Università di Siena: inconsistenti precisazioni del rettore, mentre si dimette il presidente del collegio dei revisori dei conti

Altan-bicchiere

Su “Il Mondo” di oggi appare la replica di Riccaboni a un articolo che rendeva pubblica la notizia della sua querela nei miei confronti. Corretto ed emblematico il titolo che il settimanale dette a quel pezzo: «Riccaboni-Grasso, scontro a Siena». Infatti, non è stata l’università di Siena a presentare l’esposto, ma Riccaboni. Nella lettera odierna, il “magnifico” espone, ancora una volta, sé stesso, e l’Ateneo che dovrebbe rappresentare, al ridicolo: con una precisazione che non precisa nulla, ma che aggrava la sua posizione di tecnico di “Economia aziendale” e offre l’occasione al giornalista di poter affermare in modo categorico: «Riccaboni è rettore non da pochi giorni ma a metà del terzo anno di mandato e vanta di aver attuato piani di risanamento. Forse i revisori non se ne sono accorti.» Che dire? Ormai siamo al “tafazzismo”. E, intanto, il presidente della I Sezione del Tar dell’Umbria, autorevole magistrato amministrativo, con importanti sentenze e contributi di scuola, visibili anche in rete, ha rassegnato le dimissioni dal collegio dei revisori dei conti dell’ateneo senese, dopo appena tre mesi dalla sua nomina. Lo scorso dicembre, il Dott. Cesare Lamberti e gli altri due membri del collegio auspicavano la definizione, da parte del Miur, «dei criteri per il dissesto finanziario per poter quindi assoggettare l’Ateneo a tale procedura prima che la situazione economica, finanziaria e patrimoniale degeneri ulteriormente.». Sconosciute le motivazioni delle dimissioni. Forse competenza, rigore e intransigenza non sono di casa all’università di Siena.

Riccaboni e i conti di Siena (Il Mondo 26 aprile 2013)

Angelo Riccaboni. In merito a quanto riportato nell’articolo dal titolo «Riccaboni-Grasso, scontro a Siena» (il Mondo 14), avendo preso atto delle opinioni esplicitate dall’autore sull’Università di Siena, ritengo doverose alcune precisazioni. Nell’esprimere il parere obbligatorio al bilancio 2013, i revisori non hanno chiesto il commissariamento dell’ateneo. Hanno invece auspicato che il Miur definisca i criteri per individuare le situazioni di criticità o dissesto, secondo quanto previsto dalla legge Gelmini per gli atenei impegnati in percorsi di risanamento finanziario. Secondo la normativa, l’eventuale dichiarazione di criticità o dissesto consentirà agli atenei di adottare iniziative funzionali alla realizzazione dei piani di risanamento.

Fabio Sottocornola. Più che interpretare le parole dei revisori dei conti, ultimo capoverso di un verbale da 18 pagine del 21 dicembre scorso con il parere contrario al bilancio 2013, conviene seguire, rapidamente, quanto scrivono sui conti dell’università di Siena. Anzitutto, una variazione al bilancio 2012 che riconosceva «debiti fuori bilancio», è stata adottata, secondo i revisori «con grave ritardo». Sul budget di quest’anno, redatto per la prima volta secondo la contabilità economico-patrimoniale, il collegio «apprezza» la scelta. Ma denuncia «una generale carenza di contenuti informativi nella relazione di accompagnamento». Quanto ai numeri: «perdita d’esercizio di 6 milioni, squilibri del conto degli investimenti di 7,3 milioni, disavanzo di competenza di 19,5». Risulta così violato il vincolo del pareggio. Grave è la situazione amministrativa «già deteriorata che vede un disavanzo di amministrazione presunto a fine 2012 di 46,6 milioni». Sui flussi di cassa, oltre al solito «deficit informativo», il collegio segnala una «preoccupante previsione al 31 dicembre». Ciò fa ritenere «probabili delle carenze di liquidità e quindi l’incapacità di pagare regolarmente i debiti». Come se ne esce? Riccaboni è rettore non da pochi giorni ma a metà del terzo anno di mandato e vanta di aver attuato piani di risanamento. Forse i revisori non se ne sono accorti. Infatti, offrono una loro ricetta: l’università deve «sospendere le dotazioni nei confronti dei dipartimenti (1,6 milioni di euro), intervenire sulle sedi per accelerare processi di vendita o chiusura di plessi». Necessari ulteriori tagli su tutti i costi di gestione e «azioni per la riduzione del personale». Poi, la bocciatura.

Articolo pubblicato anche dail Cittadino Online (19 aprile 2013) con il titolo: «Ateneo: il rettore precisa e il presidente del collegio dei revisori si dimette

La redazione de “il Cittadino Online” solidarizza con Giovanni Grasso querelato da Angelo Riccaboni

Leggeuguale

Il rettore Riccaboni querela il professor Grasso
La redazione de ilcittadinoonline.it esprime solidarietà al docente

Redazione de “Il Cittadino online”. «E questi, detto tra noi, rappresenterebbero la schiera degli intellettuali. Di quelli che dovrebbero, sulla carta, avere una visione ampia, sollevata almeno di qualche metro dalla terra che noi miseri mortali calpestiamo ogni giorno… I docenti di questa un tempo illustre università tacciono. A parte qualche esempio di attivismo (vedi il professor Grasso contro cui l’Università è passata alle vie di fatto legali), regna un silenzio marziano. Il silenzio delle coscienze che sarebbe auspicabile non insegnare ai giovani». L’estratto dell’editoriale del 6 marzo scorso, a firma del direttore Raffaella Zelia Ruscitto riportava già la notizia. Il professor Giovanni Grasso è stato querelato dal rettore Angelo Riccaboni. Oggi (5 aprile) la notizia è passata su “Il Mondo”.

