«Le tre università toscane debbono individuare la loro vocazione con Siena relegata alla didattica di primo livello»

OmbraRabbi Jaqov Jizchaq. Commenta Andrea: «Iniziano le grandi manovre per formare i primi “hub di ricerca” a quanto pare bisognerebbe spostare l’attenzione delle varie discussioni su tematiche concrete a Siena, altrimenti davanti a questi futuri colossi dove si va?»

Scusate se insisto, ma l’insistenza, dicono, quando non giungono risposte, è pratica di buon giornalismo. Il più diffuso quotidiano nazionale, Repubblica, riporta una considerazione circa l’università di Siena che suona quasi come una sentenza: «soltanto Pisa emerge come centro di ricerca di buon livello nel panorama nazionale. Questo quadro suggerisce una riflessione: è inutile fare appello alla gloriosa tradizione e declamare l’eccellenza su tutti i fronti, le tre università debbono individuare la loro vocazione: Firenze può ambire ad essere una università generalista di buon livello, Pisa un centro di eccellenza nella ricerca scientifica, Siena un università specializzata nella didattica di primo livello.»

Siena relegata alla “didattica di primo livello”: che ne pensa di un simile programma, evidentemente non scaturito spontaneamente dalla penna di un giornalista, il gruppo che con continuità guida l’ateneo da molti anni (che poi, in un senso più esteso, è anche il gruppo che guida la città)? Credo che chi non ha la fortuna di andare in pensione a breve (e, paventando il recapito della “busta arancione”, medita che forse anzi non ci andrà mai) abbia almeno il diritto di sapere grosso modo per cosa si affanna e quale sarà il proprio destino, dopo dieci anni di congelamento nel freezer a far finta di essere ancora un “giovane ricercatore”. In vari messaggi precedenti avevo modestamente espresso la seguente opinione:

1) Trovavo ipocrita che si parlasse de “l’università di Siena”, come se niente fosse cambiato dal 2007 ad oggi. Vi sono aree scientifiche che Siena non è più in grado di sostenere, perché non può, né potrà per almeno vent’anni recuperare nemmeno la metà della metà della gente che è andata via. Considerato che in certi specifici ambiti ciò non accade solo a Siena, tra gli atenei toscani, e che non è un corretto uso delle risorse umane quello di mettere gente a fare ciò che non sa e non dovrebbe fare e non consentirgli di fare ciò che deve fare (vedi capitolo ANVUR e VQR) e che saprebbe fare, mi ero pertanto permesso (citando l’art. 3 della riforma Gelmini) di avanzare sommessamente una proposta.

Sostenevo che forse avrebbe più senso, alla luce della sbandierata regionalizzazione, concentrare i docenti in esubero di queste aree dismesse in poli regionali – limitatamente, ripeto, a questi casi di conclamata ed irrecuperabile insostenibilità – dotati di quella “massa critica” necessaria affinché parole come “eccellenza” e “ricerca” abbiano un significato non eufemistico. Ebbene, questo, in genere, non si è fatto, se non limitatamente ad alcuni dottorati sponsorizzati dalla regione: tra burocrazia kafkiana che pesa come una palla al piede e gelosie particolaristiche delle immarcescibili baronie, il discorso è stato affossato. Mi domando dunque come si possa pensare a progetti di più ampio respiro, guidati da una regia centrale regionale, se non si è stati capaci nemmeno di realizzare obiettivi minimali di collaborazione, peraltro previsti dalla riforma.

2) Altra e totalmente diversa cosa è dire che Siena deve diventare tout-court una sorta di fattrice atta a produrre diplomati triennali (in inglese si dice “teaching university”) ad uso degli altri atenei, rinunciando perciò in ogni campo alla ricerca e all’eccellenza: dunque anche in quei settori non troppo, o non ancora investiti dalla crisi dove l’ateneo si distingue a livello nazionale e non solo. Continuare cioè a devastare il proprio patrimonio di eccellenze puntando dritto a divenire un’università di serie B (anche se pubblicamente si va affermando il contrario) in nome di un progetto vago concepito non si a bene in quali antri. Oppure (versione edulcorata del medesimo progetto di riduzione a sede distaccata) irrealisticamente pensare che si debbano mantenere un paio di settori d’eccellenza al massimo, e tutto il resto, cioè una buona parte dell’ateneo, mandarlo in malora.

Insomma, una cosa è collaborare in un reciprocamente vantaggioso “do ut des” tra il cieco e lo zoppo in quanto università pubbliche e dipendenti dello stato, un’altra cosa è sottomettersi del tutto, rinunciando al proprio rango e alla propria autonomia. In ogni caso sarebbe grazioso il parlar chiaro. A me pare che si fosse partiti, plausibilmente, discutendo della possibile attuazione del punto (1), ma si stia pericolosamente scivolando fino ad accettare le premesse del punto (2), come attesta l’articolo su Repubblica. La ridotta mole di un ateneo che si avvia a diventare grande un terzo di quelli vicini, tra i quali spicca un grosso “hub” pisano che risucchia nella sua orbita ciò che vi è intorno, danno adito al sospetto che tutto sia già deciso. Perché in fondo, ritengono alcuni (a torto), è un programma più facile da attuare: basta non fare niente e que sera sera…

Il rettore dell’Università di Siena: il Gil Cagnè dei bilanci.

Riccagne«Io sono arrivato a fare il rettore da patologo e il mio successore è un ecologista. Cosa volete che ne sappiamo noi di conti?», dichiarava Piero Tosi nel novembre 2011. Si riferiva alle accuse della Procura della Repubblica (riportate in seguito in modo dettagliato nel corso del processo sul dissesto economico-finanziario dell’università) che dimostrava come il “grande timoniere” Tosi ritoccasse i bilanci, aggiungendo per più anni consecutivi l’importo (circa quattro milioni di euro) della vendita della casa dello studente o inserendo tra le entrate otto milioni di euro di un inesistente finanziamento ministeriale. Analogamente, cosa potrebbe dichiarare oggi Angelo Riccaboni a chi gli fa notare che il Bilancio unico dell’esercizio 2013 dell’Università di Siena non s’è chiuso, come lui dice, con un avanzo di competenza di 6,91 milioni d’euro ma con un disavanzo di competenza di 3,55 milioni d’euro? Anche in questo caso, Riccaboni ha imbellettato il bilancio 2013 (il terzo rettore; «non c’è due senza tre»?) inserendo le partite di giro e le entrate per conto terzi in una colonna impropria che gli consentisse di ottenere un avanzo di competenza. Beh, potrebbe sempre dire che lui, pur essendo un docente di economia aziendale, in realtà, è un esperto visagista.

Pubblicato anche da:
– Bastardo Senza Gloria (11 aprile 2016) con il titolo: «I conti dell’Università: un po’ di storia a cura di Giovanni Grasso».
– il Cittadino Online (11 aprile 2016) con il titolo: «Bilanci imbellettati dell’Ateneo: Grasso non molla».
Il Santo Notizie di Siena (12 aprile 2016) con il titolo: «Qualcuno dovrà rispondere al Professor Giovanni Grasso!!!».