignità professionale dei docenti. Di questo, chi doveva non si è fatto carico: se infatti si fosse dato ascolto per tempo alla voce della protesta (qui a Siena le prime mozioni in cui Le si chiedeva di prendere posizione risalgono all’ottobre 2015) oggi non si vivrebbe con tanta concitazione ed esasperazione questo passaggio.

Nel ribadire la propria serena determinazione a proseguire la protesta fino al soddisfacimento delle giuste richieste, il Coordinamento dei Docenti che aderiscono alla protesta contro il blocco degli scatti stipendiali La saluta e La ringrazia per l’attenzione.

Chiara fama all’italiana: una storia esemplare

Paolo -MacchiariniMarco Gasperetti. Lascia il segretario del Nobel che assunse il chirurgo italiano (Corriere della Sera, 8 febbraio 2016).

Michele Bocci. Trapianti falliti e falsi curriculum il super chirurgo messo alla porta (La Repubblica, 9 febbraio 2016).

Macchiarini, le 3 accuse del saggio (Corriere Fiorentino, 10 gennaio 2016)

Sergio Romagnani. Caro direttore, ho letto venerdì l’articolo di Alessio Gaggioli e il suo commento sulla incredibile recente evoluzione della storia del chirurgo Paolo Macchiarini e ho anche consultato il resoconto apparso il cinque gennaio sul sito della nota rivista americana Vanity Fair, intitolato «The Celebrity Surgeon Who Used Love, Money, and the Pope to Scam an NBC News Producer», che penso rappresenti la pietra tombale sul prestigio di questo personaggio. Dal resoconto di Vanity Fair emerge infatti in maniera indubbia il quadro di una personalità che va al di là di ogni più torbida previsione. Poiché come lei sa bene, io ho partecipato in prima persona ad alcuni eventi che hanno segnato il soggiorno di Macchiarini a Firenze e sui quali avevo già espresso alcuni commenti sul suo giornale a quel tempo ed anche successivamente, mi sento in dovere di trarre alcune conclusioni con riferimento ai protagonisti fiorentini della vicenda. Escludo dalle mie considerazioni la magistratura fiorentina, anche se le sue accuse sono state decisive nell’allontanamento del chirurgo dall’ospedale di Careggi, perché esse riguardano comportamenti professionali non di mia diretta conoscenza e che del resto sono oggetto di un processo attualmente in corso. Vorrei invece fare alcune considerazioni su altri protagonisti della vicenda, sui quali ho maggiore cognizione, cioè i politici, i professori della Facoltà di Medicina e i media.

I politici

Appare chiaro che il Macchiarini fu chiamato a Firenze a causa di una scelta politica basata sulla fama da poco acquisita di innovatore nelle tecniche chirurgiche sulla trachea e a tal fine furono al medesimo promessi un compenso molto elevato, un laboratorio creato e sostenuto con fondi regionali e, in accordo col Preside della Facoltà di Medicina, anche la nomina a Professore Ordinario senza necessità di un concorso nazionale (come avviene solitamente), ma utilizzando una legge che consente una chiamata «per equipollenza», cioè una chiamata diretta da parte della Facoltà possibile nel caso che Macchiarini avesse svolto una funzione equivalente a quella di Professore Ordinario in almeno una università straniera. Da quanto mi risulta non furono prese informazioni dirette dal Direttore del Dipartimento dell’Università di Barcellona (Spagna) dove il Macchiarini aveva effettuato il suo intervento chirurgico innovativo e nessun esperto nazionale o internazionale del settore delle cellule staminali usate nel suo intervento venne consultato. I bravi politici sono spesso chiamati ad avere intuizioni per scelte strategiche anche in settori molto diversi e perciò hanno la necessità di avvalersi del parere di esperti ben riconosciuti come competenti ed autorevoli in ciascuno di questi settori. Sfortunatamente, nelle scelte di politica sanitaria fatte a Careggi negli ultimi decenni sono state decisive le indicazioni di clinici, anche bravi professionalmente, ma privi di reale spessore scientifico. Uno spessore ormai da tempo evincibile semplicemente attraverso la consultazione di un sito («Web of ScienceTM della Thomson Reuters»), dove sono chiaramente indicati i principali parametri di valutazione oggettiva di tutti i ricercatori del mondo (numero delle pubblicazioni, fattore di impatto, numero delle citazioni, h-index). Questa politica sanitaria, basata sui suggerimenti di consulenti non accreditati a livello internazionale ha peraltro condotto nel tempo alla trasformazione dell’azienda ospedaliero-universitaria di Careggi da centro di alta specializzazione, ricerca e formazione delle nuove leve di medici, di assoluto livello nazionale ed internazionale, ad un semplice ospedale di pur ottimo livello assistenziale. Ma questo è tutt’altro discorso e meriterebbe un diverso contesto per il suo approfondimento.

