Altra prova di disordine strutturale, inefficienza endemica e assenza totale di trasparenza all’università di Siena

Altan-trasparenza“Quer pasticciaccio brutto de” via Banchi di Sotto

USB P.I. Università di Siena. Nuovo anno, si riaprono le danze, anzi quelle sono finite, forse, il 31dicembre. Come sapete è stata pubblicata la graduatoria per la procedura delle progressioni economiche orizzontali (PEO). Evidenziamo subito che la graduatoria che troverete è sbagliata per la somma dei punteggi del gruppo 6, D tecnici! Va fatto però un passo indietro per cercare di capire qual è il risultato di questo “pasticciaccio”. Il 14 dicembre si chiude il bando, e in quei giorni, come USB, abbiamo vigilato sulla corretta esecuzione della procedura, inviando due comunicati al personale e quattro note per mail all’Amministrazione. Abbiamo solo richiamato il rispetto dei regolamenti in vigore, per esempio sulla composizione delle commissioni giudicatrici, per alcuni un eccesso di polemica per noi un tentativo di trasparenza e correttezza. Il primo aspetto che solleviamo su tutta questa procedura è la trasparenza. L’Amministrazione nei suoi vertici è consapevole di cosa sia la trasparenza per una pubblica Amministrazione e per una selezione per titoli?

Abbiamo assistito alla sostituzione degli atti con relativa eliminazione dal sito di quelli annullati. Due esempi: la composizione delle commissioni viene ritoccata tre volte, ma la prima disposizione, la n. 1369 del 14.12 non si trova più; forse, però, la nota più dolente sono le tre graduatorie e qui dobbiamo entrare nello specifico degli orari: la prima appare il 30 dicembre alle 15.00 circa, scompare alle 19.00, per riapparire alle 19.50, nuova versione, scompare poi alle 11.00 del 31 dicembre per riapparire nella versione che trovate al link alle 14.30, ed è comunque sbagliata! Il punto sulla graduatoria è che, al 31 dicembre, nell’albo online sono visibili tutte le versioni con la dicitura annullata, ma se lo controlliamo oggi non ve n’è traccia, scomparse. Corretto in una selezione pubblica far scomparire gli atti seppur annullati? Più avanti spieghiamo come mai sono stati effettuati tutti questi annullamenti.

Abbiamo contestato una procedura nata male, seppur voluta da molti, e le cui modalità di esecuzione hanno fatto acqua da tutte le parti. Non sta a noi additare responsabilità, gli atti sono davanti a voi, i risultati parlano da soli, e se qualcuno ritiene di voler rivendicare il risultato forse sarebbe meglio soprassedesse. Superata la firma del contratto si è trattato di analizzare il bando, interamente responsabilità dell’Amministrazione e di cui abbiamo già evidenziato alcuni problemi.

Per prima cosa il Thesaurus, risorsa indispensabile, ma abbandonata negli ultimi anni dall’Amministrazione. Una risorsa che è stata rimaneggiata durante la presentazione delle domande tra il 4 ed il 14 dicembre. La conseguenza di questo è la presentazione di thesaurus differenti come impaginazione con conseguente maggiore lavoro per le commissioni nel ritrovare i titoli, presenti ma in posizione e sezioni differenti. Andiamo a vedere come si è svolto il lavoro nelle commissioni. I verbali sono visibili al link condiviso sopra e la loro lettura chiarisce come l’Amministrazione abbia inteso applicare il suo stesso bando. I verbali però vanno pubblicati tutti non solo quelli delle prime riunioni, aspettiamo fiduciosi.

Per prima cosa un aspetto generale, sono stati valutati i titoli degli ultimi dieci anni. Corretto? Sì, forse, è una scelta che genera conseguenze. Chi ha fatto le PEO nel 2007 ha visto valutare alcuni incarichi due volte, allora e oggi. Tutti gli incarichi dal 2005 a tutto il 2014 sono stati valutati. Sono scelte che hanno distorto la percezione del valore di un incarico, dato negli ultimi tre legato ad un’organizzazione esistente, equiparandolo ad uno di dieci anni fa che dovrebbe non pesare affatto, oltre ad essere già stato valutato per la precedente PEO. Si sarebbe potuto usare almeno lo stesso metro di valutazione adottato per l’anzianità di servizio, gli anni usati per precedenti PEO non vengono valutati.

Altra questione, come sono stati valutati i singoli incarichi? Non è chiaro dai verbali perché solo in uno si trova ben evidenziato che alcuni incarichi non sarebbero stati valutati. Il bando però espressamente chiarisce che ogni incarico con atto formale debba essere preso in considerazione, e debba valere ogni atto in cui, con decorrenza e termine, sia stato attribuito nel tempo anche uno stesso incarico, come per esempio l’antincendio o il referente di plesso. Non entriamo nel merito degli incarichi non spetta a noi, ma richiamiamo il fatto che non è chiaro se ogni commissione abbia usato lo stesso metro di valutazione.

