Concluse le elezioni “bulgare” per l’elezione dei Direttori di Dipartimento all’Università di Siena

Rabbi Jaqov Jizchaq. Una domanda ingenua: com’è possibile che in alcuni megadipartimenti vi sia stato un solo candidato e nonostante ciò non abbiano raggiunto il quorum? In altri, si mormora, il Candidato Unico ha vinto per un pelo. Si è parlato di elezioni “bulgare”, per via della presenza di un solo candidato; ma se addirittura non vi era consenso così unanime attorno a quell’unico nome, i dissenzienti non potevano presentare un altro candidato alternativo? Domanda sicuramente naive, ignara delle supercazzole prematurate della “politique politicienne”, essa non celava secondi fini, se non quello autentico di accertarsi dell’effettiva coesione e prospettiva di durata di queste strutture che hanno preso il posto delle vecchie Facoltà, visto che non possiamo sopportare un terremoto ogni tre anni. Insomma, è lecito o no porsi il problema se questi “rassemblements”, come in precedenza accadde per i corsi di laurea, siano solo il frutto della necessità di reperire numeri, oppure sottendano un solido progetto scientifico? In alcuni casi, benché il fattore numerico sia evidentemente cruciale per tutti, mi pare che la risposta possa essere abbastanza rassicurante. In altri non tanto. Cattivi segnali. Ho il vago sospetto che di questi organismi pletorici che sono i mega dipartimenti da una cinquantina di persone, i quali, per sussistere, mentre si sta perdendo docenza a vista d’occhio e per di più in molti settori di base (conosciamo oramai tutti l’abominio di un eccesso immotivato di docenti in taluni settori non proprio strategici, cui fa da pendant una grave carenza in altri, falcidiati dalle uscite di ruolo e a rischio sparizione), devono oggettivamente assemblare le cose più svariate, alla fine ne sopravviveranno ben pochi: i più coesi, forse, ammesso che venga dismessa quella certa rozzezza che caratterizza l’attuale “dibattito culturale”, a causa della quale, se da un lato si consentono dei pastrocchi inguardabili a livello di corsi di laurea, dall’altro paradossalmente, complici anche un malinteso “specialismo” sotto il quale si cela una notevole ignoranza e il delirante egocentrismo che caratterizza l’intellighenzia tutta, non si vedono le effettive affinità, quando vi sono. È probabile che fra un paio d’anni si reclamerà addirittura il ritorno alle vecchie “Facoltà”. Nel frattempo si saranno persi per strada altri pezzi di università, altri ricercatori, stritolati dalla macchina infernale della burocrazia. Tacerò sul fatto che, come accadde per certi corsi di laurea, anche per i dipartimenti ci si è concessi il lusso di fare dei doppioni a beneficio delle Loro Maestà. Che tanto qui si sciala, come quei poveri che non hanno casa, ma comprano l’Alfa Romeo con le cambiali.

Università di Siena: sul duplice esposto in Procura è, forse, il silenzio dei colpevoli?

La notizia sul duplice esposto alle Procure di Siena e Arezzo era stata pubblicata da “La Nazione” (nella cronaca dei due capoluoghi di provincia) e da “il Cittadino Online” il 16 ottobre. La denuncia contiene accuse gravissime nei confronti del rettore e di un nutrito gruppo di suoi collaboratori, interni ed esterni all’Università di Siena. Sull’argomento è uscito oggi, su “Il Mondo”, un breve articolo (di seguito riportato integralmente) che vedrà certamente, a differenza dei primi due e in considerazione della rilevanza nazionale della testata, un intervento chiarificatore dei diretti interessati.

Autunno nero per Riccaboni (Il Mondo 2 novembre 2012)

