Istituto Italiano di Scienze Umane (Sum): processo alle “eccellenze” strombazzate

Il processo Sum tra star e Diamanti (da: il Mondo, 29 giugno 2012)

Fabio Sottocornola. Parata di prof-star all’udienza di martedì 12 giugno del primo processo Sum a Firenze su quello che doveva essere uno dei più prestigiosi istituti universitari italiani per dottorati post laurea. Almeno nelle intenzioni di Aldo Schiavone, ordinario di diritto romano che voleva chiamare in Toscana (l’altra sede è Napoli) nomi eccellenti dell’accademia. Peccato che, secondo l’accusa, i trasferimenti fossero pilotati (violazione del segreto d’ufficio) e farlocche le commissioni giudicatrici. Sostanziosi, sempre per l’accusa, i vantaggi (anche patrimoniali) per i docenti. Però, il sociologo milanese Guido Martinotti, ex prorettore alla Bicocca passato al Sum perché era «un progetto molto promettente», in aula ha sostenuto di aver rinunciato «a un sacco di consulenze». Gli garantivano entrate, attraverso l’ateneo meneghino, fino a 30 mila euro l’anno aggiuntivi rispetto allo stipendio. Più perdite che guadagni in busta paga anche per Leonardo Morlino, docente di scienze politiche transitato al Sum e che oggi insegna alla Luiss. In risposta a una domanda del pm Giulio Monferini, si è detto «non sorpreso» di essere stato l’unico a concorrere per la sua materia al Sum. «Ho l’impact factor più alto tra i colleghi in servizio. Non mi meravigliava che volessero me». A suo favore si è pronunciato al processo il sociologo, e volto noto al pubblico, Ilvo Diamanti per il quale il bando non era ad personam. «Ero stato allertato e potevo competere. Ma sto bene dove sto (Urbino, ndr)». A suo parere, nessuno partecipava «sapendo che c’era Morlino. Come se io mi mettessi a fare la gara a Bologna dove è in corsa Angelo Panebianco». Infine, per Giovanni Verde, ex vicepresidente del Csm e consulente delle difese, nei trasferimenti di docenti come di magistrati, non si guardano le competenze già verificate nei concorsi. Piuttosto, aspetti come stima, posizione scientifica o la linea che l’ateneo vuole avere.

Università di Siena: un modello organizzativo da ridere fa piangere alcuni amministrativi

Rsu d’Ateneo, Cisal, Cisapuni, Cisl, Flc-Cgil, Ugl-Intesa, Uil-Rua, Usb PI. Chiarissimo Rettore e gentile Direttrice, molti colleghi, che lavorano attualmente nei Dipartimenti o nelle strutture periferiche, ci chiamano preoccupati per quanto sta accadendo in questi giorni, nei quali si susseguono colloqui con la Direzione Amministrativa e le persone deputate all’assegnazione del personale alle strutture periferiche, secondo i criteri della nuova organizzazione dipartimentale. Le preoccupazioni vengono soprattutto dal fatto che è disattesa la parola data anche in sede di informativa sindacale, nella quale ci avete comunicato che il personale avrebbe continuato a lavorare nei nuovi Dipartimenti, mantenendo comunque indicativamente ciascuno la propria attività e la propria sede di servizio; così come ci avevate detto che non sarebbe esistito alcun problema relativamente all’assegnazione dei segretari di dipartimento, a seguito della riduzione dei Dipartimenti stessi, in quanto molti di loro avevano già manifestato la propria volontà di essere adibiti ad altre mansioni. Sembra invece che si stia attuando un piano ben diverso, che prevede spostamenti di segretari amministrativi, che ne declassa alcuni al ruolo di “vice segretario” (figura che sembra uscita all’improvviso, con chissà quale ruolo reale), che tiene in considerazione spostamenti d’intere segreterie amministrative che seguono un segretario e che vanno a ricoprire ruoli fino ad ora ricoperti da altre persone… un po’ come se la valutazione delle capacità operative di queste persone fossero compito del segretario amministrativo, che decide chi portarsi dietro nella nuova struttura.