I professori di Medicina

Una volta interpellata dal preside, la Facoltà di Medicina non accettò la chiamata del Macchiarini a professore ordinario a scatola chiusa con la formula dell’«equipollenza», ma chiese un esame del suo curriculum da una commissione di saggi, della quale io fui chiamato a far parte. La commissione nel giro di 3-4 sedute stilò il rapporto richiesto nel quale si faceva presente che il Macchiarini non aveva mai svolto funzioni analoghe a quelle di un professore ordinario, nonostante che nel suo curriculum vitae fosse chiaramente esplicitato che egli aveva rivestito un ruolo corrispondente a quello di professore ordinario nelle università di Parigi, Hannover e Barcellona. Ciò risultava ben chiaro, nonostante che alla commissione fosse stata interdetta la possibilità di effettuare le necessarie controprove tramite contatti diretti con le università in questione. Ottenuto il rapporto della commissione, il preside ritenne opportuno non riferirne le conclusioni in Facoltà ai fini di una approvazione o di un rifiuto sulla chiamata, ma al tempo stesso decise di mantenerne segreto il contenuto. Nonostante ciò, la decisione finale della componente universitaria dell’azienda di Careggi fu quella sostanzialmente giusta perché si risolse nella mancata chiamata del Macchiarini a professore ordinario presso l’università di Firenze. Quindi i «baroni» della Medicina furono gli unici a prendere in questa occasione la decisione più corretta. Leggo oggi sulle «News» dell’istituto Karolinska di Stoccolma che in seguito all’articolo su Vanity Fair l’istituto ha deciso una rapida azione investigativa per verificare l’accuratezza delle informazioni fornite da Macchiarini nel suo curriculum vitae prima del suo impiego in quella sede universitaria in qualità di «visiting professor».

I media

I media, sia gli altri giornali della città nelle loro cronache locali, sia alcuni quotidiani a livello nazionale, con l’unica eccezione del Corriere Fiorentino, svolsero nel corso di questa vicenda un ruolo veramente deteriore accendendo un tifo da stadio in favore del Macchiarini. Le motivazioni di questo tifo erano probabilmente diverse, alcune legati a meccanismi di ossequio o di affinità nei confronti dei politici responsabili ed altre probabilmente di natura più sotterranea. Ma il punto centrale della indegna gazzarra di stampa fu la presentazione ai lettori della decisione sostanzialmente negativa della Facoltà come un rifiuto da parte dei «biechi baroni» a consentire il rientro in Italia di un giovane «cervello in fuga». Peraltro in quegli anni la posizione «bieca» dei professori di Medicina era di gran moda anche in molte trasmissioni televisive. A cause di queste ingiuste accuse, io chiesi agli altri membri della commissione ed al preside di rendere pubblico il rapporto dal quale si evinceva invece chiaramente come Macchiarini avesse truccato il suo curriculum vitae per ottenere la chiamata a professore ordinario e che quindi esisteva la prova di una vera truffa, che dopo le rivelazioni di Vanity Fair sappiamo essere una delle tante da lui perpetrate. A questo proposito, un grande esperto di psicopatie, il dottor Ronald Scheuten direttore del servizio di legge e psichiatria del Massachusetts General Hospital di Boston, interpellato sempre da Vanity Fair a proposito dei comportamenti del Macchiarini, li ha definiti come l’espressione della forma estrema di truffatore («the estreme form of a conman»). Da tutta questa storia si evince che almeno per quanto riguarda il rapporto tra Macchiarini e Firenze gli unici ad aver agito in maniera corretta, oltre al giornale da Lei diretto, siano stati proprio i «biechi baroni» della commissione nominata dalla Facoltà di Medicina. Per questo vorrei chiudere ringraziando pubblicamente i miei colleghi membri di quella Commissione, nonché il suo giornalista Alessio Gaggioli per la sagacia investigativa, la correttezza e l’onestà intellettuale che ha sempre dimostrato nella descrizione delle varie fasi di questa fantasmagorica storia.