Fabio Sottocornola. All’orizzonte di Angelo Riccaboni, rettore a Siena, si affacciano nuvole nere. Segnale di un autunno/inverno che si annuncia difficile. A metà dicembre si terrà l’udienza preliminare che potrebbe mandare a processo una decina di persone per presunte irregolarità che avrebbero favorito la sua elezione durante il ballottaggio del 2010 contro lo sfidante Silvano Focardi. Va detto che il magnifico non è indagato. Ma se i sospetti degli inquirenti trovassero conferme, la sua posizione rischia di indebolirsi. Un altro problema potrebbe arrivare da un recente esposto, presentato alle procure di Siena e Arezzo da Francesco Giusti, segretario della Lega Nord nella città del Palio. Vi sono descritti ruoli e attività del capo ateneo, che è stato anche preside di Economia, nell’ultimo decennio fino alla sua elezione, in particolare nei rapporti con il polo aretino. Nell’esposto si chiede di fare luce sui legami corsi tra il rettore e un gruppo di una decina persone che hanno, di volta in volta, insegnato o collaborato ai master coordinati dall’economista, oppure fatto consulenze per l’università. Però alcuni di essi sono anche titolari di società private che, sempre secondo la denuncia, hanno operato in convenzione anche con alcuni centri di ateneo. Come è il caso di Telos consulting, una srl che ha registrato nel 2011 un fatturato di 860 mila euro (utili pari a 77 mila) guidata dall’ad Simona Arezzini, tra le principali collaboratrici di Riccaboni. Inoltre, alla ribalta finisce il ruolo che Riccaboni ha svolto al fianco di Loriano Bigi (ex direttore amministrativo), per definire le pagella dei dirigenti e «distribuire il salario accessorio». Sono gli anni, tra il 2005 e 2008, in cui si forma il buco in bilancio che pesa ancora sui conti. Toccherà adesso alle procure valutare se intrecci, cattedre e consulenze siano nella norma. Oppure no.

Il direttore generale dell’Università del Salento: abile, spregiudicato e, soprattutto, chiacchierone e ingenuo

Dal quotidiano on-line di Lecce e del Salento, “LeccePrima.it”, un articolo riguardante il direttore generale dell’Università del Salento, Emilio Miccolis, già direttore amministrativo dell’Università di Siena.

Università del Salento, è caos: sospeso il direttore generale

Lecce – Emilio Miccolis, direttore generale dell’Università del Salento è stato sospeso in via cautelativa dal rettore, Domenico Laforgia. La decisione arriva a poche ore dalla pubblicazione su La Gazzetta del Mezzogiorno di parte della registrazione del colloquio intercorso il 12 luglio tra lo stesso Miccolis e l’allora responsabile dell’ufficio reclutamento (e sindacalista) Manfredi De Pascalis. Da quell’ora e mezzo di faccia a faccia emergerebbero lusinghe e tentativi – da parte del direttore – di accomodare la conflittualità dell’esponente Cgil. Solo due giorni addietro i sindacati lamentavano una sorta di persecuzione ai danni di alcun dirigenti sindacali.

“Non sapevo di questo incontro con il signor De Pascalis – scrive Laforgia -, che apprendo solo oggi dal giornale. Non posso che dissociarmi da ciò che ho letto in quanto non rientra nella mia visione dei rapporti istituzionali e personali. Il direttore è stato scelto per le sue ottime capacità di tecnico, ha completamente ristrutturato l’amministrazione dell’ateneo e ha dato prova di essere capace di dragare finanziamenti e risolvere problemi con il ministero. Tuttavia, non posso accettare che esista un’etica pubblica e un’etica privata. L’etica è soltanto una. La presenza del direttore generale, se la conversazione pubblicata fosse vera, risulterebbe incompatibile con la linea di rigore che abbiamo mantenuto finora. D’altra parte, è eticamente inqualificabile che un dirigente sindacale circoli in ateneo con il registratore in tasca.”

La decisione del massimo rappresentante dell’ateneo arriva al termine di settimane convulse: prima la notizia dell‘iscrizione nel registro degli indagati, proprio di Laforgia, per tentato abuso d’ufficio relativamente alle nomine sulle commissioni interne (il fascicolo è stato aperto su denuncia dell’ex delegato all’Internazionalizzazione, Luigi Melica), poi la notizia dell’interpellanza urgente presentata da Alfredo Mantovano del Pdl, e da altri 54 deputati, per sollecitare i ministri Profumo – Università – e Patroni Griffi – Funzione pubblica ad inviare gli ispettori per fare chiarezza sul tormentato concorso per tre amministrativi, nel quale è centrale il ruolo avuto da Miccolis che ha annullato gli atti dello stesso, in autotutela, dopo aver aperto i plichi e segnalato il presunto scorretto operato dei tre vincitori. Un comportamento, quello del direttore generale, sanzionato successivamente dal Tar e poi anche dal procuratore capo della Repubblica, Cataldo Motta.