«Chi è Giovanni Grasso?» – scrive il settimanale che, precisa, non ha ancora avuto conferma dell’azione legale intrapresa ai danni del docente da parte del Rettore – «Ordinario di lungo corso a medicina, il docente da alcuni anni dà vita a un blog fatto di numeri, analisi, forum di discussione, controinformazione il cui titolo è chiaro: Il senso della misura (per una nuova università a Siena). Inutile dire quanto sia seguito, anche a livello nazionale, il sito che guarda, e non dal buco della serratura, l’ateneo più disastrato d’Italia. Quella malandata piccola Oxford dai bilanci in rosso, dove le assunzioni di personale con appoggi sindacali o professori con agganci politici erano all’ordine del giorno. Alcuni ex vertici sono oggi coinvolti in inchieste e processi. Un panorama non proprio idilliaco, di cui Grasso ha dato sempre conto. E preso spesso posizione contro rettori che si chiamavano Piero Tosi o Luigi Berlinguer. Insomma, gente con un certo standing. Perché la denuncia? Oggetto è un articolo di metà febbraio in cui Grasso chiedeva “l’interdizione di Riccaboni dalla carica”, dopo un suo ennesimo tentativo di negare quanto auspicato dai revisori dei conti: il commissariamento dell’ateneo. La mossa del magnifico appare improvvida. I conti a Siena sono ancora fuori controllo, il piano di risanamento sembra inefficace, le vendite di immobili sul binario morto. Non sarebbe meglio dare risposte a questa serie di problemi? Grasso non si fermerà nell’azione di denuncia. Anzi, potrebbe addirittura diventare la bandiera di quanti, studenti, ricercatori o professori, in tutte le 90 università d’Italia si battono ogni giorno per fare pulizia. Contro la casta dei baroni e i loro trucchi nei concorsi, i nepotismi, i magnifici sempre in proroga.»

Insomma, a dare come a ricevere queste notizie, prende, sinceramente, un certo sconforto. Le azioni legali, da parte di chi, in prima persona dovrebbe rispondere pubblicamente di quanto fatto a capo di una istituzione pubblica, divengono elemento di ulteriore indignazione. Mostrare i pugni, intimidire chi la pensa diversamente, o anche contrasta con durezza un operato ritenuto inadeguato o peggio eventualmente scorreto, è la via meno “opportuna” che un rappresentante di ente pubblico possa prendere. Perché, invece, non scegliere un confronto aperto, sui numeri, sulle vicende indicate, sui passaggi programmati, che punti alla chiarezza e alla trasparenza? Perchè non farsi muovere da un profondo senso di umiltà e valutare eventuali suggerimenti dati da chi, invece di genuflettersi al ruolo, ha il coraggio di indicare gli errori e, magari, proporre percorsi di risanamento dei bilanci “non correttamente considerati”?

La redazione de ilcittadinoonline.it esprime solidarietà al professor Giovanni Grasso, i cui contributi all’informazione sono stati spesso accolti nelle sue pagine e assicura il suo sostegno fattivo a diffondere gli esiti di questa azione giudiziaria.

Riccaboni-Grasso, scontro a Siena

In-cattedra

Fabio Sottocornola (Il Mondo, 12 aprile 2013). Il rettore dell’università di Siena, Angelo Riccaboni, avrebbe querelato per diffamazione il professor Giovanni Grasso. La notizia a Siena è data per certa, anche se il Mondo, al momento di andare in stampa, non ha ancora ricevuto una conferma ufficiale da parte del magnifico. Chi è Giovanni Grasso? Ordinario di lungo corso a medicina, il docente da alcuni anni dà vita a un blog fatto di numeri, analisi, forum di discussione, controinformazione il cui titolo è chiaro: Il senso della misura (per una nuova università a Siena). Inutile dire quanto sia seguito, anche a livello nazionale, il sito che guarda, e non dal buco della serratura, l’ateneo più disastrato d’Italia. Quella malandata piccola Oxford dai bilanci in rosso, dove le assunzioni di personale con appoggi sindacali o professori con agganci politici erano all’ordine del giorno. Alcuni ex vertici sono oggi coinvolti in inchieste e processi. Un panorama non proprio idilliaco, di cui Grasso ha dato sempre conto. E preso spesso posizione contro rettori che si chiamavano Piero Tosi o Luigi Berlinguer. Insomma, gente con un certo standing. Perché la denuncia? Oggetto è un articolo di metà febbraio in cui Grasso chiedeva «l’interdizione di Riccaboni dalla carica», dopo un suo ennesimo tentativo di negare quanto auspicato dai revisori dei conti: il commissariamento dell’ateneo. La mossa del magnifico appare improvvida. I conti a Siena sono ancora fuori controllo, il piano di risanamento sembra inefficace, le vendite di immobili sul binario morto. Non sarebbe meglio dare risposte a questa serie di problemi? Grasso non si fermerà nell’azione di denuncia. Anzi, potrebbe addirittura diventare la bandiera di quanti, studenti, ricercatori o professori, in tutte le 90 università d’Italia si battono ogni giorno per fare pulizia. Contro la casta dei baroni e i loro trucchi nei concorsi, i nepotismi, i magnifici sempre in proroga.