Niente paura! Ci penserà il prossimo rettore, designato da chi ha affossato l’ateneo senese

 

Oldman

Valeria Strambi. Buoni risultati anche per l’Università di Siena, che passa dai 2.314 immatricolati dello scorso anno ai 2.319 di quest’anno.

Rabbi Jaqov Jizchaq. …me cojoni, come dicono alla Sorbona! È già tanto che non diminuiscano, intendiamoci, ma come si può pretendere che gli studenti addirittura aumentino? È “il tocco” e tutto va male. Anche oggi ho avuto una conversazione con uno studente che si accingeva a fare la tesi in una certa materia, ma il professore è andato in pensione e l’insegnamento in quella materia viene palleggiato fra docenti che fanno un diverso mestiere. La qual cosa non è affatto rassicurante per un giovane che voglia cavarci qualcosa dalla tesi e dalla specializzazione che intraprende. È tutto così, una storia che si ripete pressoché quotidianamente: come si può pensare che gli studenti aumentino, se gli insegnamenti diminuiscono drammaticamente? Anche se fra un paio di annetti ricomincerà il reclutamento vero e proprio (non l’avanzamento di carriera di ricercatori che già coprivano i rispettivi insegnamenti), quanti ne piglieranno, a fronte dei cinquecento circa che se ne saranno andati? Dieci? Venti (manco a vederli…)? E in quali materie?

Groucho Marx. Siamo circondati dal nemico. Siamo tre uomini e una donna. Mandateci dei rinforzi. O, per lo meno, mandateci altre due donne.

Rabbi Jaqov Jizchaq. …voglio dire, così non si può andare avanti: o ci mandate rinforzi, oppure decidete cosa farne di tutti coloro che lavorano in quei settori talmente indeboliti dalle uscite di ruolo, da essere ridotti ad un groviera che non consente più di garantire né un insegnamento, in ossequio alla decenza, oltre che naturalmente ai famosi “requisiti minimi di docenza”, né un’adeguata mole di ricerca, per assenza di quella “massa critica” indispensabile affinché essa abbia luogo.

I quaquaraquà della ricerca: dall’astensione ufficiale dalla VQR all’adesione sottobanco

Carlo-FerraroCarlo Ferraro. Cari colleghi Professori e Ricercatori, molte sedi segnalano che Rettori, Direttori di Dipartimento o loro delegati hanno iniziato o intensificato le “grandi manovre” in vista delle chiusure locali delle VQR (alcuni le proseguono anche a chiusure avvenute). Il tutto con il solito corollario di lusinghe, appelli o pressioni di vario genere. La forma di pressione più subdola, la più pericolosa per noi, è quella dei Direttori o loro delegati affinché i loro Docenti diano sottobanco la selezione dei propri lavori, i vari dati necessari e, sempre sottobanco, i PDF. Garantendo ai Docenti l’assoluta riservatezza e anonimato affinché questi, pur avendo aderito anche in forma ufficiale all’astensione dalla VQR, si sentano tranquilli e al riparo da possibili critiche da parte dei loro colleghi. La motivazione addotta è di non arrecare danno al Dipartimento.