Dalle elezioni bulgare nell’Università di Firenze alla farsa nell’Università di Siena, per le elezioni dei direttori di dipartimento

Dichiarava il Prof. Enrico Livrea, commentando le elezioni svoltesi con candidature uniche in diciassette casi su ventiquattro: «dalle elezioni dei direttori dei 24 dipartimenti esce un’immagine penosa dell’Università di Firenze: un regime che porta con sé i vizi dell’Ateneo, clientelismo e quiescenza ai poteri occulti, che impongono le scelte senza possibilità di reazione di chi vuole un sistema più giusto. Una situazione che peggiora con il degrado sistematico dell’Università italiana, che attraversa la fase più tragica della sua esistenza. Addirittura nel fascismo – obbrobrio peggiore della storia italiana – c’era un sistema universitario migliore».

E all’università di Siena? Ci sono candidati unici in tredici dipartimenti su quindici. In quel caso, allora, a che serve votare? Il rettore designi subito i direttori! Emblematico, a tal proposito, è che abbiano presentato il programma solo in quattro. Gli altri perché dovrebbero perdere tempo? L’elezione è, comunque, assicurata! Infatti, se anche gli elettori scegliessero a maggioranza un altro docente, il “democratico” regolamento senese ne impedirebbe la nomina, per la mancata formalizzazione della candidatura. Pertanto, dal 29 al 31 ottobre si svolgeranno elezioni democratiche, con possibilità di scelta da parte degli elettori, in soli due dipartimenti: il “Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze” e quello di “Scienze della Formazione, Scienze Umane e della Comunicazione Interculturale”. Un ringraziamento particolare a quei due docenti, tra i diciassette candidati, che con la loro presenza ci consentono una libera espressione di voto, evitando che una competizione elettorale si trasformi in farsa, con elezioni bulgare, come quelle che per vent’anni e con candidature uniche hanno caratterizzato il rettorato di Berlinguer e Tosi.

Articolo pubblicato anche da: il Cittadino Online (15 ottobre 2012) con il titolo: Elezione dei capi dipartimento: i nuovi numeri della democrazia.

Palazzo Bandini Piccolomini: «uno sforzo di fantasia e l’università è pronta a dare concretezza ai sogni»

L’asta sulla vendita del Palazzo Bandini Piccolomini è andata deserta. Di seguito il commento di Red da “il Cittadino online” del 13 ottobre 2012.

VENDITA DI PALAZZO BANDINI: L’ASTA È UN FLOP (L’Università non realizza gli incassi previsti a bilancio)

Red. Bocconi amari per il rettore dell’Università di Siena Angelo Riccaboni, impegnato in un lungo processo di risanamento dell’ateneo senese. Dopo la mancata vendita del complesso della Certosa di Pontignano, di cui pare il rettorato (pur essendone proprietario) non abbia la disponibilità alla vendita, e di cui – comunque  – l’asta andò a suo tempo deserta, come già raccontato, è arrivata un’altra brutta notizia.

Palazzo Bandini Piccolomini, liberato dalla storica segreteria universitaria, era stato messo all’asta, aperta il 7 settembre e chiusa lo scorso venerdì 5 ottobre. Già le modalità dell’asta e della valutazione del cespite erano state oggetto di critica aspra anche su questo quotidiano on line; ma oggi dobbiamo registrare che non una offerta è arrivata sul tavolo del notaio Mandarini. Forse il prezzo della base d’asta (6 milioni e 500mila euro, ndr) è stato ritenuto dai possibili acquirenti troppo elevato (diviso i 2.721 mq lordi dichiarati vale 2.389 euro al metro quadrato)? Il bando doverosamente ha avvisato che l’Università non ha certificazioni da dare all’acquirente sulla sicurezza e la conformità degli impianti e che l’immobile è in classe energetica “G” per l’assoluta mancanza di attestato di certificazione energetica: e meno male che per tanti anni studenti e lavoratori hanno frequentato questo luogo poco protetto e non è successo alcun incidente di rilievo.