L’arricchimento professionale risulta schiacciato e compresso se messo in rapporto al valore dato alla formazione certificata e pertinente. Siamo così sicuri che fra due colleghi uno che frequenta tanti corsi di formazione della cui ricaduta sulla organizzazione del lavoro non si ha riscontro, possa avere un punteggio più alto del collega che magari ha prestato servizio con determinate responsabilità o non abbia avuto occasione di frequentare corsi? Di fatto senza una misurazione reale dell’arricchimento professionale questo è successo. Nessuno dei candidati ha colpa in questo, ma la fretta nell’applicare regole semplificatorie della valutazione di questi titoli ha generato questa distorsione.

Arriviamo alle graduatorie. Le tre graduatorie presenti sul sito, oggi ne vedete solo una, ma sono tre, erano ognuna sbagliata sotto certi aspetti. La prima contiene un errore di somma dei punteggi nei gruppi 5 e 7, D amministrativi e biblioteche, e qualche inesattezza ma per millesimi anche in altri gruppi. La seconda corregge l’errore della prima nei gruppi 5 e 7, ma nella fretta viene sostituita senza fare menzione dell’annullamento della precedente, così si arriva alla terza versione. La terza graduatoria spiega bene cosa sia successo nelle premesse, ma resta sbagliata nel gruppo 6. Gli errori non inficiano i punteggi ma rendono il calcolo di chi accede alle PEO complicato.

Abbiamo fatto delle simulazioni sugli aventi diritto ai benefici economicie giuridici delle PEO. Non avendo però dati definitivi sul valoreeconomico delle PEO fra le categorie e posizioni economiche, e avendo unagraduatoria ancora errata, possiamo solo ipotizzare dei risultati. Siamoall’incirca intorno ad un’esclusione del 35% dei colleghi. Le posizioni economiche più basse rientrano in misura diversa fra le varie categorie.

Nei B ed EP la situazione è molto specifica, da un lato passa il 90% e dall’altro essendo la categoria così ridotta non si può fare una valutazione generale. Le cose cambiano nella categoria C dove i C1 stabilizzati vengono penalizzati se non in possesso di titoli di studio che alzano molto i punti con i colleghi con anzianità di servizio maggiore.

Nei D le cose cambiano perché abbiamo molti colleghi che sono in posizione economica D1 ma a seguito di progressione verticale fatta nel 2004/05 che recuperano punteggio con un’anzianità di servizio elevata. Ci sarebbero molte analisi da fare sul risultato delle valutazione dei titoli, ma sarebbe molto lunga.

Forse verrà rosicchiato un 3% sul totale elevando l’accesso al 68%, ma per noi resta sempre il fatto inaccettabile che un 32% resta escluso. Dopo nove anni di blocco delle PEO chi passa oggi era più meritevole di altri? Ne dubitiamo, anzi con questa fretta viene fuori un quadro delicato che avrà conseguenza sulla tenuta del clima lavorativo, ma ne risponderanno altri.

Cosa ci aspetta ora? Intanto un lungo periodo di calcolo definitivo dell’accesso alle PEO, nessuno vuole essere il primo degli esclusi, un freddo periodo di ricorsi che di sicuro fioccheranno come neve. Per noi, invece, a livello sindacale garantire che già quest’anno si possa fare una nuova tornata di PEO per tutelare chi è rimasto escluso ed entra così nel decimo anno senza miglioramento stipendiale.

Cura miracolosa per una nuova malattia: il “refuso” gastroesofageo da computer nei concorsi universitari

Altan-Infiltrazionimafiose

Un noto anatomico dell’Università di Tor Vergata, in occasione del concorso per professore associato di Anatomia Umana, bandito dall’Università di Siena, si è imbattuto in una nuova malattia, da lui definita “refuso” da computer, con caratteristiche simili al classico reflusso gastroesofageo. Di solito, la malattia si manifesta, nel corso delle riunioni telematiche delle commissioni, con lo spostamento a causa del computer di due paroline da una pagina all’altra, non casualmente, ma con un senso logico che, in questo caso, ha modificato i criteri stabiliti dal Senato Accademico per la valutazione al concorso. Vani i tentativi di cambiare computer ai tre commissari, il risultato è sempre il solito: il computer inserisce automaticamente la dicitura “e affini” ai criteri generali fissati dal Senato Accademico, consentendo così la valutazione al concorso anche a chi non ha il requisito della “comprovata esperienza didattica” in Anatomia Umana, la materia in cui si chiede il posto di professore associato.

L’unica terapia efficace s’è rivelata quella suggerita dall’anatomico di Tor Vergata che ha proposto e consentito la conclusione del concorso al candidato privo della comprovata esperienza didattica in Anatomia Umana. Il rettore e il Director General (che è anche responsabile della prevenzione della corruzione), soddisfatti della cura miracolosa, che, per inciso, ha accontentato anche il delegato del rettore (in quanto il vincitore del concorso è un suo allievo), hanno già depositato un brevetto a nome dei due atenei Siena-Roma Tor Vergata. La cura avrà un successo sicuro, farà giurisprudenza e aprirà nuove prospettive concorsuali.

