Un suicidio assistito(Editoriale del Corriere del Veneto, 26 novembre 2010)
Lorenzo Tomasin. Una formula che si presta, forse, a sintetizzare in due parole ciò che sta accadendo nell’università italiana negli ultimi tempi è: suicidio assistito. Le basi per la imminente e totale perdita di autorevolezza, di centralità nella vita civile, di capacità di formare la classe dirigente, di selezionare la miglior parte degli operai dell’intelligenza: le basi, insomma, per il declino del sistema universitario sono state poste con vigore e determinazione da chi l’università ha gestito e politicamente condotto negli ultimi venti o trent’anni. È quasi imbarazzante ripetere – ma occorre farlo, visto che la questione viene troppo spesso obliterata – che uno snodo cruciale nella decadenza dell’università italiana rappresentò, una dozzina d’anni fa, l’adozione pressoché simultanea, e largamente condivisa dai docenti, di nuove norme sulla didattica (l’ordinamento «tre più due», sancito da un ministro-professore, Luigi Berlinguer) e sull’organizzazione interna (autonomia universitaria: ogni ateneo gestisce liberamente le risorse a sua disposizione, senza rispondere, o rispondendo solo debolmente, al mercato, perché di ente pubblico si tratta).
Una simile rivoluzione – che apriva nell’immediato la possibilità di una proliferazione di posti, di sedi, di opportunità: insomma, di italiche abbuffate – non poteva restare, nel medio o nel lungo termine, priva di conseguenze negative. Su questo punto, l’autocritica della corporazione universitaria nel suo complesso è stata sempre come minimo sommessa, o coperta da una preoccupante omertà. Le dichiarazioni rese qualche giorno fa dallo stesso Berlinguer in veste di ex-rettore dell’Università di Siena mostrano chiaramente come il concetto di autonomia universitaria venisse inteso dai suoi stessi architetti come viatico all’impunità. Non si può pretendere di diventare istituto di formazione di massa, e al tempo stesso continuare a reclamare i privilegi, l’attenzione e la considerazione di cui si godeva quando si era fucina di élites. Né si può pretendere il diritto all’autonomia quando si dà prova di gestirla con sistematica irresponsabilità e in assenza di politiche lungimiranti. Questo è accaduto: e la contraddizione non si è manifestata finché gli aspiranti suicidi non hanno trovato, per loro sventura, un medico fin troppo indulgente alle pratiche eutanasiche. Staccare la spina, come sta facendo l’attuale governo, ai finanziamenti all’università pubblica significa solo accelerare un processo i cui esiti sarebbero stati, alla lunga, gli stessi, se la storia politica e quella economica avessero regalato all’università italiana la possibilità di un ancor più lungo stato di coma.
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@ Lorenzo Tomasin: «le basi, insomma, per il declino del sistema universitario sono state poste con vigore e determinazione da chi l’università ha gestito e politicamente condotto negli ultimi venti o trent’anni»
mi pare incontestabile
«Staccare la spina, come sta facendo l’attuale governo, ai finanziamenti all’università pubblica significa solo accelerare un processo i cui esiti sarebbero stati, alla lunga, gli stessi, se la storia politica e quella economica avessero regalato all’università italiana la possibilità di un ancor più lungo stato di coma.»
Aggiungerei che “staccare la spina” è doveroso se si vuole ricominciare da presupposti completamente diversi. A rimetterci di più non sarebbero infatti gli studenti e i precari dell’università attuale (come si sente spesso dire) che non hanno comunque la possibilità di ricevere una preparazione adeguata e/o di intraprendere una carriera accademica garantita dai loro meriti, ma chi continua ad autoreferenziarsi come custode, dispensatore e creatore del sapere, ed è invece solo un misero ladro di galline che gioca ad essere il grande imperatore.
Ma ancora non vedo nessuna volontà di “staccare veramente la spina”. Se capisco bene, sarà solo un po’ più dura per qualche ladro di galline, a favore di una élite sempre più ristretta.
… una riforma che riesce a scatenare le ire dei docenti, degli studenti, dei sindacati e della sinistra tutta probabilmente ha colto nel segno e, pertanto, merita per ciò solo di essere approvata …
…detta come la dice “pane al pane” sembra impopolare, ma più la leggo e più non posso fare a meno di condividerla… i “baroni” ai quali abbiamo attribuito tanto dello sfacelo attuale sono “docenti” e sentire che protestano contro la riforma fa veramente una pessima impressione. Molti dei “docenti” che personalmente conosco, poi, anche senza essere “baroni”, sarebbe meglio se fossero mandati a casa… poi c’è sicuramente anche del buono… ma interroghiamoci un po’ anche su come si diventa “docenti” in questa università…
Si diventa docenti con la tessera di partito e con l’appoggio della massoneria…mi dicono. Poi i docenti volano sulla city, vedere quelli asserviti alla cricca del Santa Maria della Scala, assieme a dirigenti museali e quant’altro. Si capisce allora perché un mio amico storico sia inviso a certa cricca, cricca che mette sul campo femministe docenti che snocciolano la storia in pillole del “nostro” spedale, infarcendola con aneddoti familiari personali…
E anche questa è “sinistra”.
…qualcosa sospettavo!…