Viene da pensare che, come per Pontignano, qualcuno abbia fatto le valutazioni della base d’asta in po’ a casaccio, arrivando a definire cifre sproporzionate ai luoghi e ai tempi di crisi che corrono. Ma siccome in città non mancano personaggi sempre in caccia di fondi e abitazioni da comprare (perché la crisi non è uguale per tutti), può essere che qualcun altro stia lavorando per una seconda (o terza) asta al ribasso. La mancata vendita dei due beni immobili apre un buco nel bilancio dell’Università impossibile da coprire; e l’eventuale cessione a prezzo ribassato non raggiungerebbe gli scopi per cui si è tentata la procedura. Voci di possibile messa in vendita di altri immobili di proprietà dell’Ateneo come Santa Chiara e l’ex Convitto il Rifugio sono chiacchiere da bar o poco più: le procedure di vendita sono così farraginose che sicuramente non se ne vedrebbe frutti, sempre che qualcuno compri ai prezzi del rettore, prima del 2013

Tardi per salvare il bilancio dell’Università di Siena di questo 2012, annus horribilis per le istituzioni senesi.

Il problema non è che s’insegni all’Università senza il titolo di studio ma che lo si faccia da incompetenti

Si legge sul Corriere della Sera: “Insegnava all’Università
 ma non aveva mai preso la laurea.
«Ho preso 110 e lode», non è vero: indagato per truffa ex docente dell’ateneo di Bergamo, ora in servizio al ministero.”

Rabbi Jaqov Jizchaq. Il problema non è tanto la mancanza del titolo, giacché con l’abolizione del valore legale dei titoli non ci si curerà più tanto di questi superati “formalismi”. Già da ora, del resto, abbiamo anche noi fulgidi esempi di personaggi che insegnano senza laurea materie inesistenti e potrei citare altri casi di personaggi che insegnano una materia che ignorano totalmente, semplicemente associando alla denominazione di quella materia un contenuto del tutto estraneo ad essa, in nome della libertà d’insegnamento: tutto ciò è legale, truffe perfettamente legittime, di fronte alle quali il lestofante bergamasco appare solo un po’ più naive. Ciò che mi scandalizza dunque, non è tanto che sia perfettamente consentito insegnare qualcosa senza possedere una laurea, quanto la probabile assenza, che nessuno evidentemente aveva notato e nessuno ha sottolineato, delle reali competenze; questo per dire a che livello è stata ridotta l’università, sospinta sempre più in basso da una sequela di riforme disastrose, da un localismo sfrenato, dai corsi in materie inesistenti, dagli “accorpamenti” varii e dai diplomi triennali in aria fritta chiamati “lauree”. Tutto ciò rappresenta il prodromo di una truffa. Il 25% di disoccupazione giovanile temo non sia estraneo a tutto ciò. Restando nel campo della suinicoltura, oltre al troiaio delle riviste di fascia A, c’è la porcata dei nuovi settori disciplinari, che in molti casi paiono assemblati a vanvera da un matto, mettendo insieme cose che si trovano a distanza cosmologica: sicché le famose “mediane” sulle quali valutano le idoneità, non mediano un fico secco, dovendo comparare le mele con le banane. Del resto tutto si tiene: il bergamasco in questione, manco a dirlo, adesso lavora al Ministero, a dare il suo contributo d’incompetenza come membro (in molteplici sensi) di quella compagine di burocrati da incubo bulgakoviano o kafkiano che tiranneggiano l’università con dispacci sempre più insensati.

Chieste le dimissioni del ministro dei rettori abusivi

È iniziata la raccolta di firme contro il ministro del Miur, Profumo, con il seguente appello, predisposto dai primi firmatari e dalle associazioni L’Università che vogliamo, CoNPAss, Università bene comune, Alternativa, Fuoriregistro, Forum Insegnanti, Il tetto.

Perché chiediamo le dimissioni di Profumo      (il Manifesto, 10 ottobre 2012)

Quasi un anno di governo è sufficiente per giudicare l’operato del ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Francesco Profumo. Tutte le sue scelte confermano che egli è l’esecutore testamentario della legge Gelmini, vale a dire il prosecutore del più distruttivo attacco alle strutture della scuola e dell’università pubbliche mai realizzato nella storia della repubblica. Egli stesso ha dichiarato che tutte le sue iniziative sarebbero state realizzate «con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Ma è andato anche oltre. Egli continua a bloccare i concorsi universitari (sottobanco diminuisce la dotazione finanziaria per la loro applicazione), ha imposto nuovi tagli agli enti di ricerca, ha accresciuto il finanziamento alle scuole private, deliberato la possibilità di aumentare le tasse degli studenti universitari, ha prorogato i rettori in carica, al potere da decenni. Ma fa di peggio, perché sta fornendo all’opera di distruzione delle strutture della formazione un’ideologia ingannevole, quella che ha trovato espressione nel termine “merito”: che ovviamente è, in sé, criterio serio, rispondente alle aspettative di giustizia di tutti noi.

