Per i sindacalisti di Siena l’università è forse un insieme di uffici in cui depositare il venerabile didietro dei loro funzionari in carriera?

vigni_iacoboni«Uno sforzo deve essere fatto da tutti – ha spiegato Claudio Vigni, segretario generale della Cgil di Siena – (…) Il discorso dei docenti oltre i 65 anni, riguardo ad un loro eventuale pensionamento, è una cosa da valutare visto che il corpo docente incide per il 66% del costo complessivo delle spese.»

Stavrogin. Mi rendo conto che il discorso che vado ripetendo, in un contesto in cui prevalgono ragionamenti meramente quantitativi da sensali, possa apparire superfluo e lontano dal mondo (ir)reale in cui stiamo vivendo, ma non cesso di ribadire che “il corpo docente” non appartiene esattamente ed in blocco alle “spese superflue” dell’università, come certi luculliani pranzi da 750 euro. E mi domando ancora se la gente ha la piena consapevolezza di ciò che fuoriesce dai propri orifizi: a ottobre prossimo partiranno i nuovi ordinamenti, fondati sui numeri attuali di docenti strutturati, che in molti casi sono risicati, e non è vero che ovunque i docenti “sono troppi” (anche qui, o andiamo a vedere come stanno le cose caso per caso, o sarebbe meglio tacere). Si aggiunga che la ministra annuncia un giro di vite, norme più rigide e l’innalzamento dei requisiti minimi di Mussi; per farla breve, i nuovi corsi nascono già moribondi: vogliamo mandare in pensione anticipatamente i docenti che abbiano maturato il diritto, determinando la caduta dei requisiti minimi di docenza e procedendo ad una pietosa eutanasia? Bene, del resto molti si sono già “pensionati” da sé e all’università “non ci risultano”: andrebbero comunque rimpiazzati con giovani aitanti e volenterosi come mera opera di misericordia nei loro confronti; ma com’è noto non si può, anche se un ricercatore costerebbe la metà della metà di un ordinario. Facciamo dunque bene i conticini, perché quand’anche l’operazione di rottamazione del corpo docente ci conducesse ai vertici degli atenei “virtuosi” da un punto di vista ragionieristico, finiremmo per ottenere (come si diceva di quel poeta) il più importante degli atenei… morenti. Ma – si dirà – sono all’orizzonte ulteriori accorpamenti, entro lo stesso ateneo e tra atenei e questo dovrebbe ripristinare i minimi e rimpinguare le fila. Personalmente, pur comprendendo che tutto ciò è inevitabile, temo che il risultato sarà un gran “troiaio” fatto di fretta, con un’accelerazione delle conflittualità e delle pulsioni autodissolutorie:  “i docenti” non sono un branco di bestie vaccine, cioè a dire non è che  contino solo come numero, e dunque non solo non si può mettere un papirologo ad insegnare ottica quantistica, ma anche semplicemente la pretesa di travasare in un dipartimento (a sua volta già in procinto di essere accorpato in una “school” anglo-italica) una carrettata di gente (sicuramente dai molti appetiti e dalle molte aspettative) che c’entra poco o nulla con le competenze locali e la ricerca che lì si pratica, sconvolgendone completamente, sia  l’impostazione della ricerca stessa, che gli equilibri e l’assetto, non può che risultare foriera di nuovi guai.

Noto che il sindacalista non accenna menomamente al fatto che in proiezione, gli amministrativi si avviino ad essere il doppio dei docenti; qualcuno gli chieda cosa diavolo amministreranno: ma cos’è “l’università” per costoro? Forse un insieme di uffici in cui depositare il venerabile didietro dei loro funzionari in carriera?