Una resurrezione impossibile, per l’università di Siena guidata dalla banda dell’Ortica

Enzo Jannacci (1935-2013)

Enzo Jannacci (1935-2013)

Rabbi Jaqov Jizchaq. Solidarietà ai lavoratori della Cooperativa, ovviamente: 64 persone per la strada non sono un trascurabile incidente, ma come si fa a sostenere di voler salvare i posti di lavoro senza pensare a come fare a salvare la fabbrica? Trovo nel mondo politico-sindacale una schizofrenia veramente sorprendente. La contrapposizione tra docenti e amministrativi era un cavallo di battaglia della Trimurti sindacale. Dal grafico unisi si evince che l’università di Siena si avvia ad avere il doppio di amministrativi rispetto ai docenti allo scadere dei prossimi sette anni (caso unico nell’universo noto ed intravisto da Hubble). Ma se messa così la faccenda appare come un attacco al personale tecnico e amministrativo, allora possiamo vederla in un altro modo, dicendo che il vero dato eclatante è che il personale docente dimezzerà.

Sì, dimezzerà, e lo farà a macchia di… giaguaro, senza possibilità di essere sostanzialmente rimpiazzato, attestandosi su un numero tra i 500 e i 600 docenti: o forse vi è qualche ottimista che prevede una riapertura massiccia del reclutamento da qui a breve? Annichilendo le strutture didattiche e di ricerca vi saranno, per forza, ulteriori ripercussioni anche sul personale tecnico ed amministrativo; dunque, avendo a cuore le sorti del medesimo, non capisco come si possa evitare di parlare di questo tema. Quando, indulgendo ad un melassoso populismo, si parla de “i docenti” tout-court, come di un tutto indistinto, costituito evidentemente solo da “baroni”, facendo i conti del salumaio quando li si enumera senza troppi distinguo (da un maiale ci viene due prosciutti, qualunque mestiere faccia il porco), forse si dimentica che l’università non fabbrica prosciutti, né ricciarelli e panpepati, e che una coscia di biochimico non fa lo stesso servizio di una coscia di astrofisico.

Per un ciclo completo ti ci vogliono venti docenti di ruolo (lo stabilì Mussi, lo ribadì la Gelmini): ciò implica che se in quattro corsi di laurea ti vanno in pensione cinque docenti per corso, non solo questi quattro corsi chiudono, considerato che oramai è stato accorpato l’accorpabile (anche con risultati esecrabili e fallimentari nel nome dello sputtanamento totale-globale) e la panchina delle riserve è esaurita, ma a quel punto devi decidere cosa farne dei sessanta docenti che rimangono ed accettare l’idea che non avrai più immatricolati a quei corsi che hai chiuso. E vai col liscio… Attendere imbelli la chiusura dei corsi e la sparizione delle discipline scientifiche – giacché non tutti hanno i famigerati 22 professori di ruolo, come si è visto – e la costante moria di studenti, man mano che la gente va in pensione (a quel punto, per un circolo vizioso, rendendo superflui anche molti di quelli che non vanno in pensione), è secondo voi un modo sensato di gestire le risorse umane? A me pare di no. Si dimentica che:

  1. le competenze non sono intercambiabili;
  2. i numeri necessari sono fissati dalla legge;
  3. quelli che Siena può mettere sul piatto sono miseri e relativi oramai a specialisti delle materie più svariate;
  4. buona parte dei docenti di ruolo, tra quelli che arriveranno vivi (salvo suicidi) al fatidico 2020, anagraficamente i più giovani, sono i ricercatori, per un numero infinitesimo dei quali qui si aprirà la prospettiva di una “chiamata” come associati.

Dunque che tutti i docenti siano “baroni” al culmine della carriera che guadagnano un fottìo di quattrini è una boiata pazzesca. Già a oggi i ricercatori sono 355 su un totale di circa 820 docenti, che sarebbe un ragguardevole 43% circa; essendo mediamente i più giovani (o meno anziani), immagino che si troveranno quasi tutti ancora lì, quando il totale dei docenti sarà poco più di 500, ed essendo la progressione in carriera bloccata, ci arriveranno col medesimo grado: molti di costoro lavorano in settori destinati ad estinguersi per le ragioni sopra dette e non è chiaro cosa intendano farne le competenti autorità

Di certo non li attende una promozione, perché, idonei o no, quando un settore disciplinare non esiste più, né esiste più il corso di laurea ove era naturalmente inserito, è ben difficile che venga riesumato e che qualcuno – se si eccettua l’intervento miracoloso di San Gennaro – “chiami” un associato per quel settore. Ma anche senza promozione, dove e come potranno pensare di continuare a espletare al meglio la loro attività? Sicché questa è tutta gente cui hai rovinato la vita, segata senza alcun tipo di valutazione “meritocratica” e che per giunta ti resterà sul groppone. Questo anche per dire che la demagogica contrapposizione docenti vs amministrativi (roba da politicanti di quart’ordine) non tiene conto del continuum di situazioni diverse ed incomparabili che si trovano nei due campi.

