La ricerca “eccellente” non può che nascere da un ambiente scientifico diffuso, anche se non “eccellente”

Uno stimolante intervento di Figà Talamanca (“il Riformista” 7 gennaio 2008) che cerca di sfatare il luogo comune che propone di concentrare i finanziamenti per la ricerca solo sull’eccellenza. Si legga anche l’intervento di Jean-Paul Fitoussi su “I valori della ricerca”.

PERCHÈ DEVONO ESSERE PREMIATE SOLO LE ECCELLENZE?

Alessandro Figà Talamanca. «Concentrare i finanziamenti per la ricerca nei centri di eccellenza», «evitare i finanziamenti a pioggia», «premiare l’eccellenza». È difficile che chi parla, in Italia, di sostegno e finanziamento alla ricerca scientifica non usi uno di questi slogan o un suo equivalente. Sembrerebbe che il mondo scientifico italiano sia diviso tra una maggioranza di asini e una minoranza di “eccellenze” e che la politica di promozione della ricerca scientifica si riduca al problema di distinguere gli asini dalle “eccellenze”. Ma siamo proprio sicuri che sia così?
Facciamo il caso delle scienze mediche che, tra l’altro, sono quelle il cui progresso sta più a cuore al pubblico che, direttamente o indirettamente, paga per la ricerca scientifica. Vorremmo proprio, ad esempio, che si promuova e si finanzi la ricerca scientifica solo in una minoranza delle facoltà di medicina, lasciando alle altre il ruolo di istituzioni di insegnamento, ma non di ricerca? Una simile politica avrebbe l’effetto di promuovere un fenomeno negativo che già conosciamo, quello della migrazione dei malati nei centri ritenuti più aggiornati, anche per malattie facilmente curabili nei centri a loro più vicini.

(…) La medicina interviene sull’uomo, e non su materiali inerti. Questo significa che la ricerca medica non fornisce formule universalmente applicabili, inseribili in un “manuale”, consultabile anche da chi non ne capisce completamente il significato. La ricerca scientifica in medicina dà luogo, piuttosto, a “protocolli” di diagnosi e cura, costantemente aggiornati e modificati, che possono essere correttamente interpretati solo da chi conosce i limiti della ricerca, cioè da un medico che abbia avuto almeno una limitata esperienza di ricerca. Per questo la formazione del medico, di qualsiasi medico, deve avvenire a stretto contatto con attività di ricerca. Non è più possibile, come forse ancora avveniva quaranta anni fa, una formazione basata sull’imitazione di un geniale maestro. La funzione dell’attività di ricerca in ambito medico non è quindi solo quella di trovare nuovi rimedi e nuove cure. La ricerca è parte essenziale dell’insegnamento della medicina, forse, addirittura dovrebbe divenire parte essenziale della pratica medica. Essa non solo dovrebbe svolgersi in ogni facoltà universitaria, ma, possibilmente, in ogni struttura ospedaliera. O comunque, un ritorno periodico ad attività di ricerca dovrebbe essere previsto per tutti i medici.
Stiamo parlando a questo punto di ricerca “eccellente”, cioè altamente innovativa e destinata a produrre un salto in avanti delle conoscenze mediche? Certamente non sempre. È indispensabile che si tratti di ricerca metodologicamente corretta e ben collegata a livello internazionale, ma può ben trattarsi di ricerca di routine, o di ricerca ripetitiva, ricordando tra l’altro che la ricerca sperimentale è proprio basata sulla ripetitività degli esperimenti. Almeno per la medicina, siamo giunti alla conclusione che un finanziamento mirato a promuovere, in tutte le sedi universitarie, una ricerca scientifica, anche mediocre, purché all’interno di standard metodologici accettati a livello internazionale, non costituirebbero uno spreco di risorse. In questo caso la priorità non sembra quella di concentrare i finanziamenti su pochi centri di eccellenza. Tra l’altro, la ricerca “eccellente” non può che nascere da un ambiente scientifico diffuso, anche se non “eccellente”. Resta il dubbio che gli slogan contro i “finanziamenti a pioggia” restino validi per le altre discipline. Ma è un dubbio, appunto, e non un dogma, un dubbio che dovrebbe essere risolto caso per caso.