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Le difficoltà dell’Accademia dei Fisiocritici e l’inadempienza dell’Università di Siena

Altan-stronzopuntozeroDa una lunga intervista di Marta Mecatti (per “La Voce del Campo”, 30 luglio 2015) alla Presidente dell’Accademia dei Fisiocritici, la professoressa Sara Ferri, riportiamo il passo riguardante le attuali difficoltà dell’Accademia e i suoi rapporti con l’Università di Siena. Riccaboni non ha ancora capito che l’Università di Siena è tenuta a fornire all’Accademia il personale necessario per il suo funzionamento! Con l’attuale esubero di amministrativi, non è certo un problema, per l’Ateneo, rispettare la convenzione esistente tra i due enti!

Domanda. Recentemente lei ha dichiarato che l’Accademia sta vivendo un momento di difficoltà.

Sara Ferri. Le difficoltà sono correlate alla carenza di risorse umane che, di fatto, rende impossibile una regolare apertura al pubblico del Museo di Storia Naturale, limita fortemente la possibilità di iniziative e soprattutto mette a rischio la conservazione di reperti museali, molti dei quali altamente deperibili e anche in tempi rapidi se non se ne cura costantemente la conservazione. Anche le bibliotecarie universitarie che si alternano per un totale di dieci ore settimanali sulla base di un accordo con il Sistema Bibliotecario di Ateneo: è una soluzione di compromesso ma l’unica alternativa al niente ed è fondamentale che continui l’opera di lungo corso di catalogazione informatica del prezioso patrimonio.

Domanda. Il rapporto tra l’Accademia dei Fisiocritici e l’Università di Siena è regolato da una convenzione che riguarda proprio le risorse umane. Quanti sono ad oggi i dipendenti?

Sara Ferri. Questa convenzione fra Academia dei Fisiocritici e Università di Siena in vigore fino al 31 maggio 2018 prevede che l’Università fornisca all’Accademia cinque unità di personale. Fra il giugno 2009 e il gennaio 2012 sono andati in pensione la segretaria, il tassidermista e la bibliotecaria. Il posto di segreteria amministrativa è stato ricoperto fino all’ottobre 2013 e i dipendenti quindi sono stati tre. Dal primo giugno scorso, con il pensionamento del conservatore della sezione geologica, è rimasta in servizio presso l’Accademia solo la persona che segue tutti gli aspetti organizzativi delle iniziative, il servizio stampa, redazione e revisione di testi e visita guidata generale dell’Accademia. Da decenni è l’Università di Siena che fornisce il personale all’Academia dei Fisiocritici quale corrispettivo del fatto che all’Università l’Accademia ha ceduto in uso gratuito, mantenendone la proprietà, il terreno su cui si trova una rilevante parte dell’Orto Botanico, serre comprese, e ha ceduto in proprietà una parte del suo terreno e del suo fabbricato per la costruzione di un edificio scientifico universitario. Con le sue finanze l’Accademia, istituzione privata che non ha redditi propri eccetto le quote dei soci, non è in grado di assumere le figure professionali che le necessitano per essere una struttura a disposizione della scienza e della città.

Angelo Riccaboni (6 giugno 2015). L’Accademia dei Fisiocritici rappresenta un’importante testimonianza del patrimonio culturale e scientifico della città, che l’Università di Siena vuole contribuire a valorizzare. I profondi cambiamenti che si sono verificati in questi ultimi tempi in tutti i paesi stanno portando a un ripensamento dei modelli organizzativi da parte di tutti gli attori, scientifici e istituzionali. In linea con tale esigenza, l’Università sta definendo un progetto in grado di fornire il necessario supporto all’istituto. Appena pronto il piano sarà proposto all’Accademia, nell’ottica di un investimento sostenibile e condiviso, al servizio della cultura e della divulgazione scientifica.

Servizi informatici nell’Università: ignoranza, negligenza o malaffare?

Cineca-U-GovUniversità, terremoto sul consorzio degli errori. ‘Basta milioni senza gare a Cineca’ (da: il Fatto quotidiano, 30 maggio 2015)

Thomas Mackinson. Il Consiglio di Stato demolisce il gigante dell’informatica per la scuola, scivolato nei mesi scorsi sui test di medicina. Cineca prende soldi da 80 atenei, 40 milioni dal Miur. “Ma non è una società pubblica”. E per avere risorse dallo Stato deve fare le gare. E quello che sembrava solo una tegola rischia di diventare invece un terremoto per l’università italiana. A traballare è il “sistema Cineca”, il consorzio interuniversitario tornato alla ribalta delle cronache per la vicenda del flop dei test di medicina che a fine ottobre ha gettato nel panico 12mila candidati. L’incidente è finito presto nel dimenticatoio, archiviato come “mero errore tecnico” e sono rimasti al loro posto i vertici che avevano annunciato a caldo le dimissioni. Il Consiglio consortile, in sordina, le ha respinte un mese fa.

