Siena/Università: Corte dei Conti, va sottoposta a procedura di dissesto
ASCA – Roma, 13 gen – L’Università di Siena è in stato di dissesto finanziario. È quanto accertato, nella delibera numero 12 del 5 marzo del 2013, dalla Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Toscana. I magistrati contabili auspicano che «il Miur (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Ndr) definisca i criteri per il dissesto finanziario e quindi possa assoggettare l’Ateneo a tale procedura prima che la situazione economica, finanziaria e patrimoniale degeneri ulteriormente». La Corte, che ha esaminato l’andamento dei conti dell’ateneo senese dal 2009–11 e i risultati del piano di risanamento resosi necessario dopo la scoperta nel 2008 di un buco di oltre 250 milioni. Voragine in parte ridotta con l’alienazione di alcuni immobili: nel 2009 l’ex manicomio per 74 milioni, nel 2010 l’ospedale per 108 milioni. Un Piano di risanamento «in parte non idoneo ad incidere significativamente sull’andamento delle spese e, soprattutto, a ricondurre la gestione finanziaria in situazione di pareggio».
Per la Corte, «gli equilibri di bilanci consuntivi, mostrano una situazione sempre deficitaria che denota notevoli difficoltà nella gestione amministrativa ordinaria dell’ente». Nel dettaglio, nel 2011 il risultato di amministrazione è stato pari a –43 milioni (debiti pregressi accumulati), quello di competenza –8,1 mln (deficit d’esercizio), quello di parte corrente –2,2 mln. Il rosso nei conti resta nonostante la riduzione del personale dipendente (docente e tecnico-amministrativo) passato da 2.170 unità del 2009 a 1.944 unità nel 2011. Nel 2011 la spesa per contratti di prestazione d’opera è passata da una previsione iniziale di 842 mila euro ad un importo effettivo di 3,153 milioni (+274%). Su questa voce, scrivono i magistrati contabili, «appare necessario monitorare la voce degli incarichi esterni». Si registra anche un aumento della spesa per retribuzioni e altri assegni a ricercatori a tempo determinato pari +230%. La Corte sottolinea come nel periodo 2009–2011, la spesa del personale abbia sempre sforato il limite di legge del 90% (101,85% nel 2011) del Fondo di Finanziamento Ordinario, la principale fonte di finanziamento del sistema universitario. La situazione potrebbe diventare ancor più critica considerando che, con il decreto del 18 maggio 2012, tale limite è stato abbassato all’80%. In calo, ma pur sempre impressionante, il livello dei residui passivi pari a 83,9 milioni di euro, si tratta d’impegni di spesa non ancora saldati. I residui attivi, sempre che siano tutti esigibili, sono invece pari a circa 30 milioni.
Da ultimo i magistrati contabili rilevano come sul bilancio di previsione del 2013, i revisori dei conti dell’Ateneo «abbiano espresso parere contrario all’approvazione da parte del Cda dell’Ateneo». Anche i conti del 2012 hanno registrato un aumento del disavanzo di amministrazione da –43 a –46 milioni, il deficit di competenza è stato pari a –6 milioni, ma senza considerare rate di mutui per 6 milioni di euro su cui l’Ateneo ha formulato una richiesta di moratoria. Da segnalare che per un decennio l’Ateneo senese è stato molto più fortunato rispetto a tante altre università italiane. Dalla Fondazione Mps sono arrivati 8–9 milioni di euro all’anno.
Filed under: Emergenze, Il saccheggio, Per riflettere, Quelli dell'uva puttanella | Tagged: Angelo Riccaboni, Asca, Corte dei Conti, Direttore amministrativo, Dissesto finanziario, Fondazione MPS, Francesco Frati, Ines Fabbro, Pro-rettore vicario, Rettore, Università di Siena |
Un altro comunicato dell’Asca (Agenzia Stampa Quotidiana Nazionale):
Università di Siena: Corte dei Conti anche 140mila euro di debiti fuori bilancio
ASCA – Roma, 13 mar – Nella delibera numero 12 della Corte dei Conti Sezione regionale di controllo per la Toscana, con la quale i magistrati contabili raccomandano al Miur di assoggettare l’Ateneo senese alla procedura di dissesto finanziario, emergono, oltre alla montagna di debiti a bilancio, al 2012 pari a 46 milioni di disavanzo di amministrazione, anche dei debiti fuori bilancio accertati nel 2011 ma relativi ad esercizi precedenti. Ci sono 21.201 euro, fattura del 2009, da liquidare alla “Rubbettino Editore” per l’acquisto di 300 volumi di “Tra diritto e storia, studi in onore di Luigi Berlinguer”, al prezzo di 70 euro a volume. Luigi Berlinguer è stato rettore dell’Ateneo senese dalla metà degli anni 80 ai primi anni 90. Il debito è stato approvato dal CdA in quanto la società editrice aveva messo in mora l’Ateneo. Poi 107.551 euro a favore dell’Università di Trieste per il rimborso delle spese per stipendi e ritenute previdenziali e assistenziali del Direttore Amministrativo (1998-2001), nonché di una dipendente dell’ateneo triestino nel periodo 1999-2001. L’ultimo debito pari a 12mila euro riguarda il pagamento a due soggetti, un avvocato e un tecnico amministrativo, rispettivamente presidente e membro di una commissione giudicatrice per una gara indetta per l’esecuzione dei servizi di cassa. In tutti questi casi, «gli atti di riconoscimento del debito sono stati trasmessi alla competente Procura della Corte per l’accertamento di possibili posizioni individuali di responsabilità», scrivono i magistrati contabili.
Non vi preoccupate, ha già smentito…
http://www.asca.it/news-Siena_Universita___Rettore__Corte_Conti_non_ha_accertato_dissesto-1257486-POL.html
Ora comincia il divertimento: leggete la “precisazione” del Riccaboni e soprattutto la sua minaccia di azioni legali «con riferimento alle notizie diffuse».
In merito alle informazioni diffuse da alcuni organi di stampa nella serata di oggi (13 marzo), preciso che la Corte dei Conti, Sezione Regionale di controllo per la Toscana, non ha in alcun modo accertato il dissesto finanziario dell’Università di Siena.
Lo stesso Organo, infatti, nelle considerazioni conclusive della citata delibera numero 12 del 5 marzo 2013, si limita a riportare quanto indicato dal Collegio dei Revisori dei Conti dell’Ateneo nell’esprimere il parere obbligatorio al bilancio 2013, ovvero l’auspicio dei Revisori che il MIUR definisca quanto prima i criteri per individuare le situazioni di criticità o dissesto, così come previsto dalla Legge Gelmini, per gli Atenei impegnati in percorsi di risanamento finanziario. Le eventuali dichiarazioni di criticità o dissesto, infatti, consentiranno agli Atenei di adottare iniziative funzionali alla realizzazione dei piani di risanamento.
Riguardo, inoltre, a quanto diffuso dai medesimi organi di stampa in merito al piano di risanamento dell’Università di Siena, la stessa Corte dei conti non esprime alcun giudizio di merito, ma si limita a riportare il commento espresso dall’Ispettorato Generale di Finanza nella Relazione sulla verifica amministrativo contabile del 28 luglio 2010.
Sottolineo, altresì, che la delibera della Corte dei conti in oggetto dà atto, in più passaggi, degli sforzi operati dalla presente amministrazione per il risanamento dell’Ente.
Con riferimento alle notizie diffuse, infine, l’Università di Siena si riserva di agire nelle sedi opportune.