Alla ricerca della deontologia perduta, nell’università di Siena e nel giornalismo

UnisigagaDi seguito un articolo pubblicato oggi su Linkiesta, preceduto dal link ad alcuni post sullo stesso argomento da me pubblicati su il senso della misura.

Giovanni Grasso –  Davvero qualcuno pensa di usare un “Madoff italiano” per risanare l’università di Siena? (Il senso della misura, 8 giugno 2011)

Giovanni Grasso – Le sorti dell’università di Siena nelle mani di un Madoff senese?  (Il senso della misura, 27 luglio 2011).

Giovanni Grasso – Un fondo immobiliare per speculare sull’università di Siena (Il senso della misura, 12 ottobre 2011).

Giovanni Grasso – Quando lo sciacallaggio parte dai vertici (Il senso della misura, 31 dicembre 2011).

Giovanni Grasso – Altro grosso danno erariale per l’università di Siena? (Il senso della misura, 13 febbraio 2012).

Giovanni Grasso – Ma il Rettore dell’Università di Siena c’è o ci fa? (Il senso della misura, 24 febbraio 2012).

I conflitti d’interesse dell’Università di Siena

Nicola Di Turi. C’è un esposto che langue da qualche mese nei cassetti della Procura di Siena, e che punta a sbrogliare uno dei nodi del “groviglio armonioso” che tiene insieme da sempre le principali istituzioni della città del Palio. Banca, Comune, fondazione e non ultima, l’Università di Siena, lo stesso ateneo dove insegna Lorenzo Frediani. Ordinario in Economia degli intermediari finanziari, Frediani è stato dispensato da lezioni e ricevimenti per «esigenze istituzionali», direttamente dal rettore Angelo Riccaboni e dal direttore amministrativo Ines Fabbro.

In una lettera datata 21 ottobre 2011, Riccaboni e Fabbro scrivevano al preside della facoltà di Economia Giulio Ghellini per segnalare che «il prof. Frediani… può essere chiamato a partecipare a sedute urgenti presso questo Rettorato anche con brevissimo preavviso. Tali riunioni riguardano … la valorizzazione del patrimonio immobiliare». Un coinvolgimento naturale, dal momento che l’ateneo era ed è alle prese con un piano di ristrutturazione del patrimonio immobiliare, messo in piedi per ripianare un buco di 200 milioni attraverso l’alienazione di mattoni di proprietà. L’università era impegnata a vendere i propri immobili, e così affidava a esperti e consulenti del settore.

Incarico ampiamente giustificato, perciò, se non fosse che già dal 19 Febbraio 1996 lo stesso Frediani risultava titolare delle quote di maggioranza della società Astrea s.r.l., operante proprio nel campo immobiliare. Come risulta dalle informazioni patrimoniali e finanziarie della società, depositate alla Camera di Commercio di Milano, all’atto di costituzione Astrea s.r.l. aveva un capitale sociale di 30mila euro, e annoverava tra i soci proprio Lorenzo Frediani (titolare di quote per 28.500 euro), e l’amministratore unico Vilma Grazzini (1.500 euro).

«Compiere ogni altra operazione mobiliare e immobiliare, ed in particolare acquistare, vendere, permutare … immobili civili e industriali, e provvedere alla loro gestione quando di proprietà sociale» recitava l’oggetto sociale di Astrea s.r.l. Eppure Frediani, già socio di una società operante nella compravendita di immobili, diventava anche consulente di un ateneo pubblico impegnato a piazzare sul mercato i propri immobili. Il tutto, con la conseguenza di non poter più esercitare in pieno la funzione di docente di ruolo, per via dei sopraggiunti impegni «istituzionali», messi nero su bianco nella lettera di «esonero» del rettore Riccaboni e del direttore amministrativo Fabbro.

Era opportuno chiamare proprio il professor Frediani, già socio di una società immobiliare privata, a gestire «la valorizzazione del patrimonio immobiliare e la ristrutturazione dei mutui» contratti dall’ateneo senese? L’attività di consulenza prestata dal professore all’ateneo ha portato la società di cui è socio «a trattare l’acquisto di beni immobili di proprietà dell’università»? L’esonero dalle attività didattiche è conciliabile con il regime del tempo pieno cui è soggetto il professore, che invece risulterebbe «incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale e di consulenza esterna»? Infine, «non è singolare la coincidenza che il prof. Frediani … sia chiamato dall’Università … a prestare la propria consulenza nel settore immobiliare nonostante la materia che insegna non sia esattamente quella immobiliare»? Questi gli interrogativi contenuti nell’esposto presentato qualche mese fa in Procura, e di cui ancora si attendono gli esiti eventuali.