Ma la vera storia è un’altra. In un articolo successivo all’incidente, ilfattoquotidiano.it aveva ricostruito cosa c’era dietro la falla: come la fusione dei consorzi universitari per lo sviluppo di soluzioni informatiche in “Cineca” avesse dato vita a un gigante da 700 dipendenti in grado di monopolizzare e alterare il mercato grazie a fondi e finanziamenti attribuiti direttamente, senza gare. Per circa 100 milioni di euro l’anno, tra stanziamenti diretti e compensi per servizi. Una montagna di soldi pubblici che Miur e 80 atenei concedevano al consorzio sulla base di un presupposto che appariva molto incerto: che la sua natura giuridica fosse quella di una società “in house”, con attività esclusiva nell’ambito di pubblici servizi. Tale da qualificarlo per legge come “unico soggetto a livello nazionale”, ovviamente secondo l’interpretazione dei “consorziati” Cineca, ossia gli stessi che gli affidavano il denaro pubblico senza gara e gli stessi che dall’altra parte li ricevevano.

Allora avevamo messo in dubbio questa natura “speciale”, sostenendo invece che il mega consorzio non avesse nessuno dei requisiti di cui sopra e che facesse invece affari milionari qualificabili come attività d’impresa tradizionale, al punto che il 95% dei ricavi gli arrivava dalla produzione commerciale e solo il 5% dalla produzione “istituzionale”, cioè da progetti di ricerca e sviluppo affidati dal ministero. Così, sostenevamo allora, si sono aperte le falle nei servizi resi allo Stato, come nel caso clamoroso dei test di medicina. Non solo. Cineca, il ministero e le università italiane avevano alterato negli anni la concorrenza del settore, fino a compromettere un mercato di servizi che in Italia non è mai nato, appunto perché “oscurato” dal gigante pubblico.

Che di pubblico, in realtà, non ha proprio nulla. A certificarlo – in via definitiva – è una sentenza del Consiglio di Stato. I giudici di Palazzo Spada, sesta sezione, hanno fatto chiarezza sul punto, dopo i dubbi sollevati negli anni passati anche dall’Agcm (due volte, nel 2010 e poi nel 2013) e dalla Corte dei Conti. Erano chiamati a decidere sul ricorso presentato da Cineca stesso contro una sentenza del Tar Calabria che aveva accolto il ricorso proposto in primo grado da Be Smart srl, una società privata che opera nel campo delle soluzioni informatiche per l’università.

Il contenzioso riguardava un affidamento dei servizi informatici di segreterie studenti e didattica (U-GOV ed Esse3) che il Cda del 14 aprile 2014 dell’Università della Calabria aveva concesso un anno prima a Cineca, senza espletare alcuna gara, per un importo triennale pari a 1.592.843 euro +Iva. Il titolare della società, che aveva proposto una soluzione economicamente più vantaggiosa, si è ritenuto ingiustamente escluso e ha contestato l’assegnazione e l’insussistenza dei requisiti che l’hanno permessa: il fatto che Cineca sia titolare di un “diritto esclusivo”, che il rapporto tra università e consorzio si configuri come “in house”, e che il servizio affidato rientri nell’ambito della “attività prevalente” del consorzio.

Tocca dunque ai giudici definire una volta per tutte la natura giuridica del Consorzio. E il responso, stavolta, rischia di innescare un effetto a catena su tutti gli affidamenti concessi negli anni, legittimamente o meno, dalle università italiane. Stesso discorso per i contributi a fondo perduto, 40,7 milioni di euro nel solo anno 2014, erogati senza gara dal Miur a Cineca. Dietro questa disamina, apparentemente tecnica e in punta di diritto, ballano dunque centinaia di milioni di euro.

I giudici scartabellano tra codici, documenti e contratti e arrivano al verdetto: no, Cineca non è un soggetto pubblico. Non lo è mai stato. E dunque né lui né le università consorziate o il ministero possono far valere questa natura per “affidare in via diretta i servizi senza alcuna procedura competitiva”. Chi volesse addentrarsi sulle motivazioni non ha che da leggere integralmente la sentenza (clicca). Quello che qui conta è rilevare i possibili effetti della decisione, sui quali c’è grande incertezza. La sentenza infatti da una parte mette un punto fermo e agisce sui futuri affidamenti costringendo di fatto Stato, Miur e Università a fare le gare.