Prof. Angelo Riccaboni
Rettore dell’Università di Siena
[…] Il trio patacca ha portato l’università di Siena allo stato di dissesto finanziario | Il senso de…. […]
«“Xe peso el tacon del buso”, è peggio la toppa del buco, perché quello che ci preoccupa è proprio il piano di risanamento. Il piano di risanamento, come cita l’art. 8, del Decreto n. 199/2011, prevede mobilità coatta per ridurre il costo del personale non docente, chiusura delle sedi e revisione dell’offerta formativa, ecc.» Sindacato USB
“Revisione dell’offerta formativa”, ahimè, vuol semplicemente dire 1) che i corsi di laurea assemblati accorpando il culo con le quarant’ore sono falliti e 2) l’uscita di ruolo massiccia di centinaia di docenti ha fatto cadere i requisiti che la legge richiede per tenere aperti i corsi, o li ha impoveriti a tal punto, da non essere più attrattivi: se a Pisa hai tutti i corsi “integri”, le lauree magistrali e i dottorati di ricerca, perché da Canicattì uno deve venire a Siena? Dunque che fare? Quanto alle sedi distaccate, mi pare che l’idea perseguita sin qui di creare dei doppioni, o addirittura spostare in periferia – dove non sono in grado di sostenerli – corsi di studio di base, oltre che demenziale, sia perfettamente fallimentare anch’essa.
Riprendo il discorso sull’università, interrotto in questi tragici giorni, cominciando col complimentarmi coi proff. Grasso e Mastrangelo per le confortanti notizie intorno a certe scoperte da loro effettuate di cui ha dato notizia la stampa, e ciò mi dà agio di ribadire che la ricerca “strictu sensu”, quella seria, ha delle esigenze che la “sociologia del turismo”- materia di cui dice l’Ascheri jr. essere cultore il signore oggetto della polemica di cui sopra- non può comprendere (e sia chiaro che parlo a nuora perché suocera – i teorici dello sputtanamento – intenda): quella ricerca e quella buona didattica che possono emergere solo in contesti ben strutturati.
Auspicheri pertanto, che anche quando nell’informazione “ufficiale” e nei consessi politici si parla dello stato dell’ateneo, si smettesse da un lato di biascicare, imbelli, giaculatorie vittimistico-demagogiche, dall’altro di indulgere a demenziali luoghi comuni intorno al “radioso avvenire” che ci attende, di improbabili risanamenti e sanatori; non ci si accontentasse di lanciare rancorosi anatemi ora contro il ’68, ora contro il capitalismo delle multinazionali; che si abbandonasse insomma la consuetudine con l’invettiva generica e con la disinformata propaganda (cose che oramai non pagano) e si prendesse ogni tanto in considerazione, come si suol dire, la “fredda oggettività dei numeri”.
Se questo per il Grande Inquisitore è considerato eretico, se è fatto obbligo di continuare a farneticare di “piccole Oxford”, o lamentarsi solo nel proprio privato, nella propria cerchia, ciascuno poi singolarmente sospirando “io speriamo che me la cavo”, mentre l’ateneo si avvia a perdere quasi il 50% del corpo docente (da 1064 all’era dello scoppio del buco, verosimilmente a meno di 600 nei prossimi anni – vedi tabelle pubblicate per l’appunto in questo blog), con tutto quello che ciò comporta in termini di perdita di competenze, settori disciplinari, ricerca e requisiti di docenza necessari per mantenere i corsi di laurea, vorrà dire che il declino non cesserà.
Ad oggi sono rimasti 811 docenti, di cui poco meno di un terzo nei vari settori di Medicina; ammettendo che il rapporto rimarrà uguale (e del resto i pensionamenti, come le disgrazie, colpiscono a casaccio), mi spiegate cosa cacchio si farà con meno di 600? Voglio dire, dei 400 docenti circa, disseminati nei settori disciplinari più svariati (dall’elettrodinamica quantistica alla psicologia cognitiva), dovendo tener conto dei famigerati “requisiti minimi di docenza” e nel profluvio di regole e tabelle necessarie per attivare corsi di studio, paradossalmente risulterà che un centinaio saranno addirittura d’avanzo, perché non si saprà che cavolo fargli fare, non essendoci più, né corso di laurea, né pertanto l’insegnamento. Ma continuare a cancellare corsi di studio, allegramente perdendo il 20% di immatricolati all’anno, non mi pare una gran politica.
Come conseguenza inevitabile del drammatico impoverimento dell’offerta, in un solo anno l’università di Siena ha infatti già perso il 16,5% degli iscritti e ben il 20% degli immatricolati (dati pubblicati dal Corriere della Sera e facilmente reperibili nel sito MIUR http://anagrafe.miur.it/index.php), ben al di là del dato medio nazionale e regionale. Per quanto monomaniacale ciò possa sembrare, mi domando cosa si attenda a “sedersi attorno a un tavolo”, come si suol dire, con ministro e rappresentanti degli altri atenei toscani onde avviare una riflessione intorno a soluzioni di collaborazione del tipo di quelle auspicate nei miei precedenti post e previste dalla riforma Gelmini. Voglio dire, nella federazione (almeno parziale) tra atenei a un tiro di sputo l’uno dall’altro, e nella mobilità di docenti, che magari abitano a Poggibonsi, non vedo un grande scandalo, né un sovvertimento degli equilibri accademici, come paventano baroni d’antan! L’alternativa (per tutti: docenti e non docenti), sennò, quale sarebbe?
http://www.ilcittadinoonline.it/news/158022/Riccaboni_precisa_in_merito_alla_delibera_della_Corte_dei_Conti.html
«…Sottolineo, altresì, che la delibera della Corte dei conti in oggetto dà atto, in più passaggi, degli sforzi operati dalla presente amministrazione per il risanamento dell’Ente…»
Beh!, se questi sforzi hanno portato al risultato pubblicato dal Corriere della Sera e sul sito del MIUR; che dire…
Il candidato a sindaco Eugenio Neri, in un passaggio dell’articolo del CittadinoOnline dice: «…Infine l’ultimo e spinoso problema. Nel pluricitato Decreto Legislativo n. 199/2011 è compresa anche un’altra indicazione, ovvero la “riduzione di compensi, gettoni, retribuzioni o altre utilità ai componenti del consiglio di amministrazione e degli organi collegiali comunque denominati”. Tutti spunti, quelli estrapolati dalla normativa sul dissesto, che avrebbero potuto evitare l’aggravarsi della situazione dei bilanci dell’Università. Sarebbe stata buona norma dare l’esempio eliminando l’indennità prevista per il Rettore (istituita dalla fine degli anni 90) e ridurre considerevolmente il compenso per il Direttore Amministrativo (oggi al massimo previsto dalla Legge)…»
Perché nessuno ha proposto questo nei vari CdA? Anche se tardi non sarebbe il caso di parlarne già nel prossimo consiglio? Dobbiamo aspettare il collasso definitivo?
«…È evidente che affrontare il problema della mobilità in tempo utile sarebbe stata un’equa strada da seguire. Soprattutto sapendo che, di fronte ad una imposizione di Legge, il rischio che i sacrifici ricadano sui soggetti più deboli è scontato, come abbiamo visto con la Cooperativa Sociale di Solidarietà…»
Dovremmo rischiare noi, il nostro posto di lavoro, con i nostri 1.000 o 1.110€ al mese, a causa di errori fatti da altre persone?
È morale che in una situazione del genere, in cui a tutti vengono chiesti dei sacrifici e di rinunciare a qualcosa (in tutta Italia, non solo dentro Unisi), un D.A. percepisca 177.027,62€ lordi oltre alla pensione? Sicuramente è lecito, perché le leggi italiane consentono loro questo, ma che sia morale, giusto e democratico non credo proprio.