Tuttavia il merito, per il ministro, è quello che inizia a essere valutabile a partire dall’anno del suo avvento. Così nel recente bando di concorso per la scuola, le abilitazioni, i risultati di concorso, le specializzazioni (conseguiti nel passato dagli insegnanti), non hanno più alcun valore e i docenti devono essere di nuovo giudicati da chi oggi ne stabilisce i criteri a proprio arbitrio. Gli stessi titoli dei docenti universitari vengono valutati secondo parametri stabiliti quest’anno dall’Anvur, un organismo di nomina oscura, che in base a criteri privi di riscontro stabilisce che cosa è scientifico e cosa no, imponendo una classificazione delle sedi di pubblicazione delle riviste e case editrici, di 10 o 20 anni fa, sulla base di scelte arbitrarie e inaccettabili.

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Tra ricorsi preventivi e quelli degli esclusi, si profila il blocco dell’università

Tutti i ricorsi contro le «abilitazioni mostro» (il Manifesto 9 ottobre 2012)

Ro. Ci. La tragicommedia della lista delle riviste scientifiche ha fatto vacillare paurosamente l’agenzia Nazionale per la Valutazione del sistema Universitario (Anvur) tanto da spingerla a eliminarne venti, come si legge in un comunicato auto-assolutorio diffuso sabato 6 ottobre. Ancora nulla è stato però fatto contro il rischio dei ricorsi che sono stati annunciati nelle ultime settimane. La prima ad avere impugnato una parte della delibera che istituisce i criteri del processo di valutazione scientifica della ricerca è stata l’associazione dei costituzionalisti guidata da Valerio Onida. Lo stesso orientamento sembra che stia maturando tra i romanisti e i medici legali.

Anche la storia della matematica è in fibrillazione. Le decisioni dell’Anvur rischiano di cancellare una materia fondamentale per la cultura italiana che dal XII secolo fino ai discepoli di Galileo è stata avanguardia nel mondo. La preoccupazione è tale che duecento studiosi di sedici paesi hanno definito l’Anvur una «minaccia», accusando i suoi membri di lavorare «in modo poco trasparente e fuori controllo della comunità scientifica». «La storia della matematica si differenzia poco nelle pubblicazioni dalla storia in generale, e in particolare dalla storia della scienza – afferma Luigi Pepe, presidente della Società degli storici della matematica che ha firmato, insieme a 6 colleghi, un ricorso al Tar del Lazio contro il regolamento Anvur –. Esse sono costituite principalmente da edizione critiche, monografie e articoli su volumi monografici». L’Anvur ha invece stabilito che la valutazione avverrà in base alle banche dati Scopus e Isi che non prendono in considerazione una ricerca a cavallo tra le discipline scientifiche e umanistiche, ma solo le pubblicazioni su riviste, come accade per altre discipline «bibliometriche», come ad esempio l’algebra o la geometria. Si è venuto così a creare un paradosso: una decina di professori ordinari ha fatto domanda per entrare nelle commissioni e giudicare i candidati all’abilitazione, ma sono stati respinti perché non hanno raggiunto il punteggio sufficiente. I candidati all’abilitazione verranno giudicati da commissari che non hanno alcun rapporto con la storia della matematica.

«Questa situazione – sostiene Pepe – è frutto del connubio tra la mentalità ingegneristica del ministro Profumo e i guasti prodotti dalla riforma Gelmini che non solo scardina la tradizione humboldtiana, ma persino la tradizione medioevale dell’università, come insieme delle conoscenze utili che porta ad un titolo di studio con un valore legale in tutto il mondo civile. Le materie culturali come la storia verranno messe da parte rispetto a quelle che hanno un profilo pratico e professionale. È l’idea di Confindustria, una delle grandi sostenitrici della riforma Gelmini: un’università al servizio dei poteri forti che vogliono mettere sotto controllo le istituzioni neutrali dello stato liberale».