Su questo punto, vi prego di considerare quanto segue. È un’azione subdola e scorretta da parte di chi chiede e da parte di chi cede alla richiesta, e questa volta si può proprio dire eticamente criticabile, per ragioni ovvie. In particolare si invita a dissociare la forma in cui si manifesta la propria protesta (non selezionare in proprio i prodotti e non allegare i pdf) dalla sua sostanza, che consiste nel non comunicare né trasmettere in alcun modo, neppure informale (per telefono, per e mail, di persona…), la selezione dei prodotti e i relativi pdf. In sostanza si dice: “tu non farlo, con il che manifesti il tuo dissenso e sei a posto formalmente, ma poi, sottobanco, aiuta noi a farlo, tanto nessuno lo saprà mai”. Se farete questo, avremo perso: e dimentichiamoci per sempre classi e scatti!

In quanto al probabile danno ai Dipartimenti, se noi rimarremo irremovibili nella sostanza della nostra astensione, non si arriverà a questo momento perché, anche con minime percentuali di astensione, i Rettori saranno costretti (se ne parla più oltre) a fare pressione sul Governo per ottenere quanto chiediamo: il riconoscimento di classi e scatti stipendiali con una legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Dunque con la nostra astensione sostanziale noi vogliamo invertire la rotta delle pressioni: invece di subirle da Rettori, Direttori di Dipartimento o loro delegati, esercitarle noi su tutti loro per ottenere il riconoscimento dei nostri sacrosanti diritti.

Vi invito perciò a riflettere attentamente. I vari modi di fare pressione, fra i quali quelli sopra descritti, sono tentativi per far fallire la nostra azione sulla VQR. Dopodiché i Rettori torneranno al letargo che li ha pressoché totalmente contraddistinti in passato e non avranno più alcuno stimolo al tavolo tecnico con la Ministra per sostenere le nostre richieste.

Non fornite pertanto a nessuno, meno che mai sottobanco, i dati richiesti per la VQR. Non autorizzate i Dipartimenti, né esplicitamente né implicitamente, a fare la selezione in vostra vece, come alcuni consigliano.

L’azione avrà successo, come fino ad ora è avvenuto, se non si cede in dirittura d’arrivo. Aver testimoniato il disagio e la protesta e poi assecondare alla fine i Dipartimenti, dunque gli Atenei, dunque il Ministero, non impressiona nessuno: soprattutto non serve a raggiungere l’obiettivo, che è quello di riavere classi e scatti stipendiali. E ricordate che bastano anche piccole percentuali di astensioni dalla VQR per mettere in agitazione i Rettori, dato che non potranno ripetere le prestazioni ottenute nella precedente VQR: ciò li obbligherà, anche se non condividono la nostra azione, ad agire in sede ministeriale, che è quanto vogliamo come aiuto alle nostre azioni.

Prego i colleghi coordinatori nelle numerose sedi in cui si sono già costituiti coordinamenti locali (Milano Statale, Napoli Federico II, Roma Tre, Parma, Firenze, Udine, Siena, Messina, Roma La Sapienza, Genova, Bologna, Modena e Reggio Emilia, Padova, e spero di non dimenticare nessuno) di diffondere questa mia ai loro indirizzari. Inviate pure questa e-mail ai colleghi ai quali di solito la inviate. Prego quelli di Voi che sono interessati a ricevere direttamente notizie del tipo di questa e-mail di scrivere a letterapresidenterepubblica@gmail.com, indicando nel subject “Inseriscimi” e saranno aggiunti all’indirizzario.

Università: sulla scomparsa della comunità scientifica e della figura del Maestro

Enzo Scandurra

Enzo Scandurra

Intellettuali silenti e declino dell’Università (il manifesto, 3 febbraio 2016)

Enzo Scandurra. Il declino lento e inarrestabile dell’Università, la sua rinuncia ad essere l’universo, luogo di produzione di sintesi convincenti, ben esprime e rappresenta il collasso narrativo dell’Occidente e lo stato dell’afasia contemporanea. Il dibattito sul suo ruolo si è, anni fa, incagliato (e lì è rimasto) intorno a questo nodo fondamentale: sapere per il mercato o sapere per essere capaci di scelte consapevoli? Ha prevalso il primo termine: quello che va bene al mercato, va bene anche all’università e così a partire da Luigi Berlinguer si è sviluppato quel processo di declassamento e di delegittimazione che sembra non conoscere fine. Se sentiste parlare gli studenti, avreste modo di conoscere quanto essi non vedono l’ora di abbandonarla come un luogo inutile, un castigo necessario, nell’attesa (sempre più disperata) di un posto di lavoro. Forse fa eccezione qualche studente, sopravvissuto al collasso, che tenta di ricomporre una qualche sintesi all’interno dei dottorati di ricerca, poi niente, silenzio.

