Mentre il rettore Riccaboni nomina «un gruppo di lavoro col mandato di esaminare il vecchio piano di risanamento per capire cosa è stato fatto» e il direttore amministrativo Fabbro scopre l’acqua calda dichiarando – tra gli applausi dei presenti – che «il primo problema è la disorganizzazione degli uffici e la frammentazione delle responsabilità», Roberto Petracca, esterno all’università, fa magistralmente il punto della situazione per vedere cosa è cambiato rispetto a due anni fa.
Roberto Petracca. Ha ragione chi dice che per la politica politicante non c’è più spazio. Dopo aver consultato “Il senso della misura” due anni fa il settimanale Panorama scriveva che Pontignano aveva 41 dipendenti, spendeva 1,2 milioni l’anno e ne portava a casa meno di mezzo. Il rettore aveva otto segretarie personali ed il direttore amministrativo ne aveva tre. L’università aveva 135 bibliotecari per dieci biblioteche e per la comunicazione c’erano 24 dipendenti: sette online, quattro all’ufficio stampa, otto all’ufficio relazioni esterne e cinque all’ufficio informazioni per portatori di handicap. I dipendendi in fila che aspettavano di assumere l’incarico di produrre vapor vacuo per le caldaie della comunicazione erano probabilmente un’altra quarantina. L’università aveva 1350 amministrativi contro 1060 docenti di ruolo. Mentre la folla di dipendendi e precari s’ingrossava i dipendenti col sedere già incollato sulla poltrona usufruivano di consulenze interne retribuite fino a 20 mila euro annui per ottimizzare i flussi informativi, vigilare sulla sicurezza nei cantieri archeologici, smistare il traffico dei bibliotecari e coordinare i laboratori didattici di Follonica. L’Università aveva infatti sedi a Follonica, Colle di Val d’Elsa, San Giovanni Valdarno, Buonconvento, Arezzo e Grosseto. I comunisti e i sindacati erano propensi ad ammannire posti in cambio di voti e tessere; di conseguenza reclamavano una loro sede persino Radi, San Lorenzo a Merse, i pionieri di San Gusmè e i pronipoti dei 16 senesi che il 28 luglio del 1877 si imbarcarono a Genova sulla nave a vapore “Nuestra Señora del Pilar” per emigrare in Uruguay facendo poi fortuna a Piedras Blancas de Montevideo.
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