Esiste un terzo ricorso contro quelle che sono state definite le «abilitazioni–mostro». È stato presentato da 130 tra professori associati e ricercatori, e appoggiato dal Conpass, il Coordinamento Nazionale dei Professori Associati. Tra i firmatari ci sono medici, ingegneri, fisici, quindi studiosi che rientrano nelle materie «bibliometriche». «Nel ricorso che abbiamo presentato – spiega Armando Carravetta, professore di ingegneria idraulica a Napoli – chiediamo il sorteggio puro dei commissari perché l’Anvur non è stato capace di stabilire criteri attendibili per nominare solo quelli più attivi. La valutazione deve essere fatta analiticamente sui prodotti della ricerca e sui curricula dei candidati, come previsto dalla legge 240». Sarà davvero possibile fermare questo treno in corso prima dello schianto finale? «Questo è un caos complesso da capire – risponde Carravetta –. Il ministero si è indirizzato verso una strada che prevedeva l’individuazione dei docenti più meritevoli sulla base di criteri automatici e non ha capito che questi criteri non erano rigorosi e applicabili. Oggi mi metto nei panni dell’Anvur. Hanno operato in una condizione di urgenza. Poi si sono resi conto che era difficile tornare indietro. Ma oggi bisogna fermarsi, c’è ancora tempo per rendere la procedura trasparente. Questi sono solo ricorsi preventivi, poi verranno quelli degli esclusi. E allora l’università si bloccherà per molto tempo».

Azienda ospedaliera universitaria senese: 800mila euro di consulenze in sette mesi

Lettera aperta a:

Pierluigi Tosi (Direttore generale AOUS)

Angelo Riccaboni (Rettore dell’ateneo senese)

Domenico Mastrangelo. Sono un medico con 33 anni di laurea in Medicina, quattro specializzazioni (Ematologia, Oncologia, Farmacologia Clinica, Oftalmologia), oltre 110 pubblicazioni su riviste internazionali ed esperienza nelle discipline dell’Epidemiologia, della Genetica e della Biologia Molecolare; sono anche omeopata diplomato, nel caso non bastasse! Dal 1992 sono in servizio presso l’Università degli Studi di Siena e, ad oggi, sono inquadrato nel livello tecnico, categoria D3, senza avanzamenti di carriera dal 2003! Avendo lavorato, in modo quasi esclusivo, alla ricerca sul retinoblastoma, ho sostenuto e sostengo tuttora (unico caso al mondo!), con il credito di autorità e istituzioni internazionali, l’ipotesi dell’origine epigenetica della malattia, che apre le porte ad un sostanziale rinnovamento, sia nella diagnosi che nella cura di questo tumore, che affligge, per lo più, bambini in tenera età. Inoltre, sotto la direzione del prof. Giovanni Grasso, del dipartimento di Scienze Biomediche, sto attualmente studiando, con un piccolo gruppo di collaboratori, nuove sostanze che potrebbero rivelarsi un’utilissima aggiunta alle terapie in uso per il retinoblastoma. Entrato in convenzione con l’AOUS (non ricordo con esattezza la data), mi sono, dunque, dedicato con profitto alla ricerca nel campo del retinoblastoma, tumore per il quale l’AOUS ha predisposto, al suo interno, un centro di riferimento nazionale e presso tale centro ho prestato la mia opera con risultati molto positivi, continuando a produrre ricerca di qualità anche dopo la revoca del rapporto di convenzione, posta in atto, per ragioni che ancora mi sfuggono, dal precedente direttore generale e, da quanto posso capire, confermata dall’attuale, anche se mai diventata definitiva.

Ovviamente, il senso comune, la ragione, la decenza e la morale più spicciole si rifiutano di comprendere le motivazioni che hanno condotto l’Amministrazione che ospita il centro di riferimento nazionale per il retinoblastoma, a sospendere il rapporto di convenzione con un medico, ricercatore (chi Vi scrive) che quasi all’unanimità, la comunità scientifica mondiale considera un esperto di rilevanza internazionale, nel campo del retinoblastoma; ma tant’è! La Legge non dovrebbe consentire simili “deroghe”, anche se le cronache sul “Paese reale” e i lunghi anni trascorsi, m’insegnano che non c’è mai fine al peggio. Nonostante tutto, credo fermamente che la Giustizia trionfi sempre e mi sono già preparato a difendere le mie ragioni (che ho motivo di ritenere del tutto conformi alle prescrizioni di Legge) nelle sedi a questo destinate.