Interpellato sulla vicenda, il rettore dell’Università di Siena Angelo Riccaboni ha voluto chiarire la sua posizione e quella dell’ateneo: «Ho chiesto ad alcuni colleghi di darmi una mano in maniera gratuita. Tra questi c’è il prof. Frediani, che ho chiamato sulla base di competenze riconosciute in ambito internazionale. Se poi qualcuno mi dice che posso spendere 3-400 mila euro per avvalermi di consulenze esterne lo faccio volentieri» dice Riccaboni a Linkiesta. «Se sapevo di Astrea s.r.l.? No, anche perché non sono tenuto a sapere cosa faccia un professore al di là dell’università. So che Frediani è molto bravo su questi argomenti, ma non mi sembra che sia una persona al centro di compravendite immobiliari. In ogni caso, escludo che Astrea s.r.l. abbia trattato immobili dell’Università di Siena, e sicuramente sarebbe stato inopportuno se la società di proprietà del prof. Frediani avesse partecipato alle nostre gare pubbliche. Ma non è successo» ha assicurato Riccaboni a Linkiesta.

Certamente, però, non sarà facile risanare il rosso di circa 200 milioni di euro che l’Università di Siena si trovava a fronteggiare solo qualche tempo fa. Anche se la strada sembra ormai tracciata, e passa dalla dismissione del patrimonio immobiliare dell’ateneo, alle prese con un piano di risanamento triennale, inaugurato dall’ex direttore amministrativo Emilio Miccolis. Un piano giunto quasi al termine, su cui però potrebbe abbattersi un’ulteriore grana, quella raccontata nell’esposto rinchiuso nei cassetti della procura di Siena.

Necessaria la costituzione di parte civile per i danni all’ateneo senese provocati dal trio Riccaboni-Frati-Fabbro

Caravaggio

Con il titolo «Siena: la caduta» e sottotitolo «Era la città ideale, ora sembra diventata un manifesto del cattivo governo. Un mito disarcionato. Da una banca.» il venerdì di Repubblica presenta un servizio di Paola Zanuttini, con foto di copertina che ritrae un fantino mentre cade da cavallo. Si dice che da ieri sera i contradaioli siano stati informati dell’azione legale che il “Consorzio per la Tutela del Palio di Siena” intende attivare contro la Repubblica, che ha diffuso, senza autorizzazione, una foto del Palio. All’interno un altro titolo: «Viaggio tra le ombre della città che fu ideale». Il lungo sottotitolo: «Il crac del Monte dei Paschi vissuto come un trauma. In un posto dove un cittadino su quattro lavora con la banca, dove sport, cultura e il Palio dipendono da un Istituto di Credito. Che ora non ha più credito.» Ho incontrato la giornalista, rispondendo per circa un’ora alle sue numerose domande. Di seguito, quel che ha pubblicato del lungo colloquio, nel quale riporta brevemente i dati riguardanti le azioni truffaldine, relative all’utenza studentesca sostenibile.

Paola Zanuttini. È piena di blogger, Siena, ma si vede che questi lupi solitari ululano le loro verità alla luna, altrimenti la cittadinanza non sarebbe così sconcertata dai noti fatti. Prendiamo Giovanni Grasso, ordinario di Anatomia umana e autore del blog Il senso della misura, dove segnala ogni illecito, abuso o scandalo cui assiste all’Università. Lui scrive, scrive, ma non succede granché, se non interviene la magistratura. Anche le persone che accusa non reagiscono: «Al massimo, se li incontro, mi evitano». Effettivamente, quella che l’ex rettore Luigi Berlinguer definiva una piccola Oxford ha perduto un po’ dello stile britannico. Grasso elenca un rosario di nefandezze. Ce n’è una niente male. Nel 2011/12 entrava in vigore in tutti i Corsi di Farmacia e di Chimica e Tecnologia Farmaceutiche il numero programmato. Siena non l’ha applicato e, non richiedendo i test d’ingresso, si è accaparrata 1120 iscritti, quando ne poteva accogliere 273. Bel colpo per le casse dell’Università, ma non per gli studenti: hanno avuto solo 52 professori, mentre Milano proponeva 147 docenti per 640 iscritti.

Chi tutela l’università di Siena nel processo contro i responsabili del dissesto dell’Ateneo?

Zelia-RuscittoRiportiamo dall’Editoriale de “Il Cittadino Online” (“Facciamo ancora finta che non sia successo niente?“) il brano riguardante l’ateneo senese. In esso si legge che «l’Università è passata alle vie di fatto legali contro il professor Grasso». Non ne so nulla! Però, mi auguro di cuore che la notizia sia vera!

Raffaella Zelia Ruscitto. (…) Proseguiamo con l’Università? Ieri (6 marzo) udienza rinviata per il buco dell’Ateneo. Nova, direbbe un senese doc! Di rinvio in rinvio (e prima di passaggio di carte in passaggio di carte) sono trascorsi 5 anni e di sapere di chi caspita sia la responsabilità di un disastro gestionale senza paragoni in Italia, siamo ben lungi dal sapere. In questo caso, ci permettiamo qualche altra osservazione di carattere strettamente etico/morale: secondo quanto riferito da alcuni sindacalisti presenti, in aula non c’era nessuno a rappresentare l’Università! Come mai? In un’inchiesta che vede dei rettori imputati come possibili responsabili del dissesto, perché l’ente non si interessa e non prevede una sua posizione attiva nel processo? Chi tutela un bene collettivo? Chi rappresenta la città (ma, per esteso, i cittadini italiani) di fronte alla giustizia? Questa domanda, fatta dal giudice Bellini oggi in aula, è rimasta sospesa nell’aria ed è caduta miseramente senza che nessuno alzasse il ditino a dire “Io, signor giudice”. E il fatto è decisamente inquietante e la dice lunga su chi oggi si trova a rappresentare l’Università di Siena.