Al personale delle c.d. “periferie” è stato fatto un test per la rilevazione delle attività svolte (nonostante molte informazioni fossero rilevabili da altri database), che doveva servire a valutare le competenze del personale e indirizzarlo nei posti di lavoro più appropriati. Sembra proprio che tutto ciò non sia servito a nulla, poiché l’amministrazione sta attribuendo incarichi e determinando trasferimenti, anche in sedi diverse, senza curarsi delle volontà del personale e adottando un criterio soggettivo per le proprie scelte, con riferimento sia agli incarichi di segretario amministrativo che all’assegnazione a sedi diverse. Una domanda, dunque, sorge spontanea: a cosa sono serviti i test? Chi li ha valutati? Quali i criteri oggettivi che hanno portato a scegliere i futuri segretari di dipartimento e a distribuire il restante personale nelle filiere? In questa fase delicata tutto si deve ispirare a trasparenza e a criteri equi e definiti. Invece tutto sembra essere frutto di trattative singole fatte con i vertici dell’Amministrazione. L’amministrazione deve subito convocare le OO.SS. per spiegare e illustrare criteri e parametri utilizzati per individuare queste nuove figure e deve interrompere subito questo assurdo e iniquo metodo di scelta (mosso da criteri piuttosto “personali”) che sta determinando un ulteriore disagio a tutto il personale interessato.

I Costituzionalisti italiani impugnano il Regolamento per l’abilitazione scientifica nazionale dei professori universitari

Presidente Associazione Italiana CostituzionalistiValerio Onida (Presidente dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti). Il direttivo dell’associazione italiana dei costituzionalisti, esaminato il testo del D.M. 7 giugno 2012 – che approva il regolamento sui criteri e parametri per la valutazione dei candidati e sulle modalità di accertamento della qualificazione dei commissari ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari – ha rilevato, a prescindere da ogni altra considerazione di merito, un palese vizio di illegittimità e di irragionevolezza che inficia il disposto dell’allegato B (Indicatori di attività scientifica non bibliometrici), applicabile ai settori dell’area 12. In esso infatti si introduce fra gli indicatori di attività scientifica non bibliometrici, che condizionano la valutazione positiva dell’importanza e dell’impatto della produzione scientifica complessiva (n. 4, lettera b; n. 7, lettera b), il numero di articoli pubblicati nei dieci anni consecutivi precedenti il bando su “riviste appartenenti alla classe A” (n. 3, lettera b; n. 6, lettera b), secondo la suddivisione effettuata dall’ANVUR anche avvalendosi dei gruppi di esperti della valutazione della qualità della ricerca e delle società scientifiche nazionali (n. 2, lettera a). In tal modo si fa dipendere la valutazione della qualità della produzione scientifica da un elemento estrinseco (“classe” di appartenenza delle riviste su cui sono comparsi gli articoli) definito ora per allora e con effetto retroattivo, riferendosi la produzione scientifica da valutare ai dieci anni precedenti la indizione della sessione di abilitazione, ma essendo previsto che solo ora sia effettuata la suddivisione delle riviste. Tale disciplina appare lesiva dei principî di eguaglianza e ragionevolezza, nonché del principio di affidamento legittimamente sorto nei soggetti “quale principio connaturato allo stato di diritto” (cfr., ex multis, Corte cost., sentt. n. 206 del 2009; n. 156 del 2007). Il direttivo ha pertanto deliberato di impugnare il D.M. in questione nella parte in cui, attraverso le previsioni dell’allegato B, introduce il predetto indicatore con efficacia retroattiva, auspicando che la medesima iniziativa giudiziaria possa essere adottata d’intesa anche con altre società scientifiche dell’area 12.

Veline da Minculpop all’Università di Siena

Censura e veline all'Università di SienaNon sorprende che il quindicinale “Zoom” denunci l’autoreferenzialità dei vertici dell’Ateneo senese! Grave è il silenzio dei docenti per le veline da Minculpop del rettore e direttore amministrativo!