Tuttavia, da cittadino (che paga le tasse e, qualche volta, legge anche le cronache nazionali), prima ancora che da professionista, al quale le istituzioni hanno procurato danni ingentissimi e irreparabili, sento i cronisti narrare fatti che mi fanno ritenere di essere un marziano accidentalmente caduto su un pianeta alieno. Mi riferisco, in particolare, a un articolo (“La Nazione”, 6 Ottobre 2012) che, sulla prima pagina della cronaca di Siena, così titola: «Scotte: spese “eccezionali” in incarichi: da Marzo a Settembre di quest’anno siglati contratti a tempo per 800 mila Euro.» Stando così le cose, se è assurdo, indecente, contrario al buon senso e inspiegabile che un esperto di retinoblastoma di caratura internazionale venga “licenziato” dall’azienda ospedaliera che ospita il centro di riferimento nazionale per il retinoblastoma, ancor meno regge l’argomento, da qualcuno proposto, della carenza di fondi; i denari ci sono! … e non pochi, a voler dar retta al cronista.

In seconda e terza pagina, la proverbiale “ciliegina sulla torta”. Leggo: «Fra Marzo e la scorsa settimana l’azienda ospedaliera è ricorsa a qualcosa come 776.130 Euro di collaborazioni esterne e libero professionali. Sono tutti incarichi di durata da tre mesi a un anno con compenso onnicomprensivo, affidati, di volta in volta, a professionisti presi all’esterno. Per la valutazione e assegnazione, l’azienda ospedaliera si affida ai documenti richiesti e – se ritenuto opportuno, ad eventuali colloqui/esami –. La lista dei conferimenti di contratti libero professionali è lunga, con documenti firmati dal direttore generale Paolo Morello e poi dal suo successore, Pierluigi Tosi

L’articolo è molto lungo e contiene informazioni più dettagliate su alcuni dei contratti stabiliti e altri dettagli che a me pare aggiungano veramente poco, al succo del discorso. Interessante, invece, la conclusione dell’articolo, nella quale, riferendosi all’eccezionalità che simili provvedimenti dovrebbero avere, ma che l’AOUS ha fatto diventare regola, il cronista afferma (non senza una ricca dose di buon senso): «Insomma, i casi sono due: o l’eccezionalità fa rima con continuità o le esigenze di una grande ed eccellente struttura devono far osare la stessa ad andare oltre la precarietà. O, ancora, come indica la Regione, si prenda ad usare il personale proprio

Nel mio caso, il “personale proprio” (specialmente se altamente qualificato) viene, invece, LICENZIATO senza motivo; ma non basta! Nella delibera di revoca della convenzione, mi si scriveva che l’azienda era disposta a trattare una nuova collocazione per il mio rientro in convenzione; e sì che tra le mie quattro specializzazioni e il diploma di Omeopata, l’ex direttore generale (come pure l’odierno) aveva soltanto l’imbarazzo della scelta, per determinare una mia nuova collocazione… ma essere in possesso di quattro specializzazioni, sembra non sia sufficiente, per la nostra azienda ospedaliera senese… e non basta ancora! Il messaggio che l’articolo convoglia al lettore è che l’AOUS ha messo a contratto professionisti dei quali “aveva bisogno” (si parla, per altro, di neurologi, psicologi, otorinolaringoiatri, ortopedici… tutte figure professionali delle quali l’AOUS è ampiamente dotata!), la qual cosa, opportunamente trasposta alla mia situazione, porta a dedurre che della mia opera in qualità di esperto internazionale sul retinoblastoma, l’AOUS non avesse né, tuttora, ha alcun bisogno! Circostanza, questa, davvero singolare, ove si pensi che l’AOUS stessa ha un centro di riferimento nazionale per il retinoblastoma, con un solo medico che lavora al suo interno! Ma ancora più singolare è il fatto che diversi colleghi, nella circostanza del mio licenziamento, hanno scritto al direttore generale che si sarebbero volentieri avvalsi del mio apporto professionale, sia in campo oncologico, che tossicologico, così come nel settore dell’Omeopatia, sebbene queste richieste sono state tutte, sistematicamente ignorate.

In conclusione, che ci sia stato e continui ad esserci un chiaro intento persecutorio, nei miei confronti, è del tutto evidente da quanto ho scritto; quali siano, invece, le ragioni che lo hanno fomentato, non è affatto chiaro e spero si possa chiarire al più presto, con mia completa soddisfazione, nelle sedi appropriate. Resta, tuttavia, l’amarezza nel constatare lo stato di degrado istituzionale e morale, che emerge da questa vicenda, del quale certo chiederò ragione, ma che lascia molte perplessità: in ambito accademico perché dimostra che il tanto sbandierato cambiamento, che dovrebbe condurre l’Ateneo al pareggio di bilancio, non può, a mio avviso, poggiare su simili basi; in ambito sanitario perché la “Sanità” dovrebbe essere un “servizio” (“Servizio Sanitario Nazionale”), non certo inteso a favorire chi la gestisce e l’amministra, ma, caso mai, chi paga le tasse (e che tasse!) per usufruirne. Spero che quanto detto possa costituire per Voi argomento di seria riflessione e indurVi a porre mano, nell’immediato, ad un rapido e sostanziale cambiamento.

Elezioni bulgare all’Università di Firenze! E a Siena?

«C’è clientelismo: questa è stata la riprova» (Corriere Fiorentino, 5 ottobre 2012)

Gaetano Cervone. «Dalle elezioni dei direttori dei dipartimenti esce un’immagine penosa dell’Università di Firenze: un regime che porta con sé i vizi del clientelismo e dei poteri occulti». È un sfogo quello di Enrico Livrea, grecista di fama mondiale della (ex) Facoltà di Lettere e Filosofia e decano dell’Ateneo fiorentino. Un affondo che giunge a termine delle due settimane che hanno designato i direttori dei 24 dipartimenti, perché – prima – Livrea stentava a credere che in 17 casi le elezioni si sarebbero svolte con candidature uniche. È invece andata proprio così.

Professore parlare di «poteri occulti» forse è troppo, non trova?

«È un’immagine penosa, che evidenzia i vizi dell’Ateneo: localismi, clientelismo, quiescenza ai poteri occulti che impongono le scelte senza possibilità di reazione di chi vuole un sistema più giusto. Una situazione che peggiora con il degrado sistematico dell’Università italiana, che attraversa la fase più tragica della sua esistenza. Addirittura nel fascismo – obbrobrio peggiore della storia italiana – c’era un sistema universitario migliore».

Ma come mai è così arrabbiato?

«Non sono arrabbiato, sono amareggiato. Sono cinquant’anni che subisco sulla mia pelle tutto questo, trent’anni che insegno a Firenze e non sono riuscito a trattenere nessuno dei numerosi allievi di valore che con sacrificio ho formato: qui tutte le porte sono chiuse ed è normale che i cervelli in fuga non tornino, una volta capita l’enorme differenza di sistema. All’estero un ambiente umano e di ricerca accogliente, a Firenze tutti contro tutti. E non parliamo poi delle strutture: io mi vergogno di invitare i miei colleghi in queste aule che sono un incrocio tra un obitorio e un carcere».

Crede che non ci sia possibilità migliorare? Nemmeno con la riforma Gelmini?

«Non ho mai smesso di crederci e nel mio piccolo ho fatto di tutto per migliorarla, ma mi sento sempre di più solo. La selva di candidati unici ne è la dimostrazione ed è spia di un profondo senso di sfiducia nella democraticità del sistema. E quella riforma, a cui Firenze non si è opposta, è un obbrobrio».

Tanti considerano la candidatura unica un segnale di compattezza del dipartimento…

«Le scelte sono fatte sempre altrove. Chi dirige o è l’espressione di questi gruppi di potere, oppure ne è l’uomo di paglia».

Accuse pesanti…

«Non mi importa, non devo fare carriera. Non ho interessi personali e si figuri se con cinquant’anni di anzianità non conosco i mali dell’istituzione. Provengo da un dipartimento (Scienze dell’antichità, Medioevo, Rinascimento e Linguistica, ndr) dove quattordici persone erano legate da rapporti di parentela. Sono solo stanco».