Ma pone anche una pregiudiziale rispetto a quella quarantina di milioni che il Ministero eroga ogni anno al Cineca sulla base di un presupposto di pubblicità del soggetto che è smentito ora per sentenza. Lascia tuttavia il campo aperto rispetto agli effetti delle decisione sugli affidamenti passati e in corso. Di certo salta quello a Cosenza, per la soddisfazione del titolare di Be Smart che esulta: “Giustizia è stata fatta: ci auguriamo che finalmente potremo partecipare alle gare pubbliche e concorrere con i nostri prodotti in un mercato libero”. Tutto il resto si vedrà, ma di sicuro l’incidente ai test di medicina non è era una tegola caduta accidentalmente. Era il presagio di un terremoto.

Nell’università c’era più libertà quando c’era meno autonomia

Altan-futurodimerdaRabbi Jaqov Jizchaq. «Fra il 2007 e il 2015 il numero dei docenti ordinari delle università italiane è sceso da poco meno di 20.000 a poco più di 13.000. Dove vogliamo fermarci?»

Come eravamo: «Nel 2010 il personale impegnato in attività di ricerca nell’Università degli Studi di Siena ammonta a 1743 unità. I ricercatori universitari sono 947» (Rapporto ricerca 2010). Adesso i ricercatori di ruolo (ad esaurimento) sono 350, un quinto circa dei quali diventeranno associati od ordinari con gli imminenti avanzamenti; il personale docente di ruolo (ricercatori ad esaurimento+associati+ordinari) complessivamente ammonta ancora a 750 unità (giacché gli avanzamenti non sono chiamate di esterni) e si accinge ad essere ridotto di altre 150 unità circa, un po’ a pene di segugio, cioè a dire con la roulette russa dei pensionamenti.

Secondo l’ANVUR nel 2013, l’età media a livello generale era 59 anni per gli ordinari, 53 per gli associati e 46 per i ricercatori; un quotidiano nazionale che citai tempo addietro riportava i dati senesi, che risultavano sensibilmente più alti di 4-6 anni a seconda delle categorie. Ecco, io capisco e apprezzo gli sforzi diretti al risanamento, ma perché da parte dei media prendere per le natiche l’opinione pubblica millantando una realtà che non c’è o che non c’è più? Insomma, io trovo strano che non si riesca in nessun luogo pubblico e sui media a impostare una discussione in termini seri, sobri e realistici, abbandonando per un attimo la consueta oratoria encomiastica, lo stile apologetico, la voce nasale di annunciatore dell’EIAR che canta i recenti trionfi (e cela le recenti sconfitte).

Il Rettore annuncia: «La conferma del miglioramento dei conti consente ora di proseguire su questo percorso, aprendo nel prossimo futuro le procedure per altre 30 posizioni». Evviva, Siena triumphans: ma si tratta di 30 avanzamenti di carriera (da tempo agognati, certo, e benvenuti, ma mi conferma il prof. Grasso che non si tratta di nuovi assunti) e le considerazioni che mi viene da fare sono sempre quelle: avanza chi ha ancora le gambe; chi nell’attesa di avanzare viene azzoppato, non avanza e ai caduti recenti si aggiungeranno a breve altre vittime; nel senso che settori e corsi di studio che nel frattempo sono entrati in crisi per via dei massicci pensionamenti, non “avanzeranno” da punte parti: 500 professori usciti di ruolo vuol dire uno su due a casaccio, sin qui senza turn over.

Un anno prima dello scoppio del “buho” vi erano settori che contavano oltre venti docenti di ruolo, e mi pare che ciò non fosse giustificabile alla luce del fabbisogno di didattica; all’estremo opposto altri settori contavano uno o due docenti: si capirà che da un lato quando il maledetto uomo della strada ripete che “eh, so’ troppi”, interpretando a suo modo la dottrina del “taglio lineare”, bellamente ignorando gli squilibri mostruosi entro il personale docente e tra personale docente e personale tecnico amministrativo, non fa allora un discorso equo, e dall’altro che togliendo due docenti a settore, ai primi non fai un baffo, mentre i secondi li condanni a morte. Poi ci sono le situazioni intermedie: quelle in cui il fabbisogno di didattica oramai è insostenibile e i requisiti di docenza non sono più soddisfacibili con le poche forze rimaste.

A meno che, la regola non sia “chi ha avuto, ha avuto”, questi dati imporrebbero qualche riflessione un po’ meno disinvolta sull’andamento delle cose. Ma, oramai temo che siano cavoli del rettore prossimo venturo, e che giunto a scadenza, l’attuale se ne lavi volentieri le mani (“il settimo si riposò”). Il mantra che Siena deve diventare una specie di “Life Valley” (“Siena Biotech, licenziati alla vigilia del primo maggio”, La Nazione; come esordio non c’è male: una valley di lacrime) non chiarisce qual è la sorte riservata a tutto il resto e alla gente che ci lavora, né come debba leggersi tutto ciò alla luce dell’idea più volte ventilata di trasformazione del sistema degli atenei riducendo molti di essi a “teaching universities” e conservando solo “pochi hub” della ricerca: qui, almeno per una decina di anni, il tempo cioè di fare piazza pulita della cultura e della ricerca di base in altre, non meno vitalistiche “valli”, avremo dunque una situazione schizofrenica, con la researching university in alcuni comparti e la teaching university in altri, ridotti a simulacro?

