Con il 16 ottobre 2015, sono passati 50 anni dalla nascita di “Bandiera Gialla” (quella delle navi con gli appestati), programma radiofonico dissacratorio e anticonformista con il quale i suoi ideatori, Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, riuscirono a sprovincializzare la musica italiana. Lo stesso 16 ottobre 2015 è iniziato il processo a un altro “appestato”, il sottoscritto, accusato d’aver diffamato, con «incessanti attacchi su “il senso della misura”», un altro docente, Angelo Riccaboni, che è a capo dell’Ateneo senese. Non sia irriverente l’accostamento dei due fatti, si tratta di una coincidenza che, è sperabile, sia di buon auspicio anche per me, arrivato a Siena 50 anni fa dal Salento, proprio nell’ottobre del 1965.
L’articolo incriminato, dell’11 febbraio (altra coincidenza) 2013, ha per titolo: «È necessaria l’interdizione di Riccaboni dalla carica di rettore dell’Università di Siena». Il procedimento penale n. 883 (altra coincidenza, musicale), con giudice monocratico Maria Cristina Cavaciocchi e pm Alberto Bancalà, vede come miei difensori Luigi De Mossi, del foro di Siena, e Vieri Fabiani, del foro di Firenze. Il querelante, costituitosi parte civile con una richiesta risarcitoria di centomila euro, è rappresentato legalmente dall’avvocato Paolo Di Mattia del foro di Firenze. A causa degli impegni della persona offesa e con il consenso di tutte le parti, il giudice, invertendo l’ordine di acquisizione delle prove, ha iniziato con l’audizione dell’imputato. La registrazione integrale dell’udienza si può ascoltare (ed è scaricabile) su Radio Radicale.
Il pm mi ha chiesto conferma della paternità dell’articolo pubblicato anche su “Il Cittadino Online”, quali siano gli elementi a mio discarico e le fonti delle circostanze da me riferite, quali rapporti io abbia con Riccaboni. Ho risposto che il blog è un foglio online d’informazione e libero dibattito universitario, aperto al contributo di tutti, che le mie fonti sono pubbliche (verbali del Consiglio di Amministrazione e del Senato Accademico), che, con quell’articolo, ho esercitato il mio legittimo diritto di cronaca e di critica nei confronti dei vertici dell’Università degli Studi di Siena, e che non ho avuto (e non ho) alcun rapporto con Riccaboni.
Le domande degli avvocati De Mossi e Fabiani mi hanno permesso di chiarire i fatti riguardanti le irregolarità dell’elezione e della nomina di Riccaboni, riportando le dichiarazioni di una fonte autorevole, quella del Ministro del Miur dell’epoca, Maria Stella Gelmini: «Soltanto oggi vengo a conoscenza del fatto che nessun elettore il 21 luglio è stato identificato. Se avessi saputo di detta irregolarità, non avrei proclamato il rettore.» Inoltre, ho riferito delle irregolarità nella scelta del Direttore amministrativo, della sua nomina e del suo contratto senza formali delibere del CdA, del mancato pronunciamento dell’organo di governo sullo stipendio tabellare e sulla retribuzione di risultato e, infine, della mancata definizione degli obiettivi della sua azione amministrativa. Ho ricordato l’illegittimità dell’indebita erogazione dell’indennità di risultato eventualmente riscossa, in assenza della predeterminazione dei criteri e delle procedure di valutazione e in mancanza della definizione degli obiettivi annuali.
Mi sono soffermato sui primati dell’Ateneo senese quali: l’assenza del Regolamento Generale (che disciplina l’organizzazione e il funzionamento dell’Ateneo e l’attuazione dello Statuto); la proroga delle iscrizioni fino al 28 aprile 2011; commissioni di concorso irregolari in evidente violazione del D.lgs 165/2001 e del codice di procedura civile; violazione della Legge 1/2009; Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione esautorati; Sistema di misurazione e valutazione della performance approvato con 4 anni di ritardo; assenza di trasparenza, con verbali degli organi di governo approvati con grave ritardo, fino a due anni dopo; concorsi banditi senza l’accertamento della sostenibilità finanziaria. Infine, ho parlato del disordine strutturale e dell’inefficienza endemica, fino all’adozione di molti provvedimenti illegittimi, anche a causa dell’assenza del Regolamento Generale d’Ateneo.
