L’Università della Basilicata è molto chiacchierata: irregolare gestione dei fondi europei (che coinvolge lo stesso Rettore), ammanco di 2 milioni d’euro con conseguente esercizio provvisorio, danni all’erario, denunce e querele, la regione che bacchetta il Magnifico, interrogazioni al parlamento italiano ed a quello europeo, un fiume di denaro che scorre attraverso consulenze, incarichi professionali, convenzioni e megaprogetti. Prima di analizzare tutto ciò, vediamo come Marco Travaglio descrive la Lucania, il Texas d’Italia, attraverso le indagini del pm Woodcock e gli scandali politico-amministrativi in questa finta «isola felice».
Amaro Lucano
Da: Micromega, agosto 2006
Marco Travaglio. Di magistrati con tanti nemici ne abbiamo visti molti, in questi anni. Ma con tanti nemici e così pochi amici c’è solo Henry John Woodcock, il pubblico ministero di Potenza che nelle sue indagini ha avuto la sventura di incappare in molti potenti. Da quando, il 16 giugno, ha fatto arrestare Vittorio Emanuele di Savoia, il portavoce di Gianfranco Fini, Salvo Sottile, e i loro presunti complici, sul capo del giovane magistrato anglo-napoletano sono piovuti attacchi di ogni tipo e provenienza (politici ed editorialisti di ogni orientamento, alte e basse cariche dello Stato, istituzioni repubblicane e monarchiche, e financo qualche magistrato) che hanno investito anche il gip Alberto Iannuzzi, «colpevole» di aver accolto le richieste del pm.
Una breve galleria dei nemici di Woodcock aiuterà a capire meglio quel che accade a Potenza, ma soprattutto nella «nuova» Italia del centro-sinistra.
La Lucania è un osservatorio privilegiato: una finta «isola felice» che in realtà, grazie alla sua perifericità geografica, lontano dai grandi circuiti mediatici, è sempre più infestata dalla ‘ndrangheta, dalla corruzione, dagli impasti massonici, dagli scandali politico-amministrativi talmente trasversali che, alla fine, una mano lava l’altra.
L’unico baluardo di legalità è la magistratura: anzi un pugno di pochissimi magistrati, assediati nei loro stessi uffici e invisi ai loro stessi superiori. Oltreché, si capisce, ai loro indagati.
Tralasciamo volutamente gli attacchi dei «vip» finiti sotto inchiesta e i loro amici protettori. E concentriamoci su quanti avrebbero il dovere di difendere chi compie il proprio dovere e di consentirgli di continuare a svolgerlo serenamente, e invece si adoperano trasversalmente per rendergli la vita impossibile.
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