Avendo smarrito i propri fini, l’Università è diventata un sistema burocratico-amministrativo fallimentare e improduttivo, senza alcuna capacità di scorgere i segnali del cambiamento e tanto meno di possedere la capacità di interpretarlo e incidere sulle trasformazioni che sconvolgono il mondo contemporaneo. È capace l’università, tanto per fare solo alcuni esempi tra mille possibili, di fornire una qualche narrazione adeguata dei cambiamenti climatici in atto, della questione ambientale, della crisi economica, della crisi del modello urbano? No, non ne è capace, anzi si limita, nel migliore dei casi, a fornire dei rimedi parziali, delle risposte inadeguate, essendo in tutt’altre faccende affaccendata.

Come affermava Pietro Barcellona, non esiste più una comunità scientifica, ma solo alleanze fra cordate e gruppi di potere, là dove i nostri figli avrebbero disperatamente bisogno di un Paese che si appropri del proprio futuro, che sappia progettare ponti e cattedrali, scoprire i segreti delle stelle e i miracoli delle nanotecnologie, senza perdere di vista, però – aggiungeva Pietro – che il vero problema è sempre il destino dell’uomo nel tempo che ci tocca vivere. E alla scomparsa della comunità scientifica si aggiunge quella drammatica della scomparsa della figura del Maestro.

Anziché una ricomposizione, i saperi vengono continuamente disarticolati, scomposti, separati gli uni dagli altri fino al nozionismo più esasperato (i famosi Cfu, crediti formativi), così da preparare il terreno a quei mitici concorsi universitari in ordine ai raggruppamenti disciplinari (Ssd), vero e propri pilastro culturale intorno al quale si organizzano accordi elettorali, cordate accademiche e produzione di inadeguati e falsi saperi. E che dire delle pubblicazioni scientifiche sulla base delle quali una fantomatica Agenzia (Anvur) è chiamata a giudicare ogni membro della morente comunità accademica? Intorno ad esse – le pubblicazioni scientifiche – sono sorte migliaia di nuove riviste accreditate, fiorisce l’unica attività editoriale ancora produttiva del Paese.

Per anni screditata dagli attacchi dei mass-media (luogo di malaffare, di corruzione, di svendita degli esami, ecc.), l’Università ha finito con l’adeguarsi alla cattiva immagine che di essa ne è stata fatta tra la gente comune, rinunciando perfino a far valere le proprie ragioni, non rintuzzando la concorrenza sleale delle varie libere università sorte come funghi. Del resto, se essa è demandata solo a fornire sterili nozionismi, perché un privato non potrebbe riscuotere maggiori successi?

Conosco sempre più docenti che hanno chiesto di essere messi in pensione prima del tempo. Almeno da questo punto di vista, essi si sono arresi. Il declino dell’università, che pure essi hanno ostacolato, avversato e combattuto con passione, ha finito con lo sfinirli. Asor Rosa ha paragonato questo esodo a quello dei dinosauri in estinzione: «Questo lungo e faticoso cammino – rispetto all’approdo finale, ossia lo stato presente delle cose – fa sentire chi l’ha compiuto nelle condizioni di quegli animali primitivi che a un certo punto uscirono di scena per il totale mutamento delle condizioni generali del pianeta» (“Il Grande silenzio, intervista sugli intellettuali”).

Coloro che sono rimasti, si sono adeguati, così che dopo il Grande silenzio è subentrata anche la Grande tristezza. Sembra una questione archiviata; le cifre e i numeri che circolano sul suo stato di salute (meglio sarebbe dire sulla sua malattia terminale) ne attestano la morte presunta. Forse a metterci sopra la pietra tombale sarà l’annunciato (ennesimo) provvedimento di Renzi sulla “Buona Università”.