4 Risposte

  1. Giusto. Le formule sono sempre ingannatrici: perché semplificano la realtà. Dipende dai contesti. Chiaro che se c’è un finanziamento limitato, per certi fini esso è insufficiente e quindi anche INUTILE (e fonte di spese inutili!), per altri invece anche il poco è vitale! L’ordinaria amministrazione quando finisce? E che cosa consente?
    Noi ‘umanisti’ se abbiamo buone biblioteche solo eccezionalmente abbiamo bisogno di soggiorni di ricerca fuori sede, di grandi strumentazioni ecc. Potranno servire microfilm, copie digitali, foto ecc., che però potrebbe procurare – e rimanere in patrimonio quindi de – la biblioteca.
    L’unica cosa seria e indispensabile è la verifica dei risultati.
    Chi la fa? Perché non si fa un’anagrafe del consolidato ricevuto in finanziamenti ad es. negli ultimi 5 anni? E ognuno fa relazione sull’uso fattone, con indicazione di che si è fatto in particolare con i fondi ricevuti?
    Altro punto. E i ricercatori? Chi ha collaboratori, è chiaro che può fare – anche senza un euro di finanziamento specifico – certe cose… chi è eternamente privo di assegnisti e ricercatori perché non ‘conta’, deve contare solo sulla ricerca personale per certi filoni.
    Ultimo: la ricerca collaterale, la ‘para-ricerca’. Io ho presente soprattuto quella fatta in archivi e biblioteche o soprintendenze, dove c’è fior fiore di personale (a volte, come all’università) che fa ricerca eccome: col proprio stipendio, sul tempo che a volte dovrebbe essere riservato a incombenze d’ufficio (ma quanto spesso la ricerca dovrebbe essere proprio dentro le competenze?).
    Ma non figura sui soldi dati alla ricerca, mentre figurano le due lire/euro date per il telefono o per fare fotocopie didattiche…
    Qualcosa non funziona, vero? Ma non era demonstrandum…
    Mario Ascheri

  2. Mario, hai perfettamente ragione. Scrivevo nella mia candidatura a Rettore (8 febbraio 2006) limitatamente alla ricerca:
    http://www.ilsensodellamisura.com/files/Candidatura_G.Grasso.pdf

    «Il potenziamento dell’Ateneo si deve ottenere sviluppando la ricerca in tutti i settori, non concentrando le risorse su pochi. Al contrario, si deve estendere al maggior numero possibile di singoli ricercatori e gruppi la possibilità di accedere, sulla base del criterio della qualità, ai finanziamenti locali. È quindi necessario razionalizzare ed ottimizzare le risorse materiali ed immateriali, verificando la loro corretta gestione e produttività e riservando la valutazione ad organismi scientifici imparziali, competenti e compatibili.»
    Presso l’Ateneo senese, i ricercatori che, nonostante le competenze e la loro qualificata produzione scientifica, non riescono ad ottenere alcun finanziamento locale per le loro ricerche, sono circa il 60%. Ciò risulta ancora più grave se si considera che l’analisi dei finanziamenti erogati da Enti esterni (Fondazione MPS, fondi europei, Regioni, PRIN, Istituto Superiore della Sanità, Industrie, ecc.) mette in luce che, con il PAR (acronimo di “Piano di Ateneo della Ricerca”, con il quale Tosi definì pomposamente il finanziamento locale), vengono concessi fondi in gran parte a soggetti e linee di ricerca già finanziati per altre vie. Si viene così a realizzare, in evidente contrasto con lo spirito e la lettera del DPR 382/80, una «superflua duplicazione e sovrapposizione di finanziamenti» con conseguenti esclusioni o penalizzazioni di altri qualificati ricercatori. Senza considerare che assegnare finanziamenti ad una ricerca già finanziata integralmente da altri Enti, potrebbe costituire un incentivo ad utilizzare l’eccedenza per finalità diverse.
    E si badi che agli stessi soggetti vengono poi concessi: borse di dottorato, assegni per la ricerca, borse post-dottorato, ricercatori, tecnici, amministrativi, contratti di ogni genere, pagamenti di fatture ecc.. Ecco il voto di scambio. Il clientelismo nell’università di Siena elevato a sistema. Anche se a ricevere tutto ciò sono gruppi qualificati, si tratta sempre di clientelismo. In tal modo l’Ateneo cresce solo in pochi settori, ma non si sviluppa nella sua totalità. E siccome sempre di più in futuro il fondo di finanziamento ordinario (FFO) verrà assegnato sulla base dei voti dell’agenzia di valutazione, l’Ateneo senese verrà sempre più penalizzato.

    Giovanni Grasso

  3. sulla ricerca in essere descritta da ascheri e grasso ne so qualcosaq! Quindici anni di ricerca siffatta, senza alcun riconoscimento. Questo lo si da ai vari prof di regime e ai loro feudatari e vassalli…evviva la democrazia e i democratici!

  4. …al di là del fatto inerente l’invito al papa, resta da dire che non spetta ai prof. baroni alcun aut-aut (l’errore è stato, semmai, del rettore). Sono i primi a censurare il libero dibattito, e mi spiace anche dar ragione al Socci, che peraltro è un buon diavolo, seppur integralista (dicono anche i suoi “amici” cattolici). I baroni universitari, basta vedere a Siena la facoltà di lettere, hanno la protervia degna degli sgherri di qualsivogli immonda Signoria… Piazzano mogli e figli e prendono, in genbere, per le mele gli studenti, lasciati nell’apatia piu’ invereconda…
    Speriamo sempre nei “grandi comunisti” Putti, Solinas, Clemente, Tronti e altri esimi democratici. Spetta a questi linpiaoisti in sedicesimo cambiare l’università!? Allora, come dice la Silvia, siamo alla frutta. Battete un colpo in questa Italietta o sinceri democratici!

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