La prossima udienza si terrà il 30 ottobre 2015 alle ore 9,00.
Articolo pubblicato anche da:
- Il Cittadino Online (26 ottobre 2015) con il titolo: “Bandiera gialla nel processo a Grasso querelato da Riccaboni“.
- Bastardo Senza Gloria (26 ottobre 2015) con il titolo: “Ecco un resoconto autentico della prima udienza per la querela di Riccaboni al professor Grasso“.
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Il commento di Raffaella Ruscitto alla sentenza del processo a Giovanni Grasso querelato da Angelo Riccaboni
Raffaella Ruscitto
Cronache dal palazzo (di giustizia). Di scena Giovanni Grasso, i contradaioli e Sandra Pelosi (il Cittadino online, 6 dicembre 2017)
Raffaella Ruscitto. Si è conclusa la mattina del 4 dicembre la vicenda giudiziaria che vedeva il professor Giovanni Grasso chiamato in causa per il reato di diffamazione dall’ex rettore Angelo Riccaboni. Il professore è stato giudicato «Colpevole del reato a lui ascritto limitatamente alle espressioni “interdizioni del professor Riccaboni dalla carica di Rettore debba ritenersi una misura cautelare necessaria considerando la reiterazione di abusi, l’inquinamento probatorio in atto, ed impreparazione ed insipienza”» ed è stato condannato alla pena di mesi quattro oltre al pagamento delle spese processuali”. Pena sospesa e non menzione. Il professor Grasso è stato, inoltre condannato al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile, in via equitativa con 5 mila euro e al pagamento della costituzione e difesa di Parte Civile per poco più di 6 mila euro.
Infine il professore, ideatore e gestore del blog di dibattito universitario “Il senso della misura”, è stato assolto in merito alle espressioni quali “dissipazione delle scarse risorse per attività non istituzionali” o per “l’illegittimità (e in alcuni casi l’illegalità) della maggior parte dei provvedimenti adottati” o, ancora, “azioni truffaldine inerenti l’utenza sostenibile” o “organi di governo esautorati dalle loro prerogative sono tutti elementi con i quali il Rettore, privo della piena legittimità a esercitare le sue funzioni (perché eletto e nominato nella carica in modo irregolare) sta affossando l’Università di Siena”. Assolto perché il fatto non sussiste.
A leggere bene il dispositivo della sentenza si resta interdetti. Non si capisce bene come possano “stare insieme” la condanna per aver parlato di “reiterazione di abusi” con l’assoluzione per aver dichiarato l’esistenza di “illegittimità (e in alcuni casi l’illegalità) della maggior parte dei provvedimenti adottati”, per citare solo una delle frasi reputate dal giudice non penalmente punibili.
Salvo peccare di “impreparazione”, non essendo giudici e neppure dottori in Giurisprudenza, resta difficile, da comuni mortali, comprendere i motivi della condanna del professor Grasso. Resta difficile capire perché, ancora una volta, nella storia recente di Siena, a pagare siano quelli (pochi) che hanno trovato – spesso isolati – il coraggio di parlare, di raccontare, di mettere in evidenza fatti, vicende, che a loro modo di vedere, non erano consoni all’agire corretto. È come se, ma forse questo sentimento è dettato dallo sconforto momentaneo, si volesse negare il diritto di opinione, esercitato nei confronti di un personaggio pubblico; un libero giudizio sull’operato strettamente professionale di un individuo che ricopre una carica istituzionale – con tanto di legittime motivazioni che hanno portato a quel giudizio. Nulla di personale, di privato, ovviamente.