Ricerca nelle “scienze della vita” o poco più, e pura didattica di basso profilo altrove, in corsi rimaneggiati con quel poco che resta e accorpati, privi di logica interna, di specializzazioni e dottorati (e dunque di attrattiva)? Ha senso tutto ciò? E scusate, perché della gente titolata dovrebbe accettare la prospettiva di regredire al rango di garzone, rinunciare alla carriera, se è giovane, per assecondare questo disegno e perché i colleghi sono andati in pensione? Perché uno studente dovrebbe esserne attratto? Sarebbe sensato, come logico corollario di un progetto di smantellamento di mezzo ateneo, che si “organizzasse l’esodo”, tipo operazione Mosè coi Falascià, ovvero si consentisse (o si intimasse!) a costoro di andarsene in altra sede a svolgere il lavoro per il quale sono pagati, giacché sono dipendenti dell’università statale italiana, e non di qualche nobil contrada senese. Si dirà che si tratta di una boutade, ma la tua soluzione qual è, hypocrite lecteur?

Cosa vorrà dire soddisfare le richieste dell’ANVUR e della SUA in ordine alla produzione scientifica in contesti ove di fatto sarà vieppiù difficoltoso adoperarsi per la buona ricerca? E questo, by the way, in un sistema dove la quasi totalità della «quota premiale» del Fondo di Finanziamento Ordinario viene assegnata alla produzione scientifica e la didattica viene quasi punita come inutile passatempo (ammesso e assolutamente non concesso che “fare ricerca” coincida con il soddisfare le richieste della SUA e dell’ANVUR).

Dice il governo: «più poteri ai rettori… bisogna ridare autonomia vera agli atenei, imporre meno regole dal centro»; ma potere di far che? Serve ben più, temo, che la briglia sciolta ai rettori persino sulla retribuzione dei docenti o la “contrattualizzazione” (jobs act) di tutti i ruoli; anche perché mi pare che i piccoli atenei già siano sin troppo nelle mani del notabilato locale che fa il bello ed il cattivo tempo: in primo luogo devono dirci cosa intendono farne dell’attuale configurazione degli atenei pubblici e del sistema della ricerca e della didattica universitaria.

Personalmente sarei incline, piuttosto, a richiedere un maggiore centralismo e protagonismo da parte del ministero, che non può tirare il sasso in piccionaia e poi nascondere la mano, essendo convinto che c’era più libertà quando c’era meno “autonomia” e ravvisando nella trasformazione degli atenei in monadi senza finestre, non solo una delle cause dei mali che li affliggono, ma anche dell’impossibilità di addivenire per i problemi di cui stiamo parlando a soluzioni del tipo di quelle prospettate nei precedenti messaggi.

Sarei felicissimo se qualcuno mi convincesse che quanto ho scritto è privo di fondamento.

Ormai la prima missione dell’Università, la «didattica», ha un ruolo marginale e disincentivato

StefanoSempliciLa Buona Università? Deve puntare sulla didattica, non solo sulla ricerca (Corriere della Sera, 27 aprile 2015)

Stefano Semplici. La «buona università» ha certamente bisogno di più risorse e professori. E la retorica a buon mercato sul «sapere come risorsa strategica per lo sviluppo» rende solo più dolorosa la cruda evidenza dei numeri. Tutte le graduatorie internazionali ci vedono malinconicamente agli ultimi posti fra i paesi più avanzati per gli investimenti in istruzione terziaria. Fra il 2007 e il 2015 il numero dei docenti ordinari delle università italiane è sceso da poco meno di 20.000 a poco più di 13.000. Dove vogliamo fermarci? Per quanto tempo ancora gli sprechi e le inefficienze di alcuni (o anche di molti) saranno utilizzati come un pretesto per soffocare tutti, mentre i nostri giovani migliori se ne vanno, portando con sé buona parte delle speranze della loro generazione?

