A Siena continua l’esodo dei docenti universitari: per amore o perché morsi dal ramarro?

Il Direttore generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese (AOUS), Paolo Morello Marchese, ha dichiarato: «Ho dovuto chiedere ad alcuni professionisti di agevolare un percorso di cambiamento. Li ho convocati uno per uno, analizzando la situazione di ogni singola realtà. Tutti hanno compreso e praticamente tutti si stanno avviando verso il pensionamento, per alcuni precoce, per altri no. Devo ringraziarli tutti per la sensibilità dimostrata in questa circostanza, hanno compreso, per il bene dell’ospedale, la necessità di procedere alla riorganizzazione di alcuni settori importanti. I risparmi che ne ricaveremo andranno al sostegno di nuovi ricercatori.»

Ecco i tredici docenti: Alberto Auteri, Francesco Cetta, Anna Coluccia, Giuseppe Coviello, Francesco Lauria, Marco Lorenzi, Pietro Luzi, Giuseppe Marzocca, Lucio Palma, Mario Antonio Reda, Giancarlo Stortini, Mirella Strambi, Francesco Tani.

Ciclo ormai compiuto: l’università di Siena è il nuovo Cepu, quello pubblico

Rabbi Jaqov Jizchaq. L’idea che si debba tacere “perché si sono iscritti un sacco di studenti”, come vaneggiano certe gazzette, mi pare vieppiù puerile. Lo “smantellamento” non è una metafora: è semplicemente la constatazione del dato nudo e crudo che ogni anno spariscono pezzi dell’ateneo e corsi di laurea, “a posteriori” definiti “inutili”. Abituati alle memorabili campagne dell’ufficio imperialregio per la propaganda dell’immagine, sembra che l’importanza di una scienza sia in larga misura questione d’involucro, ma prima o poi considerazioni di ordine qualitativo diverranno ineludibili e mi pare un po’ puerile asserire che da questo punto di vista “tutto va bene madama la marchesa” perché si sono iscritti un sacco di studenti a “l’ateneo”. Giacché gli studenti non si iscrivono a “l’ateneo”, né alle “facoltà” (che oltretutto spariranno nel breve volgere di tre o quattro mesi), bensì a specifici corsi di laurea, non dimenticando che anche a questo giro di corsi di laurea ne sono spariti parecchi (nel comparto umanistico hanno fatto dei gran calderoni). Allargando poi lo sguardo ai tre atenei toscani, al di là dello sfarzo di chi può ostentare decine di professori di ruolo (e la patologica disomogeneità della distribuzione dei docenti, ovviamente non ritengo sia frutto del caso, né che abbia alcuna relazione con “l’eccellenza”), dico che è abbastanza triste constatare come corsi di laurea o settori scientifici che hanno avuto una tradizione e in certa misura fatto la storia di quegli atenei, oggi languiscano, sopravvivano a fatica, chiudano o rischino di chiudere, per il mix letale di “requisiti minimi di docenza” (declinazione del concetto di “taglio lineare”), pensionamenti, crisi finanziaria e blocco del turn over. Continuo pertanto a chiedermi che senso abbia oramai disseminare studiosi e studenti di un medesimo settore che non si è più in grado di tenere in tutti e tre gli atenei, qua e là a languire, piuttosto che concentrarli a dar man forte in una o due sedi. Qualcuno riderà sotto i baffi, rilevando che ciò è contrario a norme e consuetudini, e io replico che allora smettiamo di riempirci la bocca con “le riforme”, “la valutazione”, “la programmazione” e “l’eccellenza”. Se poi vogliamo consolarci sbandierando i dati generici delle immatricolazioni fingendo che tutto sia rimasto come prima e si tratti solo di risolvere il piccolo fastidioso inconveniente di una voragine nel bilancio, facciamo pure: chi si contenta, gode. I dati delle immatricolazioni sono ovviamente quelli delle triennali, perché per le iscrizioni alle specialistiche (o quel poco che ne è rimasto) toccherà aspettare a Dicembre, ma a mio modestissimo avviso v’è più ragione per perseverare nel nostro consueto scetticismo. Non so se il tutto è cominciato a Bologna, a Lisbona (o a Stigliano), ma come prova lo sdilinguirsi del Marignani, la sensazione è che la politica universitaria volta allo sfascio sia sostanzialmente condivisa bipartisan, avendo trovato qui a Siena più che altrove dei solerti esecutori e degli originali interpreti. Il dibattito intorno all’università appare convenzionale, stereotipato, ideologico, acritico, disinformato, leggermente omertoso e sostanzialmente artificioso. Molto sommessamente nel mio intervento precedente avrei sollevato qualche problemuccio ulteriore al quale non mi pare si possa rispondere in modo tranchant ed elusivo. Altrimenti sostituiamo la scritta che campeggia sulla porta Camollia, “Cor magis tibi Sena pandit” con un’altra: “ve la dò gratisse”. La laurea, s’intende.

Vieni avanti supercretino!

Angelo Riccaboni. «Il numero programmato nella nostra Facoltà di Farmacia non c’è mai stato quindi non capisco dov’è il problema. Nessuno poteva aspettarsi questa situazione e certo non possiamo non accettare i ragazzi nel nostro Ateneo».

Claudio Marignani (Coordinatore provinciale e consigliere regionale del PdL). L’aumento delle immatricolazioni è il segno tangibile della vitalità della nostra Università ed un ulteriore attestato di prestigio che, nonostante le peripezie economiche degli anni passati, dovute a gestioni non condivisibili, l’Università di Siena ha saputo mantenere presso la comunità intellettuale nazionale ed europea. Le 3.500 nuove immatricolazioni porteranno nuova ricchezza a tutta la città e richiederanno una risposta adeguata in termini di servizi da parte dell’amministrazione comunale. Ci auguriamo che questo positivo segnale imprima ulteriore e rinnovato coraggio al Rettore e all’intero CdA per proseguire nel piano di risanamento. A tal proposito il PdL saprà assicurare tutti i supporti politici necessari a partire dagli opportuni interventi di sostegno a livello ministeriale. Interventi che, come i cittadini sanno bene, non si sono mai interrotti e che saranno ulteriormente rafforzati.

È proprio vero che l’incremento delle iscrizioni all’università di Siena dipenda dalla qualità della didattica, della ricerca e dall’ottimo livello dei servizi?

Angelo Riccaboni. L’analisi del numero degli immatricolati, sebbene ancora non definitivo, evidenzia dei risultati assai interessanti: in attesa di completare le iscrizioni ai corsi di laurea a numero programmato della facoltà di Medicina, sono già 3917 gli studenti che quest’anno hanno scelto l’Università di Siena per i loro studi. Si tratta di un incremento del 40% rispetto allo scorso anno, che testimonia la qualità della didattica e della ricerca svolta presso il nostro Ateneo, nonché l’ottimo livello dei servizi offerti e l’attrattività della città. L’incremento di immatricolazioni riguarda tutti i corsi di studio, con aumenti che vanno dal 30% di Giurisprudenza al 15% registrato nelle facoltà di Economia e Ingegneria. Le variazioni maggiori si segnalano per alcuni corsi delle facoltà scientifiche, Farmacia, CTF, e Scienze biologiche, e derivano, oltre che dal legame di questi corsi con sbocchi professionali ad alto livello di occupazione, anche dal rilevante aumento di studenti che hanno partecipato ai test di ammissione ai corsi a numero programmato della facoltà di Medicina e chirurgia e che hanno poi scelto facoltà con percorsi di studio compatibili. Si tratta di un buon segnale per l’Ateneo e per la città intera, che premia il lavoro di tutti quelli che, dentro e fuori la nostra Istituzione, si stanno impegnando per mantenere il prestigio e la grande qualità dell’Università di Siena.

Vieni avanti cretino!

Il commento del Rettore sull’incremento delle iscrizioni all’università di Siena.

Angelo Riccaboni. Questa tendenza è un segnale molto importante che attesta la vitalità dell’ateneo. A Siena avremo oltre mille nuovi studenti in più rispetto agli altri anni che portano con sé, dal punto di vista economico, una forte ricaduta su tutto l’indotto. Più studenti ci saranno e più sarà vivo il settore immobiliare, più vivace sarà il commercio a tutti i livelli, insomma Siena può trovare giovamento da questa grande risorsa che in tempi di crisi rilancia l’intera città e tutto il sistema economico. Le istituzioni sono molto attente ed hanno capito che se l’università decolla, molti altri settori ne possono beneficiare. Serve lavorare insieme per lo stesso obiettivo. Questo forte incremento si spiega anche con il fatto che le classifiche ci premiano e gran parte delle nostre Facoltà sono nella top ten italiana. Le famiglie scelgono in base a queste valutazioni che mettono insieme alla vivibilità del territorio, ai servizi, alla coesione sociale, il buon nome dei nostri professori. In un momento in cui la crisi attanaglia tutte le famiglie e in cui non si fanno scelte approssimative o azzardate, il solo fatto che si scelga di investire su Siena, mi sembra un ottimo risultato, vuol dire che sotto tutti i profili l’offerta è esattamente quella che risponde alle aspettative.

Come la televisione trash, all’Università di Siena dequalificando l’offerta aumentano le iscrizioni

Rabbi Jaqov Jizchaq. Che dire? Ci s’interroga se è giusto o no vendere la casa dello studente di “Acquacalda”, ma non si riflette se è giusto o no vendere… aria fritta. Sostiene il rettore che «Quest’anno, anche se non abbiamo ancora i dati definitivi, c’è un trend positivo che può portare ad una crescita delle iscrizioni del 20 per cento rispetto ad un anno fa». Vabbè … attacchiamoci al “trend”… intanto cadono le foglie, si avvicina l’inverno, i dipendenti (che non guadagnano tutti 10.000 euro al mese, come scrisse scioccamente mesi or sono una gazzetta) tirano la monetina in aria per sapere se a Dicembre ci saranno le tredicesime e intanto mestamente pensano al fatto che poi con l’estate mancheranno verosimilmente anche le dodicesime e le undicesime; ma sarebbe interessante un dato di chiarezza anche intorno alle iscrizioni; sarebbe necessario cioè fornire il resoconto analitico, e non la propaganda per il “popolo” bue o ragionamenti un tanto al chilo; desidererei comprendere come è possibile che riducendo e dequalificando l’offerta, il prodotto ottenga maggiore successo di mercato (un po’ come la televisione trash, la politica mignottocratica, o la secessione birresca); vorrei capire dove si registrano questi incrementi e soprattutto a che prezzo si sono ottenuti. Perché, come ho già detto, il sospetto è che in taluni casi si faccia semplicemente il gioco delle tre carte e in altri, per rivitalizzare col Viagra illustri ciofeghe partitocratiche, si sia mandato in malora parte del patrimonio storico e della tradizione di questo ateneo, riducendo tutto ad un piattume inguardabile, ove chi abbia ancora il senso della decenza si trova fortemente a disagio.

E del resto, non per ragionare “ab ovo”, ma come ho già scritto, a mio modestissimo avviso tutto ciò è il naturale epilogo dei mali endemici che affliggono quest’ateneo, sito in una città sempre più “piccola” (troppo, per avere una opinione pubblica vigile ed incisiva), popolata da abitanti sempre più distratti dalle cose “culturali”, e caratterizzato anche per questo da un forte assenteismo che si è preferito ignorare, assolvendo tutti o (il che è equivalente) accusando genericamente tutti: un ateneo considerato da molte consorterie una diligenza da assaltare senza rischio per la vita, l’ennesima mucca da mungere, l’ennesimo poltronificio per scarti della politica, l’ennesimo ente pubblico da depredare da predoni che mentre depredano, magari dicono in giro che in questo contado non sorgerà mai nessuna esperienza scientifica interessante (peraltro ignorando, causa latitanza, quelle che già erano sorte a loro dispetto).

Ma qui si va avanti a sòn di propaganda, magari brandendo ingannevolmente i famigerati dati del Censis relativi a corsi di laurea in larga parte soppressi e a “Facoltà” che in quanto tali non esistono nemmeno più. Si continua a smantellare, stando ben attenti tuttavia di non dispiacere a marchesi e visconti, più o meno dimezzati, dicendo al “popolo” che tutto va per il meglio, e che si buttano via le cose inutili; le ragioni dell’affossamento di certi settori e del salvataggio di altri, pertanto, non di rado sono oscure, non traspaiono dai normali consessi democratici, consigli, comitati, adunanze varie, ma occorre essere “attovagliati” ai tavoli giusti per averne contezza. 
La più grossa ristrutturazione dell’ateneo degli ultimi quarant’anni avviene in definitiva in un silenzio assordante e avvolta in parte nel mistero, in parte nell’indifferenza; il dibattito reale è ristretto a cenacoli esclusivi e perviene alle orecchie dei comuni mortali solo “post festum”.

Considerato che oramai per chi si è trovato ancor “giovine” nell’occhio del ciclone la cosiddetta “carriera” è andata a farsi fottere (e per chi sia privo dell’amorevole ala protettrice di una grassa chioccia è ben difficile che una qualche prospettiva si riapra fra quattro o cinque anni); che cioè in definitiva la maggior parte di coloro che non avevano già compiuto il salto del rospo verso “più elevati” livelli di carriera allo scoppiare del “buho”, è rimasta al palo, senza che si sia mai visto nessuno a “valutare” alcunché meritocraticamente, o eccellentemente, considerato tutto ciò, a questo punto direi che sono in diversi quelli che, dovendo trascorrere qui presumibilmente ancora qualche lustro prima di gettarsi dalle balze di Volterra (verosimilmente il tipo di “pensionamento” che allo scadere dei termini ad essi verrà proposto), non disdegnerebbero di sapere a fare cosa restano qui: con quali obiettivi, quali prospettive e in quale contesto, con quali interlocutori, entro quali progetti, quali corsi di laurea, atteso che non possono fare tutto e che di “dentisti dantisti” non se ne sente proprio il bisogno.
 Se i nomi sono l’essenza delle cose, dai nomi stessi di certi insegnamenti o corsi di laurea si evince facilmente la vacuità della loro essenza, e avendo perduto ogni cognizione di ciò che è fondamentale e ciò che è complementare, si è buttato sovente tutto a sobbollire nel pentolone della sòra Cianciulli, traendone un sapone molliccio incolore, ma non certo inodore; sicché quest’anno le statistiche delle immatricolazioni celebreranno ovviamente i successi di chi è stato salvato e stenderanno una nota di biasimo su chi è stato soppresso: reciteranno che i vivi sono andati meglio dei morti, senza che oltretutto nessuno si degni di indagare chi e perché è morto.

«Qualche lieve fruscio sui vetri lo fece voltare verso la finestra. Aveva ricominciato a nevicare. Guardò assonnato i fiocchi, argentei e scuri, che cadevano obliqui contro la luce del lampione. Era venuto il momento di mettersi in viaggio verso l’ovest. Oh sì, i giornali avevano ragione: c’era neve in tutta l’Irlanda. Cadeva dovunque sulla scura pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva soffice sulla palude di Allen e, più a occidente, cadeva sulle scure onde ribelli dello Shannon. Cadeva anche nel solitario cimitero della collina dove Michael Furey era sepolto. Si posava a larghe falde sulle croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sugli sterili rovi spinosi. E lenta la sua anima s’abbandonò mentre udiva la neve cadere lieve su tutto l’universo, lieve come la loro definitiva discesa, su tutti i vivi, su tutti i morti.»

James Joyce, “I morti”, da: “Gente di Dublino”.

Un fondo immobiliare per speculare sull’Università di Siena?

Arnold Böcklin, "The Isle of the Dead", 1883

Ancora una volta, il silenzio assordante sulle vicende dell’Università di Siena è rotto da un articolo del Mondo, di seguito integralmente riportato, che, segnalando un altro caso di nepotismo e una situazione conflittuale nella Facoltà d’Economia, conferma quel che rivelai nel giugno scorso: l’esistenza di un progetto rischioso e illegittimo per la gestione di alcuni immobili dell’Ateneo. Per tamponare le croniche crisi di liquidità, poteva, Riccaboni, vendere qualche immobile, come ha fatto il suo predecessore? No! Troppo facile! Un economista di grande stazza, come lui, non può certo apparire come un agente immobiliare! Ecco, allora, l’idea di «un’operazione straordinaria» che prevede la costituzione di una “Fondazione” per la gestione degli immobili da alienare. L’assoluta segretezza che circonda il progetto, il tentativo (fallito) di farlo approvare surrettiziamente, nascosto all’interno di una delibera sulla ricognizione degli spazi, gli screzi tra i docenti ideatori, i rapporti mai chiariti con un operatore finanziario indagato dalla Procura di Fondi, la comparsa, per ultima nel panorama delle trovate brillanti, di una Società di Gestione del Risparmio (sgr), le tante domande sull’intera vicenda che, ancora, attendono risposta, tutto ciò legittima il sospetto di una speculazione ai danni dell’Ateneo. Come non ricordare la cartolarizzazione, nel 2007, degli enti pubblici previdenziali che portò pochissimo denaro nelle casse dello Stato e rese molto di più a banche e intermediari finanziari? Pertanto ritengo necessario riformulare alcune legittime domande che, mi auguro, questa volta, non restino senza risposta. Perché, Riccaboni, ha deciso di ricorrere alla costituzione di un Fondo immobiliare? Lo sa che, nel rispetto delle regole del patto di stabilità, le risorse così acquisite non potranno essere utilizzate per la spesa corrente? L’Ateneo sottoscriverà quote da collocare presso investitori, a fronte del trasferimento degli immobili? Gli intermediari specializzati che utilizzerà l’università, saranno esterni oppure docenti dell’ateneo senese? Tra questi, ci sarà anche il Prof. Lorenzo Frediani?

Articolo pubblicato anche da:
Il Cittadino Online (12 ottobre 2011). L’università e il fondo immobiliare. E le domande del professor Grasso.

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La vera storia dell’Aids è ancora tutta da scrivere: dal virus osannato al virus inventato

Domenico Mastrangelo. La vera storia dell’Aids comincia dalla Conferenza Italiana sull’Aids e sui Retrovirus (Firenze, 27-29 Marzo 2011), che si è svolta sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, del Ministro della Salute, della Regione Toscana, della Provincia e della Municipalità di Firenze, delle Università di Firenze e Roma, delle società scientifiche nazionali, del Servizio Sanitario Nazionale e di organizzazioni coinvolte nella lotta contro l’Aids. È ben noto che, per oltre 25 anni, l’opinione di scienziati cosiddetti “dissidenti”, quali Peter H. Duesberg ed Henry Bauer, non è stata mai accolta nelle conferenze dell’establishment medico internazionale e tutte le voci che hanno messo in serio dubbio il ruolo del virus Hiv nel provocare l’Aids, sono state sistematicamente messe a tacere. Associazioni per un riesame scientifico dell’ipotesi Hiv/Aids, come “Rethinking Aids”, non sono mai state invitate a partecipare. Su questa deplorevole condizione è stata finalmente scritta la parola “fine” a Firenze, con il riconoscimento formale ed ufficiale dei contributi di scienziati come Duesberg, Bauer, Fiala, Kohenlein, Rasnick, Nicholson, Morucci, Ruggiero, Galletti, Branca, Punzi o Mandrioli, tutti scienziati che hanno posto in serio dubbio il ruolo del virus Hiv nel causare l’Aids. Infatti, le loro comunicazioni sono state accettate per la presentazione al congresso, dopo un regolare procedimento di revisione da parte di esperti (“peer reviewing”) ed i relativi abstracts sono ora pubblicati su un fascicolo speciale di “Infection”, una rivista scientifica sulle malattie infettive, che è la pubblicazione ufficiale di quattro autorevoli Società scientifiche.

Per la prima volta, in più di 25 anni, affermazioni come: “L’Hiv in sé non è la causa dell’Aids” o “Non esiste un gold standard per i tests sull’HIV” o ancora, “I farmaci anti-retrovirali come l’AZT non curano né prevengono l’Hiv o l’Aids”, sono state riconosciute come ipotesi scientificamente plausibili e degne di essere presentate e discusse nell’ambito di conferenze scientifiche sponsorizzate dall’International Aids Society. Se il Comitato Scientifico che ha valutato le quattro comunicazioni dei cosiddetti “dissidenti”, deve essere lodato per integrità scientifica e apertura mentale, non meno deve esserlo il Comintato Organizzativo per aver accettato “Rethinking Aids” come Associazione legittima, coinvolta nella lotta contro l’Aids (e non come una “banda di rinnegati”!). Di fatto, l’Organizzazione del congresso ha accettato un membro italiano di “Rethinking Aids”, il professor Marco Ruggiero, come rappresentante qualificato della comunità Hiv/Aids, concedendogli la registrazione gratuita e l’accesso a tutti gli eventi, inclusa la sontuosa serata di gala a Palazzo della Signoria, sede della famiglia dei Medici, durante il Rinascimento.

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Anatomia delle bufale sull’Università e sul mondo della ricerca italiana

Oltre all’articolo seguente si raccomanda la lettura di quello integraleUniversità: cosa dice l’OCSE dell’Italiazeppo di dati e di una sintesi in PowePoint.

Università postfattuale tra mito e realtà (il manifesto 30 settembre 2011)

Giuseppe De Nicolao. Viviamo in quella che Farhad Manjoo ha battezzato «società postfattuale»: non abbiamo solo opinioni diverse, ma viviamo in mondi diversi, perché il diluvio di dati e statistiche ci permette di selezionare le notizie che confermano i nostri pregiudizi. Alcune persino false, ma il fact-checking è un esercizio così raro che difficilmente verranno smentite. L’università non fa eccezione. Eppure, grazie al web qualcosa potrebbe cambiare.

Primo esempio: il 22 agosto scorso, la Repubblica lancia l’allarme. Italia maglia nera d’Europa: dopo anni di crescita, tra il 2008 e il 2009 la produzione scientifica italiana ha subito un tracollo del 20%. La fonte sembra autorevole: un articolo scientifico intitolato «Is Italian Science declining?» scritto da Cinzia Daraio, ricercatrice dell’università di Bologna, e di Henk Moed, senior advisor della casa editrice Elsevier. Tra l’altro, la Daraio è allieva di Andrea Bonaccorsi, uno dei maggiori esperti italiani di valutazione e membro dell’Agenzia Nazionale per la Valutazione della Ricerca (Anvur). La Repubblica legge il crollo come un effetto dei tagli imposti da Tremonti e Gelmini. La notizia, però, è una bufala. Nel mio blog dimostro, dati alla mano, che l’errore deriva dall’avere interrogato il database degli articoli scientifici del 2009 nella prima parte del 2010 quando gli archivi erano ancora incompleti. Chi dovrebbe reagire non lo fa. La Repubblica non rettifica e, a distanza di un mese, né il Ministro Gelmini né l’Anvur hanno commentato o smentito la notizia del crollo. Nella nuvola di fatti e dati non verificati, uno svarione in più non fa differenza sia per il giornalista sia per chi governa e valuta il sistema della ricerca.

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