Restando sempre in ambito universitario: in diversi (Lega Nord e Laura Vigni ma magari dimentico qualcuno) hanno chiesto al Rettore Riccaboni di fare il passo delle dimissioni. Una richiesta che scaturisce non solo dalla questione dell’indagine sulla sua nomina (ma già quella basterebbe!) ma che prende forza dalla questione dell’ultimo bilancio d’Ateneo e dalla relazione del Collegio dei Revisori dei Conti. Una bocciatura piena che giunge alla richiesta d’intervento del Miur al fine di avviare la procedura di dissesto finanziario. In due anni non si è riusciti a fare nulla per rimettere in piedi i conti dell’Università. A parte, ovviamente, allungare i mutui per far ricadere i debiti sulle generazioni future. Anche qui sono stati chiesti sacrifici ai dipendenti, sono state mandate via persone bisognose di lavoro (chiamando in causa la necessità del taglio dei costi!) ma chi amministra, chi prende stipendi faraonici (ed in alcuni casi ingiustificati) non ci pensa neppure a tagliarseli! E questi, detto tra noi, rappresenterebbero la schiera degli intellettuali. Di quelli che dovrebbero, sulla carta, avere una visione ampia, sollevata almeno di qualche metro dalla terra che noi miseri mortali calpestiamo ogni giorno… I docenti di questa un tempo illustre università tacciono. A parte qualche esempio di attivismo (vedi il professor Grasso contro cui l’Università è passata alle vie di fatto legali), regna un silenzio marziano. Il silenzio delle coscienze che sarebbe auspicabile non insegnare ai giovani.

Su tutte le vicende universitarie incombe il rischio prescrizione. Come a dire: sì, ci abbiamo provato ma… pazienza. Ormai le cose sono andate così; qualcuno ha preso soldi, qualcuno li ha solo spesi pensando che fossero suoi, qualcuno li ha usati per farsi una schiera di servi (all’Aurigi gergo) e crearsi una bolla di potere, qualcuno li ha usati per fare carriera altrove… fatevene una ragione! (…)

Alla ricerca della piramide perduta

L’ascesa del «Faraone» nell’Ateneo della ‘grandeur’ (Piero Tosi: il patologo che studiava da ministro) (Da: La Nazione Siena, 19 febbraio 2012)

Tommaso Strambi. «Va bene per martedì alle 18.30. Ma non incontriamoci al Rettorato. È  meglio vederci al solito posto …». Sono le 14 e 17 minuti del 10 novembre 2010. Fissato l’appuntamento, il professor Piero Tosi saluta Angelo Riccaboni, il giovane ‘delfino’ che, proprio in quei primi giorni di novembre si è insediato in Banchi di Sotto, dopo una lunga attesa dovuta alle incertezze dell’allora ministro dell’Università, Maria Stella Gelmini, a firmare il decreto di nomina a Rettore vista l’esistenza di un’inchiesta della magistratura sulla regolarità delle elezioni che nel luglio precedente avevano visto Riccaboni superare per un pugno di voti (16) il ‘magnifico’ uscente, Silvano Focardi. Perché non parlare in Rettorato? Chissà? «Meglio vedersi al solito posto», osservano. Lasciando, intendere, che è una prassi consolidata. «Malelingue», ribatteranno. Forse, non essendo esperti di cultura africana, non conoscono il vecchio proverbio secondo il quale se devi nascondere un albero quale posto migliore della foresta. Ma tant’è. Così andiamo avanti «con il solito». In fondo lo diceva anche la pubblicità: «Mario, il solito!». Altro giro, altra corsa. È il professar Tosi a chiedere a Riccaboni un appuntamento. Ci sono tante cose da affrontare. E lui lo sa bene. Per dodici anni – prima dell’appassionato contradaiolo della Chiocciola Focardi – ha guidato l’antico Studium senese. Non per nulla è stato un ‘grande elettore’ di Riccaboni, il giovane economista che lui stesso nel 1997 aveva chiamato a presiedere il Nucleo di valutazione dell’Ateneo (incarico che ricoprirà sino al 2004) e, poi, ad aiutarlo a fondare il Cresco. Non solo. Nel 2005 sarà sempre Tosi a sostenerlo nella corsa alla presidenza della Facoltà di Economia e, poi, ancora ad affidargli l’incarico di prorettore per la sede distaccata di Arezzo. Questione di cooptazione. L’Università italiana funziona così. Da sempre. Bisogna mettersi in coda e confidare nella benevolenza del ‘barone’. Ma tra Tosi e Riccaboni non c’è il solito rapporto da docente e discepolo. Il primo, infatti, è un eminente patologo con 300 pubblicazioni scientifiche e testi di Anatomia e Istologia Patologica nel curriculum, il secondo è un economista. Cosa accomuna, dunque, il medico e il professore di economia aziendale? La gestione dell’Accademia. Sapere e potere che, sovente nelle aule universitarie, si confondono in un connubio indissolubile. E Tosi lo sa bene. Ha sempre accompagnato all’intensa attività scientifica quella di gestione della res universitaria. Tanto che nel 1981 diventa prorettore. Il primo passo della carriera ‘nelle stanze dei bottoni. Quel cammino che negli anni Novanta lo porterà a diventare a sua volta Rettore. Molti ex presidi e docenti ricordano ancora quando, nel corso di una seduta del Senato Accademico, l’allora ‘Magnifico’ Luigi Berlinguer, in procinto di diventare ministro della Pubblica Istruzione, mettendogli le mani sulle spalle lo indicò come suo successore. E nel 1994, in effetti Tosi, con qualche mese di anticipo rispetto ai tempi programmati, divenne Rettore. L’inizio di un nuovo ‘Regno’, ma nel segno della continuità. Beninteso.