Servono messaggi chiari dall’Università

Zoom (22 giugno 2012). Nel cataclisma cittadino in cui tutte le istituzioni sono sconvolte da una crisi che sembra essere irreversibile, ci si mette anche l’Università a complicare la vita di chi vuol capirci qualcosa, dando all’esterno un’immagine assolutamente autoreferenziale e incomprensibile ai più.

Vi è come una mania dei vertici dell’Ateneo di inviare alla stampa, cartacea ed online, delle sintesi delle riunioni dei due principali organi di governo, Senato e CdA, prive di qualsiasi concreta indicazione sulle reali manovre (se ci sono) decise dall’Ateneo per uscire dalla crisi, così che i normali cittadini, anche quelli eventualmente interessati, non sono in grado di districarsi dalla aggrovigliata sintassi di questi comunicati. Da qualche settimana, ad esempio, tiene banco la riconversione – ex legge Gelmini – dell’Ateneo da una struttura con didattica e ricerca separati, ad una con didattica e ricerca integrati in un unico contenitore: il Dipartimento.

Fioccano i comunicati del Rettore dai quali chi non sia strettamente riguardato dalla vicenda non riesce a capire assolutamente niente. Grandinano termini come “eccellenza”, “qualità”, “rilancio”, “risanamento” e il cittadino riflette sull’incongruità di tutto questo con quello che vede, ovviamente dall’esterno, volgendo lo sguardo verso Banchi di Sotto. Poi, magari, parla anche con qualche amico o conoscente, dipendente dell’Ateneo, il quale scuote la testa sconsolato, adducendo il senso di demoralizzazione, di sfiducia, di svogliatezza visto che gli stipendi sono stati ridotti, che i fornitori spesso attendono mesi per riscuotere, che la Magistratura procede con lentezza esasperante all’individuazione precisa delle responsabilità che, pure, sono sotto gli occhi di tutti e così via. Una distonia che non ha giustificazione e che, soprattutto, non lascia comprendere in che modo queste manovre dovrebbero condurre ad un risanamento e ad un rilancio. È già da tempo che da queste colonne lanciamo grida di allarme su questi aspetti restando, evidentemente, inascoltati. Continuiamo a sperare che le cose possano cambiare rapidamente.

La nuova governance dell’università di Siena all’insegna dell’illegalità

Nes Siena. Da qualche tempo l’Università di Siena ricorda molto la parabola della rana bollita. Se una rana viene messa nell’acqua bollente, questa con un balzo si salverà, ma se viene messa in acqua tiepida che viene riscaldata costantemente, la rana si intorpidirà e perderà le forze lentamente, fino alla morte. Ormai, noi studenti, siamo talmente abituati ad assistere a illeciti amministrativi (ma non solo!) nel nostro Ateneo che rischiamo di fare la fine della rana bollita e persino le Associazioni Studentesche, anziché operare in maniera limpida e nel rispetto delle regole, preferiscono andare a braccetto con il Rettore per tutelare nell’illegalità i loro piccoli interessi. Cosa sta succedendo?
Il mandato dei Rappresentanti degli Studenti è scaduto da quasi un anno, sembrerebbe quindi naturale iniziare ad organizzare le nuove elezioni atte a legittimare quelli che saranno i nuovi Rappresentanti. Invece no, troppo difficile e, soprattutto, troppo “secondo le regole”. Le Associazioni di sinistra, che vantano anche il Presidente del Consiglio Studentesco, invece di adoperarsi con tutti gli altri Gruppi per trovare una soluzione più rappresentativa e democratica possibile, hanno pensato bene di rivolgersi all’amico Rettore e decidere insieme a lui come bypassare il naturale confronto elettorale. Il risultato è stato questo: le suddette Associazioni, in totale sintonia con il Magnifico, hanno proposto in Consiglio Studentesco di non effettuare le elezioni dei Rappresentanti degli studenti nei Dipartimenti, ma di nominare i Rappresentanti tramite un Decreto Rettorale, andando contro tutti i principi di democraticità, ma, soprattutto, ignorando completamente la legge, la quale prevede che i Rappresentanti debbano essere eletti.
Come gruppo Nes Siena, ci siamo opposti alla proposta del Rettore in Consiglio Studentesco (siamo stati gli unici!), ma non solo, abbiamo già presentato un’interrogazione al Ministero dell’Istruzione tramite il Rappresentante, al CNSU, Francesco Sgura, e ci riserviamo di rivolgerci al TAR per annullare questo Procedimento Amministrativo che è, evidentemente, illegittimo oltre che amorale.