Ma in un’affollata assemblea di dottorandi e ricercatori precari, a Roma qualche giorno fa, ho sentito esclamare: «Dobbiamo scatenare una controffensiva culturale di portata equivalente a quella scatenata da Confindustria, verso la metà degli anni Novanta, iniziando a criminalizzare l’università italiana. Dimostriamo loro che non siamo bamboccioni improduttivi; noi produciamo scienza, nuovi saperi, cultura vivente…».

Benvenuta e salutare è allora l’iniziativa per l’Università promossa l’11 febbraio a Napoli da, Arienzo, Bevilacqua, Bonatesta, Carravetta, Catalanotti, Olivieri (Lettera-Appello al mondo dell’Università, su il manifesto del 22 gennaio). Coraggio si ri-parte! Non dalle aule della Bocconi; questa volta si parte dalle macerie del Sud. E gli intellettuali dove sono? Perché non escono dal Grande Silenzio per scendere in campo a fianco di questi ragazzi, senza i quali il silenzio diventerà tombale?

Tra finti risanamenti dell’Ateneo senese comincia il palio del Rettore

Ombra«All’interno della Facoltà di Medicina un confronto serio e costruttivo per trovare la sintesi sul nome» (Corriere di Siena, 2 febbraio 2016)

Anna Coluccia (Docente universitario). Dal Corriere di Siena del 28 u. s. apprendo con sorpresa che nelle elezioni per il futuro Rettore della nostra Università sarebbero in corsa due candidati, contrapposti quasi a singolar tenzone.

Senza entrare ora nel merito dell’attendibilità o meno della notizia, ritengo che essa – nella forma in cui è stata data – rischia di far passare sotto silenzio, e quindi svilire, il dibattito tuttora in corso all’interno del nostro Ateneo e della ex Facoltà di Medicina in particolare. Dispiace soprattutto che le prossime elezioni per il Rettorato vengano presentate come una specie di competizione agonistica tra due “contendenti”. Posso assicurare che fortunatamente non è così: nel nostro Ateneo fervono ancora le discussioni sul futuro dell’Università, si confrontano idee e programmi. Il tutto all’insegna di una progettualità alta, che appassiona ed impegna tutti coloro che hanno a cuore lo Studio senese mentre attraversa una fase molto delicata, e direi cruciale, della sua storia plurisecolare. La situazione dell’Ateneo è infatti più complessa rispetto a quanto emerge dalle Sue fin troppo benevoli osservazioni sull’asserito “risanamento” attuato dall’attuale governance. Per molti aspetti infatti tale situazione è da ritenersi ancora critica. A meno che di non voler considerare in termini positivi, dissennatamente, l’innegabile ridimensionamento cui l’Università di Siena è andata incontro in questi ultimi anni, a molti livelli.

Al di là di questi rilievi, vorrei che il lettore del «Corriere» sapesse, per esempio, che nella ex Facoltà di Medicina è in corso un dibattito serio e costruttivo alla ricerca di una piattaforma comune capace di diventare sintesi per un discorso che affronti con reale efficacia, finalmente, le sfide del presente. Proprio per questo, prima di fare i nomi di chicchessia, noi del Dipartimento di Scienze Mediche Chirurgiche e Neuroscienze, abbiamo scelto la strada della riflessione, affidando a un nostro collega, il professor Alessandro Rossi, l’incarico di perlustrare le differenti progettualità disponibili e di individuare una possibile sintesi tra di esse. Ciò al fine di giungere a una candidatura unitaria, espressione della nostra ex Facoltà ma capace di dialogare con i molteplici saperi presenti nel nostro Ateneo. È una questione di metodo: vorremmo che il nostro candidato fosse frutto di una consapevole partecipazione democratica da parte di tutti e non di una designazione dall’alto (ogni riferimento è, mi creda, meramente casuale…).

Tanto mi premeva precisare, caro Direttore, senza alcuna intenzione polemica, ma in spirito di verità e come contributo a un’informazione più ricca e articolata rispetto alle attuali vicende della nostra Università.