In questo blog si sono evidenziati gli scenari che l’apertura di ulteriori cospicue falle in uno scafo malandato, che già dal 2008 è stato malamente rattoppato, porterà con sé, visto che la legge, per tenere aperti i corsi, lo ripeto alla nausea per chi finge di non capire, richiede un certo numero di docenti di ruolo (cioè solo di ricercatori, associati, ordinari) in una precisa miscela e dunque insistere che molti dipendenti, inquadrati come tecnici, in realtà insegnano è perfettamente inutile, perché per la legge non contano come docenti, la loro quantità è del tutto ininfluente al mantenimento dei corsi di laurea e non turano le falle nei requisiti minimi di cui sopra.

Ribadisco la mia persuasione che Siena oramai da sola non risolve niente. Semmai s’illude di risolvere i problemi, risolvendo temporaneamente solo quelli di qualcuno. La legge (art. 3) indica una via d’uscita, il cui senso è che nella difesa da un assedio, gli assediati non si sparpagliano sulle mura oramai cadute, ma arretrano e si concentrano nella difesa del torrione. Ciò vale anche per i settori scientifici e non solo per i castelli. Soprattutto mi domando se vi sia qualcuno dotato di una visione d’insieme e capace di andare oltre la conservazione strenua e insensata dei particolarismi feudali. Ma qui mi sa che in diversi si renderanno conto di cadere, solo quando saranno a un centimetro dal suolo.

Una Risposta

  1. P.S. In questa serata uggiosa, ho dato, per curiosità, un’altra occhiata nel sito MIUR http://cercauniversita.cineca.it/php5/docenti/cerca.php e http://anagrafe.miur.it/php5/home.php, per controllare se la tesi di Golene che un personale docente dimezzato non comporterà un gran problema, sia fondata o meno; mi pare che una sede che con un numero di docenti pari grosso modo a quelli che si avvia ad avere Siena, dopo l’ineluttabile dimezzamento del corpo docente, mantiene tuttavia lo stesso numero di iscritti di Siena, sia l’università di Trento, con circa 600 docenti, e poco più di 15000 studenti. Bisognerebbe anzitutto premettere che ciò che attrae a Trento, sia, non ultima, la minore densità di sedi universitarie nella regione e soprattutto una gran quantità di danari e di borse di studio dovute all’autonomia regionale trentina.

    Ho cercato tuttavia, anche le rispettive posizioni di Siena e Trento nelle classifiche della prestigiosa “Jiao Tong” University di Shanghai (“Academic Ranking of World Universities”), lasciando perdere quelle ruffianesche del CENSIS. Ebbene, nel 2011 Siena galleggiava intorno a cinquecentesimo posto; nel 2012 è scomparsa del tutto dalle prime 500. Quella di Trento scomparve già nel 2004, sicché non so se sia questo l’esempio a cui ispirarsi. Bergamo fa 14000 studenti con circa 400 docenti: veramente pochi, ma non ha Medicina, né alcun comparto tecnologico o scientifico, che ovviamente necessitano di molto personale, e nella “World Top” ARWU delle prime 500 università, non risulta, né è mai risultata. Ferrara ha ad oggi 633 docenti e 14000 studenti. Galleggia attorno al cinquecentesimo posto, ma ebbe maggior gloria in passato: è nell’elenco (parziale) che riportai tempo fa, delle università che hanno deciso di federare alcuni corsi di laurea con le altre università della propria regione.

    La “Parthenope” di Napoli totalizza 14000 circa studenti anch’essa con 400 docenti: guadagnò la “palmarès” di peggior ateneo d’Italia. Sassari fa 12000 studenti con 704 docenti; all’ARWU non risulta menzionata. Trieste fa 16000 studenti circa con poco più di 700 docenti; nonostante la SISSA, scomparve dall’ARWU nel 2006. Udine con 700 docenti, fa 14733 studenti. Nella ARWU non si ha notizia. Anche Trieste e Udine sono corse ai ripari federando alcuni corsi di laurea (“L’Università degli Studi di Trieste e l’Università degli Studi di Udine, impegnate in un patto federativo, collaborano all’istituzione e alla programmazione di quattro corsi interateneo di Laurea Magistrale”). Trento invece, ha federato alcuni corsi con Verona.

    Ma il punto che rende poco plausibili questi paragoni credo sia il seguente: in realtà, a Siena, dei docenti che rimarranno dopo il dimezzamento, ne potrai utilizzare proficuamente molti di meno dei 500 e passa; questi, infatti, non sono quelli che “ti ci vogliono”, programmati a tavolino per una mirata e strategica riorganizzazione della didattica e della ricerca tesa a consolidare specifici settori “di punta”, sulla base di un progetto mirato, ma semplicemente … quelli che ti restano dopo che gli altri sono usciti di ruolo. Non dunque una quantità razionalmente programmata e distribuita nei vari settori disciplinari a seconda della bisogna, ma pochi nuclei “forti”, rimasti abbastanza solidi e coesi (alcuni, ma non tutti rubricabili nella lista dei più importanti e prestigiosi), e poi attorno molti sbandati di un esercito in rotta: energie, competenze, vite sprecate. Allora mi domando veramente quali siano le “riflessioni di natura strategica” di cui parla il Rettore e come possano prescindere dalle considerazioni e dalle ipotesi che in questo blog (e in pochi altri posti, ahimè) vengono discusse.

    Vorrei sinceramente essere confutato, ma si vede che queste “riflessioni” che dimessamente vi sottopongo non sono abbastanza importanti strategicamente…

    Buona Pasqua a tutti

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