Ah già che stupido, dimenticavo, dopo 200 anni non è cambiato niente:
Finalmente un primo posto in classifica, una classifica irrefragabile, non fondata su parametri più o meno validi e attendibii: l’università di Siena è prima nella classifica delle università dissestate e in testa alle previsioni di commissariamento. Poi, in un diabolico perseverare, il diluvio delle smentite, dei distinguo da parte di persone che avranno comunque e purtroppo il proprio futuro assicurato: partecipazioni a consigli di amministrazione, a fondazioni, enti, presidenze di associazioni, posti e modi per continuare a mungere danaro pubblico. Una volta pervenuti a questi livelli, questa società non ha la forza morale, e quindi politica, di disfarsi di questi servants, niente affatto umili; li ritroveremo, annidati in qualche piega, incistati in qualche organo, dove continueranno a succhiare.
Anche “il Fatto Quotidiano” ha pubblicato un articolo sulla richiesta dello stato di dissesto da parte della Corte dei Conti:
«Stipendi e consulenze, l’ateneo rosso di Siena in dissesto economico».
Aspettiamo di vedere come l’Università di Siena agirà nelle sedi opportune contro coloro che l’hanno ridotta in queste condizioni. In primis, il trio patacca: Riccaboni, Fabbro e Frati.
Scusate, ma anche l’articolo de “Il Fatto” non mi garba un granché: parla genericamente di “personale dipendente”, omettendo di dire che la vera patologia senese (unico caso nel cosmo conosciuto ed intravisto da Hubble) è che il personale tecnico amministrativo si avvia ad essere pressoché il doppio di quello docente; e che quello docente si avvia ad essere dimezzato: con ciò determinando la situazione assurda che ho cercato di evidenziare nei miei precedenti post. Si sottolinea l’aumento di spese per docenti a contratto: sarebbe interessante sapere dove sono concentrate queste spese, perché dove sopravvive il sottoscritto, i docenti a contratto li hanno segati quasi tutti e quelli che rimangono lavorano pressoché aggratisse; e del resto vorrei sapere chi cacchio insegna, se ti vanno in pensione un paio di centinaia di persone in due anni e non ne puoi reclutare a tempo indeterminato manco una. Sarebbe utile anche sapere quanto guadagnano i docenti a contratto: se vi fosse una omogeneità di trattamento, ai tempi dello scialo, è sempre rimasto un grave mistero, ma quando insegnava a contratto il sottoscritto, semplicemente non guadagnava una benamata m… e non credo dipendesse solo dalla qualità del sottoscritto. In ogni caso questi non contano ai fini della determinazione dei famigerati “requisiti minimi”, né mi pare c’entrino fico secco col famigerato 90% del FFO, perché quello riguarda il personale di ruolo: difatti i prepensionamenti con (scandalosa) riassunzione a contratto, furono posti in atto apposta per spostare da questa voce di bilancio ad altra voce i docenti. Pertanto, anche l’articolo de “Il Fatto”, mi pare che rimanga nella dimensione nebulosa della generica e superficiale reprimenda. Si sentirebbe il bisogno di un passo avanti. Per favore, fateglielo sapere 🙂
Concordo sulla superficialità.
Per quanto riguarda la retribuzione questa è stabilita per legge dei professori a contratto, e comunque basta guardare l’elenco e vedere che solo il 20% degli incarichi a prof. a contratto sono retribuiti. Invece per le consulenze esterne queste sono tutte elencate, con relativi contributi. Basta cercare… http://www.unisi.it/ateneo/adempimenti/trasparenza-valutazione-e-merito/incarichi
Bankitalia: “Banche in rosso non distribuiscano dividendi”
http://www.repubblica.it/economia/2013/03/14/news/bankitalia_bonus-54530429/?ref=HREC1-8
Le banche, che sono delle aziende private (quindi i soldi in teoria non sono pubblici) non dovrebbero distribuire dividendi se sono in deficit, mentre le università (finanziate con soldi pubblici di tutti i cittadini italiani e quindi anche con i miei) che sono in “profondo rosso” possono permettersi di distribuire compensi, gettoni, retribuzioni o altre utilità ai componenti del consiglio di amministrazione; pagare l’indennità al Rettore e la fascia stipendiale più elevata al DA? C’è qualcosa che non torna.
E infine, farebbe anche bene se, prima di parlare, vi leggeste la delibera della corte dei conti, che conferma che la ‘dichiarazione di dissesto’ non è della corte dei conti, ma è riferita al collegio dei revisori.
Inoltre molti aspetti indicati dalla corte indicano una volontà di inasprire ulteriormente le azioni intraprese.
Infine la questione dei debiti fuori bilancio sono chiaramente indicati come derivanti da esercizi precedenti.
Invece di riferirsi alle agenzie di stampa, sarebbe bene ritornare alle fonti.
E secondo voi, ammesso (e non concesso) il dissesto, quando il MIUR definira’ “i criteri per il dissesto finanziario e quindi possa assoggettare l’Ateneo a tale procedura prima che la situazione economica, finanziaria e patrimoniale degeneri ulteriormente”, si risolvono i problemi? Contenti voi….
In questo blog ci siamo sempre riferiti alle fonti, reperibili tutte in archivio: basta consultarlo. Se, però, i vertici dell’ateneo nascondono i documenti, è evidente che ci si deve riferire alle agenzie di stampa. Si pensi al famoso verbale dei Revisori dei Conti (21 dicembre 2012) che non è stato messo a disposizione neppure dei Consiglieri di amministrazione. Sono riuscito a leggerlo solo un mese dopo: alla faccia della trasparenza. Il Fatto Quotidiano ne ha parlato il 30 gennaio 2013. Comunque, ecco di seguito i link ai documenti originali. Sono più duri di quel che appaia dalla nota delle agenzie.
Relazione Corte dei Conti
https://ilsensodellamisura.files.wordpress.com/2013/03/relazionecorteconti.doc
Verbale dei Revisori dei Conti
Fai clic per accedere a verb-2.pdf
Seguendolo da parecchio il blog non posso non apprezzare il cercare di evitare il semplice sensazionalismo, magari su notizie parziali se non sbagliate, ma invece il riferirsi alle fonti. Ma in questo caso l’agenzia riporta evidenti inesattezze, e la fonte primaria (la relazione) non è stata mai riportata prima del mio commento. Personalmente me la sono dovuta cercare da solo, come sempre faccio quando voglio parlar di qualcosa con cognizione di causa.
https://servizi.corteconti.it/bdcaccessibile/ricercaInternet/deln122013VSGUniversita%27diSiena.doc?dati=bm9tZUZpbGU9ZGVsICBuICAxMiAyMDEzIFZTRyAgVW5pdmVyc2l0YScgZGkgU2llbmEuZG9jJm51bWVyb0ludD0xMTM2JmRhdGFBY3F1aXNpemlvbmU9MDcvMDMvMjAxMyZncnVwcG89U1JDJmNvZE9yZ2Fubz1GSSZ0aXBvPW9taXNzaXM=
Ciò detto evidenzio ancora che la corte dei conti su talune azioni intraprese dall’ateneo e dall’attuale Rettore e DA addirittura auspicherebbe che venissero rafforzate…
Da cui la domanda: siete sicuri che se si arrivasse veramente al dissesto e quindi alla gestione da parte di contabili amministrativi (fallimentari) le cose migliorerebbero e avremmo maggiori prospettive? Che forse l’attuale numero di 800 docenti verrebbe preservato e l’attuale numero di 980 amministrativi diminuito? Che magari i docenti a contratto o ricercatori a tempo determinato verrebbero “assunti”? Che i corsi in estinzione verrebbero rianimati?
O forse vedremmo un ulteriore inasprimento delle norme a tutela dei conti (e solo di quelli) a scapito di tutto il resto?
E forse vedremmo una massiccia redistribuzione dell’organico, obbligatorio dove possibile, o “favorito” (tipo prepensionamenti) altrove? E forse altri “rami secchi” (nella visione del contabile corsi con pochi studenti indipendentemente dal loro valore) tagliati? E, se va bene, accorpamenti con altre università con obbligo per i docenti di coprire corsi a Pisa e Firenze (cosa che peraltro non mi dispiacerebbe come soluzione…)?
Quindi, non dico che sia necessariamente male il dissesto, soprattutto se conclamato, ma attenzione a vederlo come panacea. Non è che a chiamarsi Francesco si diventa tutti poveri e misericordiosi…
«…e la fonte primaria (la relazione) non è stata mai riportata prima del mio commento…». Golene
No? E questa cos’è?
http://shamael.noblogs.org/?p=7007
Poteva duque risparmiarsi la fatica di andare a cercarsela da solo, bastava leggere questo post del 14 Marzo, quindi molto prima del suo commento.
Golene, sul coltello del Caravaggio c’era incisa la frase: “nessuna speranza, nessuna paura”, quindi cosa temere? Anche scorrendo il sito da te indicato trovo conferma di quello che già sospettavo, ossia che ci sono tre tipi di professori a contratto: ci sono anzitutto quelli che non guadagnano niente, poi quelli che guadagnano dai 1000 ai 3000 euro all’anno (un’autentica presa per il didietro, sebbene sancita per legge), per lo più giovani docenti a contratto, la cui distribuzione è sempre stata fuori controllo, sebbene ne siano rimasti in realtà pochi, in quanto vittime designate della decimazione e nessun “sindacato” ne ha preso le difese. Comunque se d’un botto ti vanno in pensione quasi oltre 200 docenti (e a altrettanti stanno per andarci) qualcuno dovrà pure insegnare. Ci sono poi quelli che all’anno di euro ne guadagnano oltre 30.000 per lo stesso identico ammontare di ore d’insegnamento; sono i contratti dei docenti prepensionati e ri-assunti (l’avete voluti?) che solo in pochissimi casi gli interessati hanno lasciato a collaboratori più giovani (in ogni caso decurtati). Tuttavia i contratti più onerosi non sono legati alla didattica, ma a “consulenze” e a “progetti”. Spero però che non si metta tutto nel mazzo e si capisca la ragione del perché e del per come. Sta di fatto che con un corpo docente che si avvia ad essere dimezzato, il turn over fermo e l’inevitabile, progressivo smantellamento, in pratica di mezzo ateneo, non so se sia il caso di continuare ancora a colpire le strutture didattiche e della ricerca, continuando a perdere fiumi di studenti e reputazione. Trovo altresì irritante che i comunicati sindacali non facciano menzione di ciò, quasi che non vi fosse un nesso con la situazione del personale tecnico amministrativo; come se Landini se ne fregasse se la FIAT chiude o non chiude gli stabilimenti, quasi che lo stipendio di Cipputi fosse indipendente dalla produzione di automobili: ma che sindacato sarebbe? Quanto al resto, mi piacerebbe conoscere la tua opinione riguardo al problema che mi sono sforzato di evidenziare nei messaggi precedenti. Con ciò mi ricollego all’intervento di Laura Vigni: sebbene in larga parte condivisibile, ho qualche perplessità (frutto di un maggiore pessimismo) riguardo alla possibilità di sopravvivenza autonoma dell’Università per Stranieri:
«Al fine di migliorare la qualita’, l’efficienza e l’efficacia dell’attivita’ didattica, di ricerca e gestionale, di razionalizzare la distribuzione delle sedi universitarie e di ottimizzare l’utilizzazione delle strutture e delle risorse, nell’ambito dei principi ispiratori della presente riforma di cui all’articolo 1, due o piu’ universita’ possono federarsi, anche limitatamente ad alcuni settori di attività o strutture, ovvero fondersi»
così recita la legge Gelmini: se non verrà posto un argine al dissesto e alla moria di corsi e di studenti, l’intera storica università senese (o “Siena I”) rischia di essere “fusa” e resa mera appendice di una delle altre sedi universitarie toscane. Come pensi di sopravvivere, isolatamente, l’università “Siena II” non è dato di saperlo: chiudendo “Siena I”? Men che mai è dato di sapere che futuro può avere la sede aretina dell’università di “Siena I” (che visto l’atteggiamento antagonista e secessionista potrebbe anche definirsi “Siena III” o “Arezzo I”). Due atenei, sedi distaccate, e contemporaneamente il dimezzamento del corpo docente, la perdita in un anno del 20% degli immatricolati e del 17% degli iscritti, e un dissesto che non pare rientrare: ma dove le trovano le risorse? Insomma, basta con le operazioni di facciata! Le risorse sono quelle che sono e di spaccare l’atomo se ne occupano al CERN. A guardare certe operazioni poste in atto negli ultimi anni sembra di vedere le facciate di cartapesta degli “spaghetti western” di Cinecittà o i carri armati di latta di Mussolini che girano in tondo attorno al Colosseo per sembrare più numerosi. Mi pare che per chi si trova nelle situazioni come quella di Siena, la legge prescriva due medicine: una meno dolorosa, consistente nella federazione parziale, ossia nella condivisione di corsi di laurea e strutture di ricerca relativamente ai settori non più autonomamente sostenibili in una o più sedi contigue; l’altra, estrema e dolorosissima, ossia la fusione o revoca dell'”accreditamento” dell’intero ateneo dissestato. A me parrebbe che prendere la prima medicina onde evitare che la situazione degeneri e si renda necessaria la seconda, sarebbe la soluzione più saggia. Ma qui stiamo ancora al “caro babbo”, come se nulla, a Siena, fosse accaduto. Tanto chi ha creato il dissesto va in pensione e saranno cavoli di chi resta.
Guardando le osservazioni conclusive della Corte, primo capoverso, quanto scritto da “Agenzie” e “Fatto Quotidiano” sembra corretto, perché la Corte scrive di «squilibri strutturali tali da determinare gravi criticità gestionali e una situazione amministrativa in costante disavanzo». E poi supporta questa tesi citando ispettorato e revisori che raccomandano la procedura di dissesto.
Il Miur ha già definito lo scenario base di criticità e quello di dissesto, mancano i decreti attuativi. Criticità: disequilibrio temporaneo. Dissesto: disequilibrio costante e incapacità di far fronte ai debiti. Nel caso di Siena: il risultato d’amministrazione è negativo non solo nei 3 anni citati dalla Corte ma dal 2005, quello di competenza, nel periodo dal 2004 al 2012, è stato positivo solo nel 2009 e nel 2010 grazie alla vendita di immobili, nel 2013 sarà ancora negativo per 19 milioni.
Il saldo tra debiti e crediti pregressi (residui) pari a -53 milioni e la moratoria chiesta sulle rate di mutuo mostrano l’incapacità di far fronte ai debiti.
A Golene (ipercritico a senso unico?)
Della relazione della Magistratura contabile ne ha parlato per la prima volta Laura Valdesi (La Nazione Siena, 8 marzo 2013; articolo allegato). La giornalista, interpellata, ha indicato il sito della Corte dei Conti. Purtroppo, io non sono stato in grado di trovare la relazione; non sono bravo come Golene! Perciò ho deciso di non scrivere nulla sull’argomento. Cinque giorni dopo (13 marzo), l’Agenzia Asca rilancia la notizia con maggiori dettagli. Anche questa volta, non disponendo ancora della relazione della magistratura contabile, ho preferito non scrivere nulla personalmente, «come sempre faccio quando voglio parlar di qualcosa con cognizione di causa». Ho, però, riportato integralmente la nota dell’Agenzia. Di mio c’è solo il titolo, incontestabile, e di cui mi assumo integralmente la responsabilità. Se l’agenzia ha riportato evidenti inesattezze, allora metto il blog a disposizione di Golene, che non avrà remore a segnalarle ai lettori.
Il 15 maggio si formalizzerà il gruppo per la costituzione di parte civile nel procedimento sul dissesto economico-finanziario dell’università di Siena. Personalmente, mi sto adoperando anche per la costituzione di parte civile contro il trio patacca, per i danni provocati in questi 28 mesi di malgoverno. Domandina semplice: possiamo onorarci della compagnia di Giovanni Golene?
Perchè no?
Mi domando solo, alla luce della relazione della Corte dei Conti, cosa significhi “28 mesi di malgoverno”.
La Corte dei Conti avrebbe voluto ricette ancora più drastiche di quelle intraprese, per riparare al disavanzo. Quindi, buongoverno avrebbe significato decisioni ancora più drastiche per compiacere alla fine la Corte dei Conti ed evitare il disavanzo? O invece prevedere soluzioni pur sempre drastiche ma a lungo respiro basate sulla sopravvivenza di un nucleo di didattica e di ricerca ma che inevitabilmente avrebbero portato a oggi ad un giudizio ancora più negativo della Corte dei Conti (che guarda appunto ai conti e non certo alla soddisfazione della “mission” dell’Università…)?
Caro Giovanni, non ho criticato l’aver realizzato un post sull’argomento, pur in assenza di alcuni documenti (che Sensazionalismo aveva già trovato, ma non se ne curi, il suo blog lo leggo poco). Ma viste le risposte del rettore mi sono dato premura di verificare sia l’agenzia che le sue dichiarazioni, e di evidenziare a chi dà giudizi tranchant che forse sarebbe meglio prima documentarsi; vale anche per me, ovviamente.
«Mi domando solo, alla luce della relazione della Corte dei Conti, cosa significhi “28 mesi di malgoverno”» Golene
I danni provocati in questi 28 mesi di malgoverno (non ancora giunti all’attenzione della Corte dei Conti) sono elencati nel post: «È necessaria l’interdizione di Riccaboni dalla carica di rettore dell’università di Siena».
Quel che oggi chiede la magistratura contabile, si doveva iniziare a farlo nel 2009: per la verità, Focardi aveva cominciato con i due piani di risanamento (funzionali, però, solo nella prima fase, quella dell’emergenza) e con il prepensionamento dei docenti. Poi è arrivato il tecnico in economia aziendale, il temporeggiatore, avrebbe dovuto adottare un piano di risanamento rigoroso in grado d’incidere sugli sperperi e sulle spese strutturali. Non ha voluto o saputo farlo! Ha continuato con i provvedimenti del suo predecessore che ormai avevano esaurito gran parte del loro impatto iniziale. S’è posto davanti ai problemi in maniera superficiale; s’è circondato di gente incapace; ha scelto, con un concorso truffa, «quella con il bagaglio più prestigioso da far valere» (come la definiva il Corriere di Siena, prima ancora che si fosse conclusa la selezione pubblica con 49 candidati). Si è, poi, rivelata il peggior direttore amministrativo che l’università di Siena abbia mai avuto.
Si sono persi quattro anni; le misure, adottate per tempo, non sarebbero state così drastiche come oggi chiede la Corte dei Conti.
«Prevedere soluzioni pur sempre drastiche ma a lungo respiro basate sulla sopravvivenza di un nucleo di didattica e di ricerca.» Golene
…scriverei in Banchi di Sotto: “non entri qui chi non ha studiato matematica”, come era scritto, pare, sull’uscio dell’Accademia di Platone. Difatti a me pare che in questo ateneo la matematica non abbia il giusto rilievo che meriterebbe: forse la marginalità delle “scienze avanzate” ha fatto sì che il rigore scientifico non vi attecchisse e le arti del Quadrivio soccombessero sotto le arti del Trivio, in ispecie la retorica. Prendo atto, dunque, con raccapriccio, della difficoltà che emerge anche tra paludati accademici nell’eseguire semplici addizioni e sottrazioni.
Se le si eseguisse correttamente, ci si renderebbe conto che parlare di “buona didattica” e “buona ricerca” nelle condizioni in cui siamo, sotto il regime dei “requisiti minimi di docenza” e con un corpo docente che si avvia al dimezzamento è semplicemente ridicolo, almeno per una parte considerevole dell’ateneo, il cui unico destino è lo smantellamento: tra i 500 e i 600 docenti nel 2020, di cui quasi la metà, suppongo, concentrati a Medicina: ma che cosa si può fare con i restanti distribuiti nei settori più vari e disomogenei? Secondo le vigenti norme ben poco: vi saranno due o tre settori abbastanza robusti e il resto in malora. Molti docenti (ed a fortiori molti amministrativi) addirittura risulteranno “inutili”, essendo stati chiusi i loro corsi e il problema sarà quello di “trovargli qualcosa da fare”, cioè far fare loro qualcosa di diverso da quello che sanno fare, benché non ve ne sia neppure bisogno, giusto per totalizzare le mitiche 120 ore con una finzione d’insegnamento: bel modo di valorizzare le risorse umane! Sarebbe questa la “ricerca dell’eccellenza” e la “meritocrazia” sbandierata dalla riforma? È questo “l’Esprit des Lois”?
Il problema è soprattutto senese, dato il cattivo esempio che stiamo offrendo agli occhi del mondo, ma non solo senese: le “piccole sedi universitarie”, aperte scelleratamente a profusione e destinate a ricevere sempre minori risorse e insufficiente personale docente per fare da sole garantendo un livello accettabile di didattica e di ricerca, ma anche le grandi e più blasonate sedi, che cominciano a mostrare evidenti falle in numerosi comparti, hanno sin qui risposto (complici le autorità nazionali che dopo aver tirato il sasso nascondono la mano e assecondano questa politica) dando vita in molti casi ad operazioni didatticamente e scientificamente cialtronesche, che hanno allontanato gli studenti più di quanto abbia fatto la crisi: pertanto io non vedo altra “soluzione di lungo respiro”, come dice Golene, se non quelle che ho additato nei miei precedenti messaggi e che sono previste dalla legge; se non fossimo italioti, sudditi di un reame dove le leggi hanno lo stesso grado di cogenza dei consigli per gli acquisti, quel “possono” sarebbe un “devono”:
«Al fine di migliorare la qualità, l’efficienza e l’efficacia dell’attività didattica, di ricerca e gestionale, di razionalizzare la distribuzione delle sedi universitarie e di ottimizzare l’utilizzazione delle strutture e delle risorse, nell’ambito dei principi ispiratori della presente riforma di cui all’articolo 1, due o più università possono federarsi, anche limitatamente ad alcuni settori di attività o strutture, ovvero fondersi»
Caro Rabbi,
buona ricerca e buona didattica si fanno anche con 500 o 600 docenti. Certo, non possiamo pensare di mantenere gli stessi corsi, lo stesso numero di studenti, lo stesso numero di amministrativi (mobilità forzata…) e alcune discipline non potranno sopravvivere.
Ovvero, detto in altre parole, si dovranno fare delle scelte.
Scelte che vanno (dovrebbero andare) nella direzione che tu auspichi, ovvero scelte di discipline da mantenere e quindi sostenere (certo, anche con assunzioni) e altre magari da accorpare con le altre università.
Buona fortuna!
«Caro Rabbi,
buona ricerca e buona didattica si fa anche con 500 o 600 docenti.» Golene
Caro Golene, con rispetto parlando, ma che conti fai? Codeste veramente sono parole in libertà: con cinquecento docenti, di cui almeno duecento di area medica e gli altri disseminati nei settori disciplinari più disparati, dalla Filologia Romanza, al Diritto Fallimentare, dalla Teoria dei Segnali alla Storia delle Religioni, dalla Biologia Marina, alla Semiologia; dall’Elettronica all’Egittologia; dall’Astrofisica all’Algebra Universale; dalle Scienze Biologiche alla Letteratura Bizantina ecc.ecc. ecc. fai ben poco. Per tenere in piedi un ciclo laurea+laurea magistrale ne devi trovare venti della stessa “razza”, non riciclabili: se ne trovi quindici, non ti bastano, e a quel punto diventano essi stessi inutili ed “in esubero”.
Questo è ciò che è accaduto, o accadrà fra breve a molti corsi di laurea di base. Non è accaduto e non accadrà, per inciso, a molti di quelli che anche in questo forum venivano sbeffeggiati come corsi “inutili”, giacché al tempo dello scialo sono stati rimpinzati ben bene di personale. Tu ritieni che non sia dannoso chiudere quasi tutto ed attestarti su pochi corsi di laurea, a prescindere da ogni sorta di valutazione di merito, dimezzando gli studenti. Ma se fai dei troiai, gli studenti non ci si iscrivono (i dati allarmanti di quest’anno confermano ciò). Se in un anno perdi il 20% degli immatricolati, con punte del 25% e predichi come formidabile strategia di rilancio l’ulteriore drastico peggioramento dell’offerta didattica, sai dove vai a finire con questo trend? A me pare un suicidio, ma ognuno, laicamente parlando, è padrone della propria vita: non è padrone, però, di quella degli altri!
Codesti discorsi in effetti hanno un certo successo presso gli ambienti delle più scelte salumerie, ove è ben chiaro che con trecento maiali si fanno seicento prosciutti; sicché, non essendoci una gran differenza tra la coscia di un ingegnere e quella di un etruscologo, lo stesso conteggio si ritiene di poter fare all’università. Ma cerca di spiegare al salumaio cosa sono i “requisti minimi di docenza” e il profluvio di norme, numeri, percentuali che governano l’ “accreditamento” dei corsi di studio: con poco più di cinquecento docenti, per giunta molti dei quali reduci dei corsi soppressi e disseminati nei più svariati settori disciplinari (a Pisa sono circa il quadruplo), si fa una ridente piccola università, come l’università di Camerino o della Tuscia e si smantella quasi tutto quello che c’è a Siena. Comprese molte eccellenze. Questo è il destino ineluttabile col quale bisognerebbe cominciare a fare i conti, e non credo che lo stato, mentre predica la federazione o fusione tra atenei piccoli e caracollanti (uno dei punti qualificanti della riforma Gelmini), mantenga eccezionalmente (perché a Siena si sa, siamo più ganzi) ben due micro-atenei a Siena, con la prospettiva di un perenne deficit, nessuna strategia di rilancio, se non quella di osservare mestamente la propria putrefazione, con pochi studenti e quasi punti corsi di laurea.
Si dovranno fare delle scelte.
Scelte che vanno (dovrebbero andare) nella direzione che tu auspichi, ovvero scelte di discipline da mantenere e quindi sostenere (certo, anche con assunzioni) e altre magari da accorpare con le altre università. (Golene)
Parole sacrosante: non “si dovranno”, ma si devono (o forse si dovevano). Non è un’opinione personale, ma il contenuto della recente legge di riforma e dell’articolo terzo, più volte citato, che con somma furbizia, evidentemente (siccome siamo ganzi), si ritiene di poter eludere. Tuttavia non so se ti rendi conto che dimezzare il corpo docente comporta l’eseguire una serie di operazioni conseguenti alla morte dei corsi di laurea e dei settori disciplinari, giacché anche i morti necessitano di sepoltura: renderai inutilizzabile e nelle condizioni di non operare anche buona parte di quelli che rimarranno, ma chi dà il diritto ai rettori di tenere in ostaggio decine di persone, praticamente imbavagliate e pretendere oltretutto che siano produttive scientificamente senza più neanche un contesto ove profondere la loro “scienza”? Si dica allora a chi vuol continuare a lavorare, guadagnandosi onestamente lo stipendio come funzionario dello Stato, abilitato a compiere questa professione dallo Stato, non da Beppe dell’arco; chiamato a Siena a svolgerla dall’università statale, non della Contrada della Spadaforte o dalla oramai celebre “compagnia della birra” (salvo eccezioni), come deve fare: io sono d’accordo con la legge Gelmini sopra citata. E siccome la legge non è una blanda raccomandazione, sarebbe il caso che anche altri fossero, per così dire… d’accordo: i settori non più sostenibili autonomamente, almeno come soluzione transitoria vanno federati. Si deve ragionare in termini di rete di atenei pubblici che insistono sul medesimo lembo di territorio e contemplare la mobilità dei docenti. Eventualmente accorpare in una o due di queste sedi le persone che fanno lo stesso mestiere, anziché disperderle inutilmente per poi inventarsi insegnamenti a casaccio per far loro realizzare le fatidiche 120 ore: ciò si rende necessario per mantenere in vita le stesse discipline scientifiche, ma questo non deve essere fatto domani, bensì ieri!
D’altra parte io non leggo di altre proposte. Quelle di cui si ha notizia sono di respiro cortissimo, fatte per “passà a jurnata”, con lo spirito del tizio che cadendo dalla torre del Mangia si rassicurava dicendo a sé stesso: “sin qui, tutto bene”. L’alternativa a quelle che modestissimamente (richiamando la recente legge di riforma) suggerisco mi pare sia sprofondare tutti quanti allegramente, continuando a bamboleggiarci nel mondo dei sogni o dell’ideologia, a vaneggiare di regni e blasoni che non esistono più, farneticando e parlando ai topi come il re Lear shakespeariano. Convinti soprattutto di essere sempre nutriti, giacché lo siamo stati in passato, come con tragico errore dedusse il famoso tacchino induttivista di Bertrand Russell.
Concordo con Rabbi su tutto, fuorché (pedantemente, lo ammetto), sul tacchino: quello di Russell era un pollo. Il tacchino stava sul tetto di Bersani.
P.S. Caro Golene, è dal tempo di Mussi, cioè oramai circa sette anni, se ben ricordo, che la pratica è quella di chiudere e di smantellare. Zero reclutamento, pensionamento di metà del corpo docente, graduale riduzione di Siena al livello di Camerino (ma è veramente questa la tua prospettiva?), in una fase in cui i “piccoli atenei” sono nel mirino perché economicamente insostenibili e sostanzialmente inutili. Tutto e tutti congelati: chiudere, chiudere e chiudere. Se continui a perdere il 20% di immatricolati all’anno, in cinque anni hai risolto il problema. Sicché quando uno oggi se ne esce e con il fare entusiasta di chi annuncia un’idea originale afferma che “bisogna chiudere un po’ di corsi di laurea”, come se avesse dormito tutto questo tempo e non si fosse accorto di quello che durante il suo torpore è stato sbaraccato, rischia di essere fatto segno dal lancio di ortaggi: non c’è nient’altro da chiudere, c’è semmai da salvaguardare e a mio avviso l’unico modo è quello che ho cercato di evidenziare. E per l’appunto è anche quello indicato dalla legge. Concedo che si può ancora chiudere l’università per stranieri, accorpandola con l’Università degli Studi di Siena, e por fine alle smanie secessioniste della sede distaccata di Arezzo, ma anche questo oramai non basta. Ma cos’altro vuoi smantellare? Diceva la mi’ nonna: “il falegname di Monte Acuto/da una trave ci cavò un fuso”.
«Se continui a perdere il 20% di immatricolati all’anno, in cinque anni hai risolto il problema.» Rabbi
Beh, matematicamente non è così… come ben sai il 20% in meno porta ad una distribuzione esponenziale, e dopo 5 anni siamo a metà dell’attuale corpo docente. Dopo 10 anni al 10%.
Con simpatia, 🙂
Mah, quest’anno, se i dati sono più o meno definitivi, gli immatricolati alle triennali sono stati 1746 (cf. http://osservatorio.cineca.it/php5/home.php), mentre l’anno scorso furono 2399. È quasi il 27% in meno, ma applicando un principio caritatevole ed ammettendo che ancora il dato non sia definitivo, ho detto che abbiamo perso il 20%. Perdendo costantemente ogni anno il 20% rispetto all’anno precedente, fra cinque anni di immatricolati ne avrai persi un migliaio, giusto? Quanto agli iscritti, sono 15.106; continuando col trend del 17% in meno all’anno rispetto all’anno precedente, in capo a cinque anni, di studenti te ne ritroverai ne un terzo; dunque molti meno dell’università della Tuscia o dell’università del Sannio, che e hanno più di 6000, attestandoti poco sotto il livello dell’università “Kore” (‘ngrato?) di Enna ed arrancando per tenere il passo con l’università di Teramo.
Pensa che popò di prospettiva! La svendita, la liquidazione di Siena: un figurone per la classe dirigente! Sarebbe come pensare di ridurre “strategicamente” il Monte dei Paschi alle dimensioni del Credito Cooperativo di Asciano, che pure è utile a qualcosa. Di fatto ciò equivale a chiudere bottega, perché chiunque sarà il ministro a quell’epoca, non vorrà farsi prendere per i fondelli.
Poi temo che non si possano fare i conti così, perché con la massiccia uscita di ruolo dei docenti, dunque con la caduta dei famosi requisiti minimi e la conseguente progressiva chiusura di altri corsi e smantellamento di altri settori, il pericolo è che ci si avvolga in una spirale nichilistica: se di anno in anno peggiori ulteriormente l’offerta didattica, quello che perdi non sarà il 20% o il 17%, ma assai di più. Altrimenti devi spiegarmi su quale base dovrebbe invertirsi la tendenza. Fossimo all’anno zero ci si potrebbe appellare al folkloristico “e so’ troppi!”, invocare qualche voluttuoso accorpamento e fare spallucce; ma oramai siamo a grattare il fondo del barile, è stato accorpato l’accorpabile, sbaraccato lo sbaraccabile e ulteriori operazioni di accorpamento o puntellamento non credo siano possibili.
A parte che, come ti ripeto, “piccolo” non è” bello”, il drastico ridimensionamento a livelli lillipuziani, nel quadro del fallimento del sistema senese in toto è forse a questo punto ineluttabile, ma non è un pranzo di gala e non può essere gestito con il criterio “mors tua vita mea”; una ulteriore riduzione dell’offerta didattica, con i grafici delle iscrizioni che già quest’anno precipitano a picco, è una cosa drammatica; il declassamento di Siena ad un piccolo ateneo modello Università della Tuscia che di fatto vaticini comporta un pesante, ulteriore ridimensionamento anche dei finanziamenti e mi pare che tendere a questo si possa proprio definire “risanamento”. Personalmente continuo a trovare assurdo ed illusorio questo modo “parastatale” di ritenere che lo stipendio arriverà ugualmente anche a prescindere che lo stabilimento, le linee di produzione funzionino o meno.
Poi c’è quell’altro affaruccio assai scottante. Chiudendo ulteriori corsi di laurea, rendendo superflui moltissimi settori disciplinari, come inevitabilmente è accaduto ed accadrà, il problema a questo punto sono coloro che restano, quei docenti e ricercatori con una prospettiva di vita (accademica) di una ventina d’anni coi quali non saprai cosa farci: ti ritroverai decine docenti senza docenza e di ricercatori senza ricerca e l’unico modo sensato per impiegarli (giacché costoro hanno dei doveri in ordine alla docenza e alla produzione scientifica) non è inventarsi insegnamenti surreali o far loro insegnare quello che non sanno (associati ed ordinari) o semplicemente sopprimere i loro insegnamenti e dimenticarsi della loro esistenza (i ricercatori, oramai in molti settori disciplinari gli unici docenti rimasti). Per non dire dei più giovani che lavorano a contratto, decimati con metodo nazista.
Mi parrebbe più sensato (visto che sono stipendi pagati con quattrini pubblici e visto che è parso sensato anche al legislatore – art. 3 della legge di riforma) coordinare l’offerta didattica sul territorio regionale, ammettere la mobilità del personale docente (che sarà mai?), federare alcune strutture e concentrare le persone che fanno lo stesso mestiere là dove è utile il loro contributo, non mettendo assieme i dantisti e i dentisti dello stesso ateneo onde dar luogo a porcate di corsi di studio filologico-odontoiatrici ai quali non si iscriverà nessuno, ma i dentisti coi dentisti e i dantisti coi dantisti di due o più atenei vicini, in modo da irrobustire entrambi i campi di studio e salvaguardare gli studi odontoiatrici, così come quelli dantistici nel territorio toscano: questo a mio avviso è l’unico modo di utilizzare sensatamente le risorse umane onde garantire strutture produttive dal punto di vista della didattica e della ricerca e frenare la dissoluzione di discipline, gruppi di ricerca, competenze.
Può darsi che, nel chiedere l’applicazione della lettera della legge mi sbagli (notoriamente in Italia ci si può astenere dall’osservare i dettami della legge), ma c’è un progetto, un’idea alternativa? La terribilità di certi annunci circa il dimezzamento del personale docente altrimenti hanno il solo effetto di “epater le Bourgeois” (e far girare i cabbasisi al popolo) e la frenetica “Totale Mobilmachung” nello spostare cose e persone da qui a lì, e poi da lì a qui, che a Napoli chiamano “fare ammuina” dà l’impressione che non si sappia cosa fare per invertire la rotta del declino. Mi pare anzi di notare di quando in quando una certa gioiosa concupiscenza nel modo in cui vengono distrutti lavoro, carriere, competenze, persone, in nome del ben noto narcisismo (“io sò er mejo”) che obnubila le menti degli accademici.
Sesto Empirico, in marzo 25, 2013 alle 9:57 pm ha detto:
Concordo con Rabbi su tutto, fuorché (pedantemente, lo ammetto), sul tacchino: quello di Russell era un pollo. Il tacchino stava sul tetto di Bersani.
——————–
il famoso tacchino sul tetto che scotta, indimenticabile pièce teatrale di Tennessee Williams?
P.S. Caro Sesto, a me comunque risultava essere un tacchino e la storiella a mio avviso costituisce un piccolo apologo sull’ascesa e caduta della città di Siena:
«Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell’allevamento dove era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un’inferenza induttiva come questa: “Mi danno il cibo alle 9 del mattino”. Purtroppo, però, questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato»
Questo scriveva Russell:
«And this kind of association is not confined to men; in animals also it is very strong. A horse which has been often driven along a certain road resists the attempt to drive him in a different direction. Domestic animals expect food when they see the person who feeds them. We know that all these rather crude expectations of uniformity are liable to be misleading. The man who has fed the chicken every day throughout its life at last wrings its neck instead, showing that more refined views as to the uniformity of nature would have been useful to the chicken.» Problems of Phylosophy, cap VI. On Induction
http://www.ditext.com/russell/rus6.html
Quella che riporti tu è una versione divulgativa successiva dovuta probabilmente a Chalmers (What is that thing called science, 1999). Io continuo a preferire l’originale con la sua morale conclusiva (more refined view.. would have been useful)
Quanto a Bersani, nel celebre scontro televisivo con Renzi voleva vantare la sua esperienza internazionale citando un proverbio tedesco che però tradusse “c’è tanta gente che preferisce un passerotto in mano piuttosto che il tacchino sul tetto” quando l’originale era «Besser ein Spatz in der Hand als eine Taube auf dem Dach».
Ma ho divagato troppo e mi scuso. Più che polli, tacchini o colombi qui incrociano altri tipi di volatili.
Caro Sesto, sì, la versione che ho riportato non è quella originale, ma quella rintracciabile nel fortunato libriccino popolare di Chalmers. Passando ad altro, vorrei però commentare questa affermazione, a dir poco elusiva (e allora mi chiedo veramente a che gioco giochiamo e se i politici vecchi e nuovi non siano veramente tutti uguali, nella loro superficialità):
«Ancora si vocifera sulla questione del “troppo personale”, additato come la causa di tutti i mali. Proprio nel blog del prof. Grasso, “il senso della misura”, si pubblicano grafici dove si dimostra l’alto numero di personale tecnico-amministrativo in relazione ai docenti, senza chiedersi perché e quali sono le funzioni di queste mille persone e soprattutto senza valutare il reale impatto economico dello stesso sul disastrato bilancio. Si vuole, in qualche modo, dimostrare che sono i dipendenti la causa del dissesto.» (Movimento 5 Stelle)
Solidarietà ai lavoratori della Cooperativa, ovviamente: 64 persone per la strada non sono un trascurabile incidente, ma come si fa a sostenere di voler salvare i posti di lavoro senza pensare a come fare a salvare la fabbrica? Trovo nel mondo politico-sindacale una schizofrenia veramente sorprendente. La contrapposizione docenti/amministrativi era un cavallo di battaglia della Trimurti sindacale. Dal grafico del professor Grasso (scaricabile anche dal sito unisi, visto che sono dati ufficiali) si evince che l’università di Siena si avvia ad avere il doppio di amministrativi rispetto ai docenti allo scadere dei prossimi sette anni (caso unico nell’universo noto ed intravisto da Hubble). Ma se messa così la faccenda appare come un attacco al personale tecnico ed amministrativo, allora possiamo vederla in un altro modo, dicendo che il vero dato eclatante è che il personale docente dimezzerà.
Sì, dimezzerà, e lo farà a macchia di… giaguaro, senza possibilità di essere sostanzialmente rimpiazzato, attestandosi su un numero tra i 500 e i 600 docenti: o forse vi è qualche ottimista che prevede una riapertura massiccia del reclutamento da qui a breve? Annichilendo le strutture didattiche e di ricerca vi saranno per forza ulteriori ripercussioni anche sul personale tecnico ed amministrativo; dunque, avendo a cuore le sorti del medesimo, non capisco come si possa evitare di parlare di questo tema.
Quando, indulgendo ad un melassoso populismo, si parla de “i docenti” tout-court, come di un tutto indistinto, costituito evidentemente solo da “baroni”, facendo i conti del salumaio quando li si enumera senza troppi distinguo (da un maiale ci viene due prosciutti, qualunque mestiere faccia il porco), forse si dimentica che l’università non fabbrica prosciutti, né ricciarelli e panpepati, e che una coscia di biochimico non fa lo stesso servizio di una coscia di astrofisico.
Per un ciclo completo ti ci vogliono venti docenti di ruolo (lo stabilì Mussi, lo ribadì la Gelmini): ciò implica che se in quattro corsi di laurea ti vanno in pensione cinque docenti per corso, non solo questi quattro corsi chiudono, considerato che oramai è stato accorpato l’accorpabile (anche con risultati esecrabili e fallimentari nel nome dello sputtanamento totale-globale) e la panchina delle riserve è esaurita, ma a quel punto devi decidere cosa farne dei sessanta docenti che rimangono ed accettare l’idea che non avrai più immatricolati a quei corsi che hai chiuso. E vai col liscio…
Attendere imbelli la chiusura dei corsi e la sparizione delle discipline scientifiche – giacché non tutti hanno i famigerati 22 professori di ruolo, come si è visto – e la costante moria di studenti, man mano che la gente va in pensione (a quel punto, per un circolo vizioso, rendendo superflui anche molti di quelli che non vanno in pensione), è secondo voi un modo sensato di gestire le risorse umane? A me pare di no. Si dimentica:
1) che le competenze non sono intercambiabili;
2) che i numeri necessari sono fissati dalla legge;
3) che quelli che Siena può mettere sul piatto sono miseri e relativi oramai a specialisti delle materie più svariate e;
4) che buona parte dei docenti di ruolo, tra quelli che arriveranno vivi (salvo suicidi) al fatidico 2020, anagraficamente i più giovani, sono i ricercatori, per un numero infinitesimo dei quali qui si aprirà qui la prospettiva di una “chiamata” come associati.
Dunque che tutti i docenti siano “baroni” al culmine della carriera che guadagnano un fottìo di quattrini è una boiata pazzesca. Già ad oggi i ricercatori sono 355 su un totale di circa 820 docenti, che sarebbe un ragguardevole 43% circa; essendo mediamente i più giovani (o meno anziani), immagino che si troveranno quasi tutti ancora lì, quando il totale dei docenti sarà poco più di 500, ed essendo la progressione in carriera bloccata, ci arriveranno col medesimo grado: molti di costoro lavorano in settori destinati ad estinguersi per le ragioni sopra dette e non è chiaro cosa intendano farne le competenti autorità
Di certo non li attende una promozione, perché, idonei o no, quando un settore disciplinare non esiste più, né esiste più il corso di laurea ove era naturalmente inserito, è ben difficile che venga riesumato e che qualcuno – se si eccettua l’intervento miracoloso di San Gennaro – “chiami” un associato per quel settore. Ma anche senza promozione, dove e come potranno pensare di continuare ad espletare al meglio la loro attività? Sicché questa è tutta gente cui hai rovinato la vita, segata senza alcun tipo di valutazione “meritocratica” e che per giunta ti resterà sul groppone. Questo anche per dire che la demagogica contrapposizione docenti vs. amministrativi (roba da politicanti di quart’ordine) non tiene conto del continuum di situazioni diverse ed incomparabili che si trovano nei due campi.
In questo blog si sono evidenziati gli scenari che l’apertura di ulteriori cospicue falle in uno scafo malandato, che già dal 2008 è stato malamente rattoppato, porterà con sé, visto che la legge, per tenere aperti i corsi, lo ripeto alla nausea per chi finge di non capire, richiede un certo numero di docenti di ruolo (cioè solo di ricercatori, associati, ordinari) in una precisa miscela e dunque insistere che molti dipendenti, inquadrati come tecnici, in realtà insegnano è perfettamente inutile, perché per la legge non contano come docenti, la loro quantità è del tutto ininfluente al mantenimento dei corsi di laurea e non turano le falle nei requisiti minimi di cui sopra.
Io ribadisco la mia persuasione che Siena oramai da sola non risolve niente. Semmai si illude di risolvere i problemi, risolvendo temporaneamente solo quelli di qualcuno. La legge, come già detto (art. 3), indica una via d’uscita, il cui senso è che nella difesa da un assedio, gli assediati non si sparpagliano sulle mura oramai cadute, ma arretrano e si concentrano nella difesa del torrione. Ciò vale anche per i settori scientifici e non solo per i castelli. Soprattutto mi domando se vi sia qualcuno dotato di una visione d’insieme e capace di andare oltre la conservazione strenua ed insensata dei particolarismi feudali. Ma qui mi sa che in diversi si renderanno conto di cadere, solo quando saranno ad un centimetro dal suolo.
[…] in merito alle elezioni irregolari del rettore, «indulgendo ad un melassoso populismo» (come dice Rabbi), ha reso pubblico un documento sull’università di Siena con il quale dichiara […]
[…] soldi fra i docenti»? Mandarli a casa? Questo vuol dire chiudere altri corsi di laurea! Come dice Rabbi: «Annichilendo le strutture didattiche e di ricerca vi saranno per forza ulteriori ripercussioni […]