Anche Piero Tosi, come il suo predecessore, sa miscelare doti da ammaliatore e tessitore di relazioni, ma con un’inclinazione, ancora più spiccata, alla grandeur. E, a spalleggiarlo, Tosi trova Maurizio Boldrini. Che teorizza e mette a punto la più grande area comunicazione mai vista all’interno di un Ateneo. A dire il vero Boldrini ci aveva provato anche nella gestione Berlinguer, ma si era dovuto scontrare con l’inflessibilità ed il rigore della ‘comandante’ Jolanda Cei Semplici. Tra lei e il comunicatore non c’era un gran feeling. Anzi. Nel segreto delle stanze lei lo aveva ribattezzato il ‘giornalaio’. Così, nel momento in cui la Semplici lasciò gli uffici di Banchi di Sotto, Boldrini poté finalmente mettere a punto il suo piano. Intanto, sull’altro versante, Tosi moltiplicava corsi di studio e cattedre. Un vero e proprio maestro in questo. Il capolavoro lo compie il 19 aprile del 2002. Quel giorno sottoscrive con l’Azienda ospedaliero-universitaria senese un accordo per «lo sviluppo delle attività di ricerca e docenza della Facoltà di Medicina e Chirurgia per settori di interesse per le funzioni assistenziali della Facoltà stessa». Inutile dire che a controfirmare l’accordo fu Jolanda Cei Semplici nella sua veste, questa volta, di direttore generale delle Scotte. Alè! Inizialmente i soldi venivano presi da fondi erogati dalla Regione Toscana ma, da preveggente, Tosi si preoccupava di non far mancare cattedre a coloro che le avrebbero così ricevute. Per questo l’articolo 4 dell’accordo evidenzia «al momento dell’eventuale interruzione concordata del finanziamento per la retribuzione della docenza reclutata, l’Università se ne farà carico, con propri fondi di bilancio comunque acquisiti». In fondo «un posto fisso» non si nega a nessuno. Anche pochi mesi prima, alla fine di dicembre 2001 ci fu un’infornata di assunzioni. E questo, nonostante, il direttore amministrativo dell’epoca, Loriano Bigi, avesse firmato una relazione in cui si metteva in guardia dall’eccessivo drenaggio di risorse per il personale. Mentre nel dicembre del 2005, allorquando si diffuse la notizia che la Finanziaria 2006 avrebbe stabilito il famoso rapporto del 90% tra spese e personale, in soli quattro giorni (dal 16 al 20 dicembre) vennero ‘sgonfiate’ tutte le graduatorie ancora in essere. Un vero peccato lasciare qualcuno a casa. Via, così, all’assorbimento di tutti i ruoli banditi in precedenza. Avanti un altro! E, se i soldi non ci sono, si troveranno. I bilanci, del resto, si aggiustano. All’epoca non si sapeva, ma l’inchiesta aperta dalla Procura di Siena qualche anno dopo (nel 2008) lo ha dimostrato. E sebbene Tosi osservi «che io sono arrivato a fare il rettore da patologo e il mio successore da ecologista: cosa volete che ne sappiamo di conti», dai riscontri degli uomini della Guardia di Finanza incaricati dai magistrati della Procura, alla fine della fiera, dalle casse dell’Ateneo mancano, almeno, 200 milioni. E, comunque, qualche ‘ritocco’ si può sempre fare. Così tra i faldoni della Procura c’è anche un appunto manoscritto, datato 11 febbraio 2003, che ha spinto i magistrati ad ordinare una perizia calligrafica. Secondo l’ex direttore amministrativo Interi, infatti, alcune correzioni a penna erano state fatte da Tosi «desideroso di ricucire lo scollamento tra entrate ed uscite, pari a circa 18 milioni di euro». Una ricostruzione che la consulente nominata dai pm, Rosaria Calvuana, ha confermato: «le manoscritture di colore nero presenti nell’appunto datato 11 febbraio 2003 appartengano alla mano del professor Piero Tosi». Vedremo. Se e quando sarà celebrato un processo. Tra le inchieste e le sentenze, infatti, ci sono sempre i dibattimenti in aula.

E, anche questo, l’ex rettore Tosi lo sa bene. Il 27 aprile del 2010 è stato assolto per una serie di accuse (dalla truffa all’abuso d’ufficio, dalla tentata concussione alla falsità materiale) in cui era incappato con altri docenti ed ex direttori generali dell’università e dell’azienda ospedaliera-universitaria. Anche se, per due concorsi (medicina legale e chirurgia plastica), deliberati a maggioranza dall’università, ma «non in modo regolare» secondo le accuse in quello stesso processo, Tosi è stato condannato (con il riconoscimento delle attenuanti generiche e la sospensione della pena) a nove mesi. In fondo, il potere ha sempre un costo. E al ‘faraone’ Tosi il potere piace. Ne è affascinato. E Siena per lui è piccola. Perché non puntare in alto? L’occasione la fornisce la Crui. Per Tosi è un gioco da ragazzi conquistarne la guida non appena un altro rettore toscano, il matematico Luciano Modica, lascia Palazzo alla Giornata (la sede del rettorato di Pisa) per candidarsi alle elezioni suppletive al Senato. La Crui è un trampolino di lancio importante per chi aspira ad un ruolo da ministro. Tosi lo ha imparato da Berlinguer. E così ci si butta anima e corpo. Tanto che nel novembre del 2004 porta in Senato Accademico una modifica allo Statuto in modo da «far coincidere il termine del proprio mandato quale presidente della Crui con quello di Rettore». Nessuna forzatura, beninteso. Tosi, si legge nella delibera, «comunica di aver ricevuto, da parte di presidi e rappresentanti di area in Senato, una sollecitazione». Ci mancherebbe che qualcuno pensasse ad un Ateneo ad «uso e consumo». Roba da regimi. Qui, siamo in democrazia. Così la delibera passa con il voto di tutti i presenti, compreso quello di Tosi. La cosa non passa inosservata e il professor Giovanni Grasso presenta ricorso al Tar. Ma i giudici amministrativi, senza entrare nel merito, ‘bocciano’ il ricorso «perché il ricorrente avrebbe dovuto procedere solo dopo la delibera ad hoc del Senato accademico». Ed, in effetti, era quello che aveva fatto il professor Grasso. In realtà, quello che mancò fu l’atto amministrativo di recepimento di quella delibera approvata il 15 novembre 2004. Quisquilie. Dopo la pronuncia del Tar la cosa non andò avanti e Tosi rimase alla guida di Banchi di Sotto e della Crui. Come sollecitato dai colleghi e come previsto. Purtroppo, il 26 febbraio 2006, il sogno si infranse davanti agli uomini della polizia giudiziaria che gli notificarono un’ordinanza di interdizione. Un tramonto improvviso, solo in parte risarcito (come abbiamo visto) dalla sentenza dell’aprile 2010. E pensare che in quella primavera del 2006 l’Ulivo vinse davvero le elezioni. Il «barone rosso» avrebbe potuto ben figurare nella compagine governativa alla guida del dicastero della Sanità o di quello dell’Università e della Ricerca Scientifica. Che peccato! E, invece, lasciata la cattedra, è fra color che aspettano che il gup decida sulle 18 richieste di rinvio a giudizio formulate dalla Procura in merito all’inchiesta sul dissesto dell’Ateneo. «Sono tranquillo – dice -. Ho fiducia nella magistratura, ho la coscienza a posto e sono sicuro di dimostrare di aver sempre agito in buona fede. A breve, comunque, mi farò sentire, è venuto il tempo di parlare e raccontare come stanno veramente le cose. Non solo leggere quanto viene scritto da altri». Perché no? È una questione di trasparenza e chiarezza. Sempre. E non solo «al solito posto».

Un argomento trascurato nel dissesto dell’università di Siena

Condivido l’articolo di Raffaele Ascheri (da l’Eretico di Siena) che riporta il costo delle consulenze esterne: 2,7 milioni di euro corrisposti dall’università di Siena in sette anni ad alcuni professionisti per le loro prestazioni. A questo punto ritorna prepotente d’attualità la mia richiesta del 2006, tesa a sapere come siano stati spesi in soli tre esercizi 20 milioni di euro etichettati, eufemisticamente, come assegnazioni diverse.

Come distruggere un’Università: le consulenze esterne

Raffaele Ascheri. Nel mare magnum della maxi-inchiesta della Procura di Siena (Pm Nastasi e Natalini) sul clamoroso “buco” dell’Università, a parere ereticale un capitolo stimolante assai è quello delle consulenze esterne (a memoria, poco trattato anche dai blogger più “universitarizzati”, come quello di Giovanni Grasso e quello degli illuminati: se mi sono perso qualcosa, chiedo venia!). Dalla Relazione sulla verifica amministrativo-contabile dell’Università (effettuata dall’8 marzo 2010 al 21 maggio dello stesso anno, poi pubblicata il 28 luglio), a cura del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e dalla Guardia di Finanza a cura del dottor Giovanni Diana, infatti, si evincono nel dettaglio un sacco di cosine interessanti. Non nuove, ovviamente: ma documentate al centesimo…

L’estensore sembra stigmatizzare il ricorso sistematico alle consulenze esterne: l’Università di Siena non ha conferito nessun incarico tecnico a suoi dipendenti. In qualche caso – si dirà – era impossibile; in altri, forse cercando meglio qualcosa si poteva trovare, no? Gli architetti, i geologi, gli ingegneri, comunque, li ha chiamati dall’esterno. Vediamo con quali costi: anno 2003: € 632.688,00; anno 2004: € 349.107,00; anno 2005: € 578.239,00; anno 2006: € 387.540,00; anno 2007: € 84.230,00; anno 2008: € 276.499,00; anno 2009: € 414.826,00. Il tutto, per un totale – spalmato fra il 2003 ed il 2009 – di qualcosa come € 2.723.132,00. Ma la disamina ci dice anche – e soprattutto – altro, ben altro: che i beneficiati (di cui c’è l’elenco completo, ovviamente, anno per anno), risultano essere in pratica sempre gli stessi; peggio ancora (molto peggio…), si aggiunge qualcosa di tagliente assai sul come venivano scelti i consulenti: «affidamenti disposti intuitu personae, atteso che in nessun caso (anche per quelli di maggiore rilevanza economica) è risultata svolta una vera e propria procedura concorrenziale e, quindi, una selezione fra più soggetti».

E non è tutto, perché la furbizia è stata la molla dell’implosione del Sistema Siena (non solo all’Università, indubbiamente però paradigmatica): dal momento che la Legge (articolo 17 della legge 109 del 1994, in pieno clima Tangentopoli) obbliga a gare d’appalto o comunque a procedure di selezione per incarichi di progettazione o revisione superiori a quota 100mila euro, all’Università del Bengodi che si faceva, siccome s’era tutti più furbi di quegli altri? La stragrande maggioranza degli incarichi si facevano inferiori al prefato limite di 100mila euro, bypassando di fatto la problematica legislativa sopra citata. Vai con l’affido fiduciario, vai con l’intuitu personae: e s’è visto come è andata a finire…

Ma è vero che “la barba fa il monaco”? Ricordi frivoli come auguri di compleanno

«Ce te sta faci criscere la barba?» («ti stai facendo crescere la barba?») mi chiese Elvira, nel mese di agosto dell’anno scorso, riferendosi alla mia barba lunga di una settimana. Ed ancor prima che potessi risponderle, aggiunse: «Ti sta bene! Ancor meglio se ti lasci solo baffi e pizzo!». Alla vicina di casa, una salentina che incontro ormai da venticinque anni alle Isole Tremiti, risposi che non avevo alcuna intenzione di farmi crescere la barba; non l’ho mai fatto, tanto meno ora, alla mia età. Il ricordo di quell’episodio, che qui riporto nel giorno del mio 66° compleanno, mi ha fatto venire in mente quella bellissima nota di Leonardo Sciascia: «perché la barba? Per distinguersi o per somigliare? Per affermare o per nascondere?» (Nero su Nero, Einaudi, Torino 1979). Spero d’esser più credibile del concittadino di Sciascia che dichiarava «che non per moda se l’era fatta crescere ma soltanto perché negli ultimi tempi aveva avuto tanto lavoro da non trovare il tempo di radersela.» Già, il tempo. Tutti gli anni, in vacanza d’agosto, la solita routine domestica: riaprire e pulire casa dopo un anno di chiusura; mettere al sole materassi, lenzuola e altri panni umidi; sistemare le tende per ripararsi dal sole; tagliare la vite americana che invade il piccolo portico; sbarbare le erbacce e zappettare il minuscolo giardinetto; curare i gerani e il rosmarino dopo il lungo abbandono; annaffiare le belle di notte e le bocche di leone. E così, la prima settimana di vacanze passa veloce e si finisce con il trascurare, deliberatamente e piacevolmente, il proprio aspetto, a partire proprio da quella noiosa attività mattutina che per undici mesi scandisce la vita lavorativa in città: radersi.

Leonardo Sciascia. Un nostro scrittore trovandosi una sera, in un salotto romano, ad essere aspramente contestato, a un certo punto reagì lanciando contro il più accanito dei suoi contestatori la domanda: «E tu perché porti la barba?» La domanda, inaspettata e violenta, sortì buon effetto: il giovane contestatore annaspò in cerca di una valida ragione a sostegno della sua e dell’altrui barba; poi si riprese dicendo che la barba non c’entrava, che il discorso era un altro. Ma per quella sera la contestazione a carico dello scrittore si spense.

Forse in quel determinato momento la domanda aveva davvero lo scopo di divertire il discorso; ma esprimeva anche la preoccupazione e il disagio che coloro che usano radersi totalmente e assiduamente provano di fronte al fiorire e moltiplicarsi di barbe. Barbe di ogni foggia e misura: corte o fluentissime, scriminate o arruffate, alla francescana, alla moschettiera, alla Lenin, alla D’Annunzio, alla Balbo. Già: perché la barba? Per distinguersi o per somigliare? Per affermare o per nascondere?

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Auguri per un compleanno

A pomeriggio inoltrato, “lu villanu” (il contadino), rientrato in casa dopo una giornata di duro lavoro nei campi, distanti otto chilometri dal paese, si sentì dire da Niculetta, un’anziana vicina di casa: «è nata n’authra fimmina» (è nata un’altra femmina). L’uomo rispose: «va bene!». A quel punto la donna aggiunse: «auecchiu! Nu masculu è natu!» (Bugia! È nato un maschio!). Oggi, quel neonato, ha compiuto 65 anni. Nell’augurare tanta salute e lunga vita all’amico sincero e schivo, vorrei ricordare altri episodi che tante volte gli ho sentito ripetere. Da bambino, quando gli chiedevano cosa avrebbe fatto da grande rispondeva convinto: “lu thrainiere” (il conducente del carro). E suo padre, a chi gli chiedeva quale mestiere avrebbe preferito per suo figlio, rispondeva: «meju puercu ca villanu» (meglio maiale che contadino). Non poteva certo augurare, a suo figlio, il duro lavoro nei campi, al quale anteponeva la vita da maiale. Per fortuna l’amico non ha fatto il “thrainiere” e neppure “lu villanu”. Ma nel 1965 abbandonò il paese natìo, Campi Salentina, dove non ha più fatto ritorno.