«Chi è uscito vincitore dall’aspra tenzone ha idea di dove sta conducendo l’ateneo senese, vista l’ineludibile attualità dei problemi posti in luce da questo blog?»

Rabbi Jaqov Jizchaq. Le sentenze, come si usa dire, non si commentano. Ma non vorrei che per alcuni questa condanna in primo grado chiudesse la stagione del dibattito sul destino dell’Università di Siena: una volta messi alle corde ed isolati tutti coloro che hanno osato avanzare qualche obiezione, potremo giocondamente ricominciare a nutrirci di rassicuranti luoghi comuni, confortati dai sempre favorevoli giudizi del CENSIS intorno alle magnifiche sorti e progressive di Siena che trionfa immortale?

Le conseguenze individuali del terremoto che ha subito l’ateneo sulla vita di molte persone che all’università hanno avuto la ventura di capitare al momento del crollo, sono assai più gravi di una invettiva lanciata da un sito web, quando la polemica infuriava al calor bianco, che non offusca il valore del contributo politico e culturale offerto dal sito stesso. Suscita semmai raccapriccio la post-verità diffusasi oramai nella comunità cittadina, secondo cui, in fondo, all’università di Siena non è successo niente, tranne l’eliminazione di qualche persona inutile (cioè quattrocento su mille!) e qualche materiuccia superflua.

Ieri, il Corriere della Sera, recensendo il saggio di Gilberto Capano, Marino Regini e Matteo Turri «Salvare l’università italiana», ne pone in rilievo alcuni passaggi, laddove si biasimano i decenni di oscillazioni politiche intorno al modello da perseguire, “altalenando tra centralismo e autonomia, lassismo e rigore, bastone e carota”, e si sottolinea la necessità, al presente, di aggregare “i dottorati di ricerca in poche grandi scuole per differenziare in modo intelligente le aree di azione di ogni Ateneo e ottenere una massa critica che permetta di puntare a grandi progetti ed eccellenze senza disperdere energie.”

È vero che molti dottorati italiani sono la prima cosa da riformare, perché troppo spesso non costituiscono un autentico avviamento alla ricerca. In più, i posti di dottorato sono dimezzati in dieci anni. Del resto, sbocchi occupazionali non ve ne sono (“Università, crescono le borse post laurea, ma il 90% dei ricercatori sarà espulso“). Il Sole 24 Ore parla di un timido +5,5% di posti di dottorato nel 2017, a fronte di una drastica riduzione del 41,2% nell’ultimo decennio. Attualmente 10 atenei, di cui 8 del Nord, garantiscono il 42% dei posti a bando: il 49% dei posti è bandito dagli atenei del Nord, il 29% del Centro, il 21% del Sud.

Ebbene, questa lacerante incertezza è stata ripetutamente posta in evidenza in questo blog, così come l’espressione “massa critica” è stata usata, by the way, anche dal sottoscritto in alcuni interventi in questo blog. Da parte mia, alludevo in maniera più estesa e non circoscritta ai dottorati, al problema della desertificazione di vaste aree scientifiche, delle quali rimane solo il simulacro: sotto una certa “massa critica” è illusorio infatti cianciare di “ricerca” (o anche di buona didattica). Mi domando pertanto se coloro che sono usciti vincitori dall’aspra tenzone abbiano una precisa idea di dove stanno conducendo la nave. Certo non dipende solo da loro, ma i problemi dell’ateneo posti in luce da questo blog appaiono tutti di pressante ed ineludibile attualità.

Il Corriere parla anche della necessità di “una specializzazione in alcune aree scientifiche, di ciascuna università” (ibid.). Ecco, anche questo tema è stato anticipato dal blog, al momento in cui tale prospettiva è stata ventilata come panacea per la rinascita dell’ateneo senese: qui è stato ripetutamente sollevato il quesito se un ateneo ultraspecializzato (dunque ulteriormente ridimensionato) possa sopravvivere e bastare a sé stesso, oppure se questo disegno si inscrive nel progetto più generale di costituzione di grandi hub regionali, con ramificazioni locali specializzate. E in questo caso, cosa toccherebbe a Siena (siamo sicuri che ci tocchino le scienze della vita?).

Sempre il Corriere (tra gli altri), giorni or sono, recava la notizia della firma da parte della ministra, del decreto che istituisce le lauree triennali professionalizzanti: non è una svolta di poco conto, perché da un lato questo induce a chiedersi a cosa serviranno (ammesso che in passato siano servite a qualcosa) da ora in poi le lauree triennali non-professionalizzanti, e dall’altro autorizza il sospetto che accentui quella tendenza, già evidenziata in questo blog, a trasformare gli atenei medio piccoli in succursali di grandi “hub” regionali, dedite principalmente a questo compito, “teaching universities”, o scuole professionali parauniversitarie sul modello tedesco. Se all’università non si può più discutere nemmeno di questo, allora che razza di “università” sarebbe, quella attuale?

“Il termine post-verità è la traduzione dell’inglese post-truth: esso indica quella condizione secondo cui, in una discussione relativa a un fatto o una notizia, la verità viene considerata una questione di secondaria importanza”. (Wiki)

Il commento di Raffaella Ruscitto alla sentenza del processo a Giovanni Grasso querelato da Angelo Riccaboni

Raffaella Ruscitto

Cronache dal palazzo (di giustizia). Di scena Giovanni Grasso, i contradaioli e Sandra Pelosi (il Cittadino online, 6 dicembre 2017)

Raffaella Ruscitto. Si è conclusa la mattina del 4 dicembre la vicenda giudiziaria che vedeva il professor Giovanni Grasso chiamato in causa per il reato di diffamazione dall’ex rettore Angelo Riccaboni. Il professore è stato giudicato «Colpevole del reato a lui ascritto limitatamente alle espressioni “interdizioni del professor Riccaboni dalla carica di Rettore debba ritenersi una misura cautelare necessaria considerando la reiterazione di abusi, l’inquinamento probatorio in atto, ed impreparazione ed insipienza”» ed è stato condannato alla pena di mesi quattro oltre al pagamento delle spese processuali”. Pena sospesa e non menzione. Il professor Grasso è stato, inoltre condannato al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile, in via equitativa con 5 mila euro e al pagamento della costituzione e difesa di Parte Civile per poco più di 6 mila euro.

Infine il professore, ideatore e gestore del blog di dibattito universitario “Il senso della misura”, è stato assolto in merito alle espressioni quali “dissipazione delle scarse risorse per attività non istituzionali” o per “l’illegittimità (e in alcuni casi l’illegalità) della maggior parte dei provvedimenti adottati” o, ancora, “azioni truffaldine inerenti l’utenza sostenibile” o “organi di governo esautorati dalle loro prerogative sono tutti elementi con i quali il Rettore, privo della piena legittimità a esercitare le sue funzioni (perché eletto e nominato nella carica in modo irregolare) sta affossando l’Università di Siena”. Assolto perché il fatto non sussiste.

A leggere bene il dispositivo della sentenza si resta interdetti. Non si capisce bene come possano “stare insieme” la condanna per aver parlato di “reiterazione di abusi” con l’assoluzione per aver dichiarato l’esistenza di “illegittimità (e in alcuni casi l’illegalità) della maggior parte dei provvedimenti adottati”, per citare solo una delle frasi reputate dal giudice non penalmente punibili.

Salvo peccare di “impreparazione”, non essendo giudici e neppure dottori in Giurisprudenza, resta difficile, da comuni mortali, comprendere i motivi della condanna del professor Grasso. Resta difficile capire perché, ancora una volta, nella storia recente di Siena, a pagare siano quelli (pochi) che hanno trovato – spesso isolati – il coraggio di parlare, di raccontare, di mettere in evidenza fatti, vicende, che a loro modo di vedere, non erano consoni all’agire corretto. È come se, ma forse questo sentimento è dettato dallo sconforto momentaneo, si volesse negare il diritto di opinione, esercitato nei confronti di un personaggio pubblico; un libero giudizio sull’operato strettamente professionale di un individuo che ricopre una carica istituzionale – con tanto di legittime motivazioni che hanno portato a quel giudizio. Nulla di personale, di privato, ovviamente.

“Ma chi me lo fa fare?” potrebbe dire (e forse ha detto) un qualsivoglia giornalista o libero pensatore che, di fronte ad una verità scomoda, si trova (o si è trovato) a dover temere gli strali del personaggio pubblico chiamato a rispondere, direttamente o indirettamente, di un comportamento quantomeno discutibile. Il “Sistema Siena” ha giovato di questo insano meccanismo: ha adulato, assoldato, inglobato… ed ha scoraggiato, impaurito, calpestato, isolato chi non cedeva alle lusinghe.

Con questo non si vuole creare un collegamento con la vicenda in questione e il divenuto ben noto “Sistema Siena”. Piuttosto è la logica che lo ha generato che appare sorprendentemente discendente da una distorta visione dei rapporti, delle relazioni, delle critiche, della gestione della cosa pubblica, della posizione tra chi amministra e chi è amministrato. Secondo questa logica il cane da guardia della democrazia (giornalista o semplice cittadino), diventa il cucciolo da salotto del sistema o, peggio, il frustrato senza speranza che va ad ingrossare le fila dei tanti ignavi che trascinano una vita lontano il più possibile dai guai.

La vicenda del professor Giovanni Grasso appare l’ennesima beffa a cui Siena assiste. La immensa mole di documenti prodotti dall’imputato sono serviti ad assolverlo da una serie di “colpe” mossegli dall’ex Rettore Riccaboni, ma non sono bastate, incredibilmente, a lasciarlo immune da colpe. Lui deve pagare. Nessun merito per il lavoro fatto in tanti anni, informando su quanto accadeva all’interno dell’antica Università di Siena. Nessun ad aspettare fuori l’esito del procedimento. Nessun senese a ringraziarlo per aver mantenuto per anni uno spirito critico, non servile, opposto al “Sistema”.

Assolto per aver parlato di  “dissipazione delle scarse risorse per attività non istituzionali” o “l’illegittimità (e in alcuni casi l’illegalità) della maggior parte dei provvedimenti adottati” o, ancora, “azioni truffaldine inerenti l’utenza sostenibile” ma reo di aver usato termini come “insipiente” o “impreparato”. Lui, Giovanni Grasso, una colpa ce l’ha, quando non è stata attribuita alcuna colpa a chi ha ridotto l’Università in brandelli, facendole rasentare il fallimento.

Intanto, lo stesso giorno, nello stesso Tribunale di Siena, ha avuto inizio il processo ai 68 contradaioli di Nicchio, Onda, Torre e Valdimontone, per i fatti avvenuti dopo il palio d’agosto del 2015. Tanti i senesi (e contradaioli) che si sono dati appuntamento davanti al Palazzo di Giustizia per portare la loro solidarietà agli imputati. La volontà dei Priori delle quattro contrade è stata rispettata: nessuna confusione, rispetto e massima civiltà. Così è stato, a detta dei presenti. Alla fine dell’udienza 15 contradaioli hanno scelto di avvalersi del rito abbreviato; 8 hanno patteggiato; 2 hanno scelto la messa alla prova ed i restanti si sono dati altro tempo per decidere quale strada percorrere.

Gli avvocati di alcuni dei contradaioli – dall’avvocato De Mossi (impegnato anche nella difesa di Giovanni Grasso), all’avvocato Pisillo – hanno chiarito che l’udienza in corso era centrata soprattutto su aspetti tecnici e che entrambi non concordavano con il pm che aveva escluso la “rilevanza sociale” della vicenda. Il prossimo appuntamento che riguarderà questa vicenda è stato fissato per il 31 gennaio.

E infine, oggi, una donna, malata e profondamente sfortunata, ha tentato di togliersi la vita, sempre nello stesso tribunale di Siena. La sua casa andata all’asta per pochi soldi, pare. L’ingiustizia dell’esistenza a volta non trova contrappasso o un qualche risarcimento, nella legge. La speranza è che le persone che si sono mosse, spontaneamente, per sostenere la signora Sandra nel difficile momento della sua vita, non si arrendano, non si lascino prendere dalla quotidianità e sappiano mantenere salda la speranza.

Esercizio che siamo chiamati a fare tutti noi.

Un breve commento di Raffaele Ascheri alla sentenza del processo a Giovanni Grasso querelato da Angelo Riccaboni

Giovanni Grasso condannato, ma non troppo

Raffaele Ascheri. Abbiamo intervistato – per la trasmissione di stasera – il professore e blogger Giovanni Grasso, a pochi minuti dall’udienza finale del Processo cagionato dalla querela che l’ex Magnifico Angelo Riccaboni gli aveva intentato. Il Giudice ha condannato il blogger, su certe espressioni usate da Grasso versus Riccaboni (“impreparazione ed insipienza”, per esempio), mentre per altre cose scritte sul blog di Grasso (Il senso della misura, cui si rimanda per il dispositivo completo della sentenza) negli anni scorsi, il blogger è stato assolto (e su accuse, verso Riccaboni, mica da sorridere, eh).

Morale del Processo: visto che l’esito, oltre ad essere in I grado, è stato controverso, con pro e contro, non possiamo che augurarci che l’ex Magnifico – oggi nel Cda di banca Mps – accolga il nostro invito ad una delle prossime puntate della nostra trasmissione del martedì.

Così, giusto per comprendere meglio – e soprattutto fare comprendere a dipendenti, studenti e semplici cittadini – certi passaggi del suo pregresso modus operandi. Restiamo, dunque, in trepidante attesa.

E a Giovanni, infine, che dire? Forza e coraggio, da persona verticale: chi si muove con cotanta mole di documentazione, può senz’altro perdere una battaglia, ma difficilmente la guerra…

Dispositivo di sentenza del processo a Giovanni Grasso querelato da Angelo Riccaboni

Diffamazione a mezzo blog: il processo contro l’Eretico di Siena

Luigi De Mossi - Raffaele Ascheri - Carlo Regina

Luigi De Mossi – Raffaele Ascheri – Carlo Regina

Un giorno in Pretura

Bastardo senza gloria. Ieri ho deciso di assistere al processo per diffamazione che vede coinvolto il prode Eretico contro la Curia senese, mi sono fatto questa pappata di deposizioni, dove nomi eccellenti come il vescovo Buoncristiani e il monsignore Acampa sono stati dovutamente sentiti, come si deve da quell’ ”animale” da aula giudiziaria che è il superavvocato Luigi De Mossi. Non vi nascondo che da spettatore non potevo augurarmi di meglio, per una volta ho assistito con soddisfazione massima a quello che più volte a noi comuni esseri non è concesso, trattare come si deve con i vari rappresentanti della casta. Vorrei però, senza entrare nei dettagli del processo, di questo credo che vi ragguaglierà l’Eretico, sottolineare certi aspetti che vengono fuori quando si assiste a queste udienze, vorrei soprattutto ora che si parla tanto di grovigli e compagnia cantante, invitare la gente a prendere coscienza assistendo appunto a questi processi, per altro pubblici. Di fatto ascoltando le varie deposizioni, senza entrare nel merito se le cose dette siano o meno penalmente rilevanti, ti rendi conto, riesci finalmente a toccare con mano quello che per ora si legge soltanto, vale a dire quali sono i vari intrecci, amicizie e piaceri reciproci, che sono alla base del famoso groviglio armonioso. Si scoprono cose che magari nessuno, a parte qualche blog vi racconterà, ma sentirlo dagli stessi protagonisti incalzati dall’avvocato De Mossi è veramente tutta un’altra cosa. Quello che voglio fare con questo scritto, è invitare la gente di Siena tutta, ad assistere a queste udienze, a sentire con le proprie orecchie certe cose, a vedere certi personaggi come a volte sono piccoli davanti alle loro azioni, a dare così fisicità a quello di cui tutti parlano, il famigerato groviglio armonioso. Bisognerebbe che qualche emittente libera si prendesse carico di fare una trasmissione tanto di successo negli anni che andava in onda su rai tre, vale a dire “Un giorno in Pretura”. Sarebbe veramente un bel servizio alla cittadinanza, che senza tanti filtri si renderebbe conto finalmente di come agiscono i nostri prodi appartenenti alla casta, ognuno nel proprio ambito, politico, religioso, finanziario e via discorrendo. Quindi il mio è un caloroso appello a partecipare, ma soprattutto penso che sarebbe un servizio fatto alla storia di Siena degli ultimi anni rendere edotti i nostri concittadini di quello che succedeva sopra le nostre teste, senza contare il fatto che altri cittadini, come l’Eretico, ci sono andati di mezzo per raccontarvele.