I sindacati insistono sulla mozione di sfiducia nei confronti del Direttore amministrativo dell’Ateneo senese

Rsu d’Ateneo, Cisal, Cisapuni, Cisl, Flc-Cgil, Ugl-Intesa, Uil-Rua, Usb PI. Nell’ordine del giorno del CdA di lunedì 25 giugno non è stata inserita la mozione di sfiducia nei confronti della Direttrice Amministrativa richiesta dai rappresentanti del personale tecnico e amministrativo in CdA su mandato dell’assemblea, della Rsu d’Ateneo e delle OO.SS. Pretendiamo che sia immediatamente inserita all’ordine del giorno.

In merito al trattamento economico accessorio (TEA) tutto ciò che abbiamo sempre rivendicato nei passati 18 mesi a seguito della nota del MEF è stato confermato: obbligatorietà del pagamento del salario accessorio; obbligatorietà della certificazione dei fondi da parte del Collegio dei Revisori dei Conti; obbligatorietà della riapertura della contrattazione integrativa a prescindere dallo squilibrio finanziario, detto buco. Ad oggi, però, tutto questo non ha prodotto alcun risultato. Assistiamo ancora al balletto del cifre sulla determinazione dei fondi dal 2000 al 2009. I conteggi sono stati rifatti almeno 9 volte ottenendo sempre un risultato differente. Questa incapacità ci obbliga a rifiutare qualsiasi risultato che ci verrà infine presentato e di rifare i conteggi con consulenti di parte.
Per tutto quanto sopra scritto non possiamo fare altro che insistere nel dichiarare la nostra totale sfiducia nei confronti dell’operato della Direttrice Amministrativa. Ci aspettiamo dal Rettore e dalla Direttrice Amministrativa come unico segnale di apertura e conciliazione il pagamento per intero del TEA per l’anno 2011. Come potete pretendere che prestazioni lavorative già rese nell’anno passato non siano retribuite per intero? Chiedete a tutto il personale di affrontare un disagio e un sacrificio grandissimo con la nuova, confusa e complessa, riorganizzazione retribuendoci come? Il recupero che per ora è stato richiesto dal MEF entra in pieno conflitto con l’autonomia universitaria. È curioso come l’autonomia venga rivendicata per tutelare la proroga illegittima dei rettori di molti Atenei italiani contro il MIUR e non venga minimamente ricordata per le richieste legittime del personale tecnico e amministrativo di questo Ateneo che non chiede nulla di più di quello che gli spetta. Sacrificare, oggi, l’autonomia universitaria per il personale tecnico e amministrativo può sembrare poca cosa, ma segna un brutto precedente che ricadrà anche su chi si sente tanto tutelato nella sua funzione.

Per salvare l’università di Siena «ci vorrebbe un docente e un economista!», ha dichiarato Riccaboni

Rabbi Jaqov Jizchaq. 1. Per creare “i migliori”, come dice Raffaele Simone, occorrono corsi di laurea con un percorso 
chiaro, didatticamente ben strutturati, ben gerarchizzati (cioè a dire dove il livello superiore non sia una mera ripetizione di quello inferiore, quello che è fondamentale si distingue da quello che lo è meno), con chiari curricula dal triennio, alle lauree magistrali, al dottorato, al postdottorato: insomma, l’esatto opposto di quello che sta accadendo in questa fase. Anche perché sennò “i migliori”, come sta accadendo massicciamente adesso, non trovando soddisfazione alla loro brama di conoscenza, scappano a gambe levate subendo l’attrazione di sedi ove l’offerta didattica è più ricca e meno cinobalanicamente assemblata che da noi. Ma qui siamo ancora al caro babbo, ignari della concorrenza che oramai esercitano altre sedi o altri paesi europei.

2. La massiccia uscita di ruolo di moltissimi docenti rende insostenibile un’offerta didattica come quella che c’era prima, per via di quell’altra geniale trovata dei “requisiti di docenza” mussiano-gelminiani, e si è detto: “vabbè, a qualcosa si deve rinunciare”; ma mi domando che razza di criterio di selezione sia questo e le toppe che si stanno cucendo su vestiti sempre più laceri, mi paiono peggio del buco che coprono. Si era detto che c’erano troppi docenti, ma dal fatto che ora scarseggino e si aprano voragini nella didattica, si evince evidentemente che non erano “troppi” dappertutto, bensì in alcuni settori, né che l’abbondanza fosse proporzionale all’importanza e alla fama scientifica. Si era detto che si dovevano sopprimere i corsi “inutili” e di basso livello, ma siccome alla fine le scelte sono state compiute sulla base, se non talvolta di criteri inconfessabili, del materiale umano disponibile dopo le uscite di ruolo naturali o con moto accelerato (e questo blog ha illustrato bene dove di materiale umano ce n’era parecchio, insinuando anche perché), a me pare che invece siano entrati in crisi o stiano per farlo alcuni tra i settori più specializzati, cioè a dire quelli qualificanti. Quanto al numero di studenti, tacerò su certe opere di prestidigitazione con le quali si è fatto sì che chi ne aveva, non ne avesse più (vedi punto 1.) e di corsi imbellettati affinché non si capisse che non potevano più vantare le oceaniche adunate di supplichevoli aspiranti matricole.

3. Pertanto la vulgata intorno alla ricerca dell’eccellenza non la racconta giusta. Siamo arrivati al dunque: hic Rhodus, hic salta e non c’è spazio per sotterfugi. Considerata la voragine di bilancio e la scarsità di risorse dei tempi dello “spread”, considerato inoltre che quello che è stato soppresso non risorgerà dalle ceneri, l’unica maniera per mantenere un’offerta didattica decente sarebbe quella di specializzarsi localmente e andare però verso una integrazione tra atenei che insistono su una medesima area nella distribuzione dei compiti anche a livello della didattica di base. Quello che occorrerebbe fare, come ho già detto, è a mio avviso creare per ciascun settore dei solidi presidî di un certo peso a livello territoriale, mantendo viva la tradizione scientifica, il livello della didattica e le competenze professionali almeno in una delle sedi “viciniori” e concentrando lì i docenti in esubero, non più utilizzabili in altre sedi (almeno quelli che hanno voglia di lavorare). Altrimenti, senza possedere una “massa critica” quantitativa e qualitativa di docenti e studenti, si è costretti a proseguire sulla via nichilista dei garbugli inestricabili multidisciplinari da far cadere in deliquio il Maestro Venerabile degli Armonici Grovigli, brodi di coltura d’ogni sorta di filibustiere. Spulciando i piani di studio che propongono un approccio “mordi e fuggi” alle singole discipline mi chiedo come faranno gli studenti a laurearsi e far emergere il loro “genio”, se non vi è alcuna possibilità di approfondimento, al di là di vari assaggini stile happy hour.

4. Quanto alla “scomparsa” di una intera generazione di studiosi e all’assenza di qualsiasi possibilità per gli attuali “giovani” non-strutturati, il punto toccato è drammatico: naturalmente occorre operare dei distinguo, ma io non vedo altro modo, se non quello indicato, per offrire una prospettiva a quei ricercatori meritevoli – in molti casi spremuti per anni come limoni – che con la scomparsa dei rispettivi comparti di ricerca vengono ad uno ad uno spietatamente eliminati (se non stabilizzati) o emarginati e verosimilmente indotti al suicidio (se stabilizzati), senza una cacchio di “valutazione” del menga di alcunché, con la banale e metodica indifferenza livellatrice del beccamorto che seppellisce i buoni e i cattivi: distruggere una generazione è un costo sociale e morale accettabile (soprattutto per chi non lo paga) o un crimine di irresponsabilità?

5. Anziché adagiarsi sulle vuote liturgie di una soverchiante e tirannica burocrazia, costituita da ominidi che hanno prodotto solo il trionfo delle Scienze Improbabili ed Indistinte, bisognerebbe ricominciare a guardare ai contenuti e all’orizzonte di senso delle cose che si fanno; ci vorrebbero insomma degli “intellettuali”, parafrasando quel famoso medico che chiamato in soccorso di un ferito esclamò: «qui ci vorrebbe un dottore!». Mi pare, infatti, che nel culto idolatrico e deresponsabilizzante del Moloch della burocrazia si riveli la tragica assenza di una classe dirigente, nel senso della élite paretiana, in grado di avere una visione ed assumersi le proprie responsabilità. Dopo anni di deliri e di vuote teorie pedagogico-burocratico-formalistiche, di “format”, di “descrittori di Dublino”, di “learning skills” … che hanno avuto come unico effetto quello di deresponsabilizzare e di offrire alibi a fannulloni incompetenti e personaggi di sconfinata cialtroneria, a stento trattenuti dalla bramosia di insegnare tutto, mi sentirei di dire che non aveva tutti i torti Giovanni Gentile affermando che «il metodo è il maestro».

Ecco uno dei biglietti da visita con cui Siena si candida a capitale europea della cultura

Michela Scarpini. Non nascondo lo sconcerto quando dalla stampa ho appreso che si è autorizzata la realizzazione di nuovi appartamenti a ridosso di Palazzo dei Diavoli. Al di là dell’impatto visivo devastante che tali costruzioni determinano, celando completamente a chi proviene da nord uno degli scorci più interessanti di questo monumento, vorrei sottolineare i rischi, forse non ben considerati, che l’esecuzione di tale opera potrebbe comportare. Avendo, infatti, studiato approfonditamente la struttura del Palazzo e delle sue adiacenze, effettuato i rilievi fotografici e metrici della rete di cunicoli sotterranei e valutato la loro probabile confluenza nel sistema dei Bottini di Siena, non posso che essere preoccupata per la profonda alterazione di tutta la zona e per la stabilità stessa del complesso storico-monumentale. Sulla base di tutto questo sarebbe opportuno riconsiderare il progetto e valutare un diverso utilizzo dell’area in questione che costituisce un unicum con il Palazzo dei Diavoli. È un accorato invito che mi permetto di rivolgere alle competenti Autorità Comunali nonché alla Sovrintendenza di Siena per non perdere per l’ennesima volta una delle visuali più particolari della città.

Sezione Senese di Italia Nostra. In una Città che si candida a capitale europea della cultura, dove, per il colore di un intonaco o per modificare una finestra, il cittadino deve affrontare procedimenti burocratici a dir poco estenuanti e spesso fallimentari, il progetto per la costruzione di sei appartamenti a ridosso di un importante complesso monumentale ha prontamente ricevuto tutte le autorizzazioni.

Sum e università di Siena: inchieste giudiziarie con iter temporali diversi

Scarsa l’attenzione riservata dai media al rinvio a giudizio di Aldo Schiavone e di altri quattro indagati per la gestione “allegra” del Sum (Istituto Italiano di Scienze Umane). È, perciò, utile e opportuna la pubblicazione integrale del comunicato dell’Ansa, che evidenzia anche il coinvolgimento di un ex direttore amministrativo dell’università di Siena. Analizzando la tempistica delle due vicende, la fiorentina e quella senese, colpisce l’iter normale seguito per il Sum, che si contrappone a quello, lentissimo, per il dissesto universitario senese. Senza considerare, nel caso fiorentino, un danno erariale di qualche milione di euro; spiccioli, confrontati con la voragine nell’ateneo senese. Ecco la tempistica nella vicenda Sum:

  • 23 settembre 2011: si chiude l’inchiesta della Procura di Firenze.
  • 22 febbraio 2012: la Procura della Corte dei Conti presenta il primo dei tre conti per danno erariale.
  • 13 e 14 giugno 2012: udienza preliminare del Gup di Firenze con rinvio a giudizio degli imputati.
  • 08 marzo 2013: inizio del processo presso il Tribunale di Firenze.

Articolo pubblicato anche da: il Cittadino online (18 giugno 2012) con il titolo: Sum e università di Siena: una tempistica d’indagine differente.

ANSA (Firenze 14 giugno 2012). Spese “pazze”, viaggi, regali e cene con i soldi dell’Università. Ma anche assunzioni “facilitate” per parenti e conoscenti. Per la gestione “allegra” delle casse e del personale dell’istituto di alta formazione universitaria Sum, l’Istituto di Scienze Umane con sedi a Firenze e Napoli, si terrà un processo davanti al tribunale di Firenze che comincerà l’8 marzo 2013. Oggi, al termine dell’udienza preliminare, il gup di Firenze Anna Favi ha rinviato a giudizio il professor Aldo Schiavone, insigne giurista, fondatore ed ex direttore del Sum. Con lui “alla sbarra” altri indagati: i due direttori amministrativi del Sum, Loriano Bigi (nel 2007) e Antonio Cunzio (nel 2008), più Daisy Sturmann, dirigente amministrativo dell’Istituto di studi umanistici-consorzio interuniversitario di Scienze umane (2002-2007) da cui originò il Sum. A processo anche Maria Grazia Guidali, titolare di un’agenzia di viaggi. Gli imputati sono accusati a vario titolo di peculato, abuso d’ufficio, truffa aggravata e favoreggiamento, reati ipotizzati dalla procura di Firenze per irregolarità che la guardia di finanza ha individuato esaminando 1.500 documenti contabili, soprattutto rimborsi su spese di vario tipo.

Il giudice Favi ha invece prosciolto da tutte le accuse il professor Mario Citroni, celebre latinista, attuale direttore del Sum, e l’ex direttore amministrativo dell’Università di Firenze e poi, nel 2006, dello stesso Sum, Michele Orefice.

Trentasette i capi d’imputazione formulati dal pm Giulio Monferini nell’inchiesta. Tra gli imputati, il professor Schiavone dovrà rispondere di peculato, abuso d’ufficio e truffa. Cadute invece le accuse di peculato e favoreggiamento per Loriano Bigi, direttore amministrativo del Sum nel 2007, che è stato rinviato a giudizio per due presunti episodi di abuso d’ufficio. Antonio Cunzio risponderà di abuso d’ufficio e peculato, ma non di favoreggiamento. Daisy Sturmann, responsabile della ragioneria del Consorzio interuniversitario, prima che diventasse Sum, è accusata di peculato e abuso d’ufficio in concorso col professor Schiavone. Infine, la titolare dell’agenzia di viaggi è accusata di truffa e favoreggiamento personale e reale a vantaggio del professor Schiavone in merito ai rimborsi ottenuti per viaggi che gli inquirenti non ritengono compatibili con l’attività del Sum.

Nell’università pubblica non si devono identificare i migliori; i migliori si devono creare

Tutti gli errori sull’università (da: la Repubblica, 15  giugno 2012)

Raffaele Simone. Le prime notizie sul “Pacchetto Merito” (ma non c’era un logo meno indisponente?) con cui il ministro Profumo intende portare il “merito” nella scuola hanno suscitato dissensi da ogni parte. Anche le misure sull’università contenute nel pacchetto non sollevano grida di entusiasmo; anzi.

L’idea di base è quella di spingere gli atenei a identificare, in ogni sede, i “migliori”. Non è chiaro cosa spetterebbe agli studenti migliori, salvo qualche riduzione di corso: potrebbero laurearsi un anno prima (una laurea triennale dopo due anni? una magistrale dopo un solo anno?) o conseguire il titolo dottorale dopo due anni invece dei previsti tre. Non capisco quale logica convinca il ministro che questi sconti possano costituire un premio; si tratta di plateali facilitazioni, che non aiuteranno i “migliori” a esserlo davvero, ma spingeranno i furbi a esser frettolosi, magari rompendo le scatole ai professori perché gli permettano la via breve. Non basta. I professori avranno l’obbligo di 100 ore di insegnamento (non erano 350 nella recente Riforma Gelmini? Chi ci capisce è bravo) e si ridurranno i finanziamenti agli atenei che non sceglieranno gli insegnanti “migliori”. Come si riconosceranno questi insegnanti? Ci penserà una commissione ad hoc, integrata da un componente straniero. Profumo è troppo esperto per non sapere che questa misura girerà a vuoto: ci voleva proprio un’altra commissione di valutazione, in un’università dove la valutazione, ignorata da sempre, è diventata ad un tratto ubiqua e invadente? E poi, ancora una volta il mito del componente straniero, il quale chissà perché, per il solo fatto di essere straniero, dovrebbe essere migliore dei colleghi italiani! Non basta: i docenti così identificati (che non potranno essere più del 20% del totale: e perché?) riceveranno premi anche loro. In cosa? In denaro? In posti per creare una scuola o una struttura? In risorse di studio e di ricerca? Non è chiaro. I premi avranno effetto anche nel mondo esterno: i datori di lavoro che assumeranno i migliori laureati e dottori di ricerca avranno incentivi fiscali; incentivi anche agli atenei per attrarre docenti dall’estero e ai professori che pubblicano in inglese.

In questa lista di queste misure si ritrovano, in mescolanze varie, miti e cascami che gravano da tempo sulla sfera della ricerca e dell’educazione. Anzitutto l’idea fissa di identificare i “migliori”. In un sistema pubblico non si devono identificare i migliori; i migliori si devono creare. A questo scopo, l’università deve proporre l’offerta migliore perché tutti possano essere migliori, anche se si sa che non tutti lo saranno, e deve poi occuparsi in modo serio dei non-migliori e dei tanti che, pur avendo vocazione, sono sviati e confusi da una struttura scoordinata e di qualità instabile. L’obiettivo di riconoscere “chi-è-già-migliore” va lasciato a quelle università (statunitensi o giapponesi) che praticano dichiaratamente la “selezione naturale”, lasciando indietro chi non è tra i primi, invece che farsene carico. C’è poi il mito secondo cui al bravo serve meno tempo: potrà anche esser così, ma con cicli formativi già frammentati (tre anni per tutti + due per pochi + tre di dottorato per pochissimi) che senso ha abbreviare ancora? Non manca l’idea sbagliata (esclusività italiana) dello straniero come deus ex machina, segno tenace di provincialismo, che dà per scontato che “loro” sono migliori e immacolati. Già da tempo colleghi stranieri partecipano a valutazioni di vario tipo, ma non pare proprio che la qualità media delle università sia migliorata. Lo stesso presupposto suggerisce di incentivare chi pubblica in inglese: io pubblico quasi tutti i miei lavori in inglese (e in altre lingue) dalla metà degli anni Ottanta, ma ciò non induce nessuno a leggerli, se non vuole. E che dire degli incentivi alle imprese che prenderanno i migliori? È il mondo alla rovescia: le imprese dovrebbero esser spinte a pretendere giovani preparati; incentivi andrebbero dati semmai a chi prende i meno fortunati. Il sistema universitario italiano, che nel panorama internazionale non riesce a superare il terz’ordine, non migliorerà iniettando “pacchetti” in una struttura che nel suo insieme è pericolante. Ha bisogno di qualcuno che riveda il progetto intero e rimetta mano a tutta l’architettura. Vasto programma …