“Ma chi me lo fa fare?” potrebbe dire (e forse ha detto) un qualsivoglia giornalista o libero pensatore che, di fronte ad una verità scomoda, si trova (o si è trovato) a dover temere gli strali del personaggio pubblico chiamato a rispondere, direttamente o indirettamente, di un comportamento quantomeno discutibile. Il “Sistema Siena” ha giovato di questo insano meccanismo: ha adulato, assoldato, inglobato… ed ha scoraggiato, impaurito, calpestato, isolato chi non cedeva alle lusinghe.
Con questo non si vuole creare un collegamento con la vicenda in questione e il divenuto ben noto “Sistema Siena”. Piuttosto è la logica che lo ha generato che appare sorprendentemente discendente da una distorta visione dei rapporti, delle relazioni, delle critiche, della gestione della cosa pubblica, della posizione tra chi amministra e chi è amministrato. Secondo questa logica il cane da guardia della democrazia (giornalista o semplice cittadino), diventa il cucciolo da salotto del sistema o, peggio, il frustrato senza speranza che va ad ingrossare le fila dei tanti ignavi che trascinano una vita lontano il più possibile dai guai.
La vicenda del professor Giovanni Grasso appare l’ennesima beffa a cui Siena assiste. La immensa mole di documenti prodotti dall’imputato sono serviti ad assolverlo da una serie di “colpe” mossegli dall’ex Rettore Riccaboni, ma non sono bastate, incredibilmente, a lasciarlo immune da colpe. Lui deve pagare. Nessun merito per il lavoro fatto in tanti anni, informando su quanto accadeva all’interno dell’antica Università di Siena. Nessun ad aspettare fuori l’esito del procedimento. Nessun senese a ringraziarlo per aver mantenuto per anni uno spirito critico, non servile, opposto al “Sistema”.
Assolto per aver parlato di “dissipazione delle scarse risorse per attività non istituzionali” o “l’illegittimità (e in alcuni casi l’illegalità) della maggior parte dei provvedimenti adottati” o, ancora, “azioni truffaldine inerenti l’utenza sostenibile” ma reo di aver usato termini come “insipiente” o “impreparato”. Lui, Giovanni Grasso, una colpa ce l’ha, quando non è stata attribuita alcuna colpa a chi ha ridotto l’Università in brandelli, facendole rasentare il fallimento.
Intanto, lo stesso giorno, nello stesso Tribunale di Siena, ha avuto inizio il processo ai 68 contradaioli di Nicchio, Onda, Torre e Valdimontone, per i fatti avvenuti dopo il palio d’agosto del 2015. Tanti i senesi (e contradaioli) che si sono dati appuntamento davanti al Palazzo di Giustizia per portare la loro solidarietà agli imputati. La volontà dei Priori delle quattro contrade è stata rispettata: nessuna confusione, rispetto e massima civiltà. Così è stato, a detta dei presenti. Alla fine dell’udienza 15 contradaioli hanno scelto di avvalersi del rito abbreviato; 8 hanno patteggiato; 2 hanno scelto la messa alla prova ed i restanti si sono dati altro tempo per decidere quale strada percorrere.
Gli avvocati di alcuni dei contradaioli – dall’avvocato De Mossi (impegnato anche nella difesa di Giovanni Grasso), all’avvocato Pisillo – hanno chiarito che l’udienza in corso era centrata soprattutto su aspetti tecnici e che entrambi non concordavano con il pm che aveva escluso la “rilevanza sociale” della vicenda. Il prossimo appuntamento che riguarderà questa vicenda è stato fissato per il 31 gennaio.
E infine, oggi, una donna, malata e profondamente sfortunata, ha tentato di togliersi la vita, sempre nello stesso tribunale di Siena. La sua casa andata all’asta per pochi soldi, pare. L’ingiustizia dell’esistenza a volta non trova contrappasso o un qualche risarcimento, nella legge. La speranza è che le persone che si sono mosse, spontaneamente, per sostenere la signora Sandra nel difficile momento della sua vita, non si arrendano, non si lascino prendere dalla quotidianità e sappiano mantenere salda la speranza.
Esercizio che siamo chiamati a fare tutti noi.
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