Darwinismo accademico. Su due punti, tuttavia, sembra impossibile anche solo aprire un confronto. E forse non è un caso, perché si tratta del risultato di scelte perseguite con granitica coerenza in questi ultimi anni da maggioranze molto diverse. Il darwinismo accademico e la didattica senza merito sono ormai subiti come la conseguenza inevitabile della cultura della valutazione, della qualità e dell’efficienza. Si può provare almeno a dubitare che siano strumenti indispensabili per raggiungere quest’obiettivo, ovviamente condiviso? Gli effetti della competizione esasperata fra singoli ricercatori, dipartimenti e atenei sono noti, a partire dai comportamenti opportunistici finalizzati a massimizzare l’impatto del proprio lavoro nel breve periodo, prosciugando i talenti e la passione del pensare lungo. Le classifiche che mettono in fila le università sono diventate un’ossessione mediatica e le regole che le producono, oltre a generare le più incredibili vessazioni burocratiche, alimentano la convinzione che l’obiettivo fondamentale da perseguire non sia quello di fare bene il proprio lavoro aiutando gli altri a fare lo stesso, ma quello di sopravanzarli in qualche modo ed essere «premiati». Si dimentica così che la vera alternativa non è fra produttivi e sfaccendati, perché nessuno difende ovviamente i secondi, ma fra quanti ritengono che una seria valutazione serva appunto a premiare e punire (con il risultato che diventerà sempre più difficile, per chi è rimasto indietro, recuperare) e quanti sono invece convinti che le stesse punte di eccellenza abbiano bisogno per sostenersi di una base ampia e solida di metodologie e buone pratiche condivise. Una qualità media dignitosa e diffusa sul territorio è sempre stata la caratteristica del nostro sistema e questa ricchezza, la cui difesa non è incompatibile con la valorizzazione dei migliori risultati, rischia di andare perduta. Ne è prova il fatto che cresce il numero dei giovani del Mezzogiorno che vanno a studiare lontano da casa. È stato un errore grave quello che ha portato a dare a ogni campanile la sua università. Ma siamo sicuri che lo Stato si debba adesso limitare a certificare i risultati di una lotta senza quartiere, che sta portando alla desertificazione universitaria di intere aree del paese?

Didattica senza merito. La didattica senza merito è la conseguenza di una politica universitaria che ha ancorato in modo ossessivo la valutazione ai soli «prodotti» della ricerca, riducendo di fatto la «prima» missione dell’università ad un ruolo marginale e sistematicamente «disincentivato». La stessa proposta di differenziare researching e teaching universities è stata declinata come uno strumento di gerarchizzazione delle funzioni, mentre si stratificavano interventi normativi a senso unico. La didattica e la capacità di insegnare non contano ai fini della carriera accademica. Lo stabiliva già la legge Gelmini. La didattica non conta neanche per chi è diventato professore: le politiche di reclutamento del personale da parte degli atenei sono valutate in base ad una serie di criteri fra i quali non figura la qualità dell’insegnamento, mentre spicca al primo posto la produzione scientifica. E sulla base di quest’ultima viene assegnata la quasi totalità della «quota premiale» del Fondo di Finanziamento Ordinario delle università. Non c’è bisogno di insegnare, insomma, per essere buoni professori. E si possono esonerare i migliori dal dovere della trasmissione del sapere che contribuiscono a produrre, perché tanto «si troverà qualcuno da mandare in aula». Se non si corregge questo paradosso, sarà molto difficile trovare la strada della buona università. E non basterà un altro Jobs Act. Che comporta per inciso, come dovrebbe sempre aggiungere chi lo propone come rimedio anche in questo settore, la possibilità del licenziamento senza giustificato motivo, con un’indennità “di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento” e in misura “non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità”. Non sembra francamente questa la soluzione migliore per rafforzare l’autonomia e la libertà delle università e di chi in esse vive e lavora. E dirlo non significa schierarsi a difesa di “baroni” e fannulloni.

Se non è pienamente legittimato a fare il Rettore, perché Riccaboni dovrebbe preoccuparsi di una competizione elettorale studentesca viziata?

Altan-liberostronzo

Una lista sola alle elezioni universitarie studentesche

Kris Cipriani (Presidente di Gioventù Universitaria). A un giorno dalle elezioni universitarie, mi trovo costretto a scrivere nuovamente per informare la Comunità universitaria e la cittadinanza di quanto sta avvenendo all’Università di Siena.

Noi, Gioventù Universitaria, abbiamo più volte cercato il dialogo tra le parti, per trovare una soluzione all’incredibile situazione elettorale che si sta prospettando: l’ammissione di una sola lista alla competizione elettorale negli Organi di Governo. La nostra propensione all’incontro, alla comprensione e all’incessante volontà di trovare una soluzione utile a garantire la rappresentatività, la rappresentanza e la democrazia, non è bastata all’Amministrazione, la quale si è esentata dal darci una risposta e prendere atto delle nostre lettere formali, correlate con la necessaria documentazione.

Le elezioni sono state volte non seguendo quanto previsto dal Decreto Rettorale, senza concedere la possibilità agli studenti di avvalersi della commissione elettorale, non formalizzatasi. Gli errori amministrativi, palesi ed evidenti, hanno viziato la competizione elettorale, ma questo sembra non aver suscitato l’interesse di nessuno, se non il nostro. La nostra lista è stata esclusa senza preavviso, senza aver preso in considerazione le nostre segnalazioni, ci hanno semplicemente “chiuso la porta in faccia”, quando, invece, abbiamo sempre dato prova di essere una risorsa e mai un problema per la nostra Università.

Purtroppo, si sa, in Italia non si va più al voto, e questo lo dico con grande rammarico, poiché vedo la mia generazione cadere in un baratro senza ritorno. Tuttavia, nutro con forza la convinzione che ci sia ancora la volontà di molti nel voler aprire gli occhi e combattere un sistema che ci sta annientando nella scuola, nel lavoro, nelle Università. Ora più che mai è tempo di reagire con consapevolezza alle tenaglie della burocrazia e delle logiche di potere, che metodicamente ci stanno togliendo i diritti fondamentali, prima di adesso considerati scontati e naturali, come la possibilità di avere una casa, un lavoro e una famiglia.

Per quanto detto in questa lettera, si vanno a ledere non solo gli interessi di una lista o di un’Associazione, ma la credibilità e la legittimità di elezioni, che per forza di cose, sembrano aver già proclamato il vincitore. É la chiara imposizione e l’inequivocabile consolidamento di un modus operandi che non ha nulla a che vedere con un sistema democratico e partecipativo. Adesso, più che mai, c’è la necessità di fare quadrato e di ricompattare tutte le parti sociali verso un cambiamento di rotta. Quanto successo rende evidente che la partecipazione alla vita decisionale della res publica è un dovere, diritto che, a quanto pare, non sembra essere poi così scontato. Per tutto questo e per quanto ci troviamo, per tali vicissitudini, a rappresentare, non abbiamo intenzione di arrenderci e dunque ci rivolgeremo per vie legali al TAR, come precedentemente avevamo segnalato all’Ateneo in caso di mancata risposta. Nel mentre, continueremo con vivacità e vigore a portare avanti le nostre battaglie. In questo tempo di crisi c’è la necessità di ergersi in difesa degli studenti e delle loro famiglie.

Elezioni bulgare anche per la rappresentanza studentesca negli organi di governo dell’Ateneo senese?

Kris-Cipriani

Elezioni universitarie senza rappresentanza

Kris Cipriani (Gioventù Universitaria). Prima che da ex membro del Consiglio di Amministrazione, mi trovo costretto con grande rammarico a scrivere da studente questa lettera, a breve distanza di tempo dalle mie dimissioni rese al Consiglio di Amministrazione dell’Università di Siena. Il mio auspicio, rendendo le mie dimissioni, era quello di garantire la possibilità a tutti gli studenti di vedere finalmente la realizzazione di elezioni studentesche trasparenti, partecipate e utili al normale e regolare funzionamento degli Organi di governo dell’Ateneo. L’Associazionismo studentesco, concretizzato nella Rappresentanza studentesca, è una componente fondamentale della vita universitaria, perché oltre a facilitare il compito di comunicazione e informazione all’Amministrazione, è imprescindibile per l’esercizio di difesa dei diritti degli studenti e della loro tutela, senza menzionare il carico di lavoro e di responsabilità che viene portato avanti con l’organizzazione di eventi, dibattiti, approfondimenti. Il mio mandato è stato concluso rivendicando il senso di Responsabilità, attaccamento alle Istituzione e alla cosa pubblica, che ho portato avanti sia come Rappresentante sia come Presidente di Gioventù Universitaria, tra le cui fila conta decine di militanti, simpatizzanti e centinaia di votanti, con i quali l’Associazione ha espresso sempre un numero copioso di Rappresentanti e fatto rappresentanza.

Ad oggi, dopo una comunicazione inviatami dall’Ufficio Responsabile delle Procedure Elettorali, vedo l’esclusione della mia lista dalla competizione elettorale negli Organi di Governo dell’Università degli Studi di Siena, anche dopo che all’unanimità il Consiglio Studentesco si era espresso evidenziando le stesse criticità e anomalie dai Noi sottoposte. Il mio stupore, oltre ad essere condiviso da tutti i membri della mia stessa Associazione e da tanti studenti, è accompagnato da un profondo senso di perplessità, dopo che avevamo più volte, in via ufficiosa in un primo momento, e sotto forma scritta poi, evidenziato delle difficoltà e delle anomalie oggettive sia ai diversi uffici competenti sia all’Amministrazione. Non abbiamo potuto verificare e consultare la documentazione che quanto prevede il Decreto Elettorale, doveva essere pubblicata sull’Albo Online secondo le modalità e le tempistiche previste dallo stesso. La poca chiarezza e la mancata pubblicazione di documentazione ha portato, infatti, alla scarsa candidatura di tanti studenti legittimati a farlo e, probabilmente, alla totale assenza di liste nei tanti Comitati e Dipartimenti. Gli studenti, che non erano scritti sulle liste dell’elettorato attivo e passivo, oltre che segnalarlo alle segreterie, non si sono potuti rivolgere alla Commissione elettorale perché mai riunitasi e formalizzata. Per mancanza di chiarezza e flessibilità, come, purtroppo, succede in Italia, le vie tortuose della burocrazia rischiano di minare la Democrazia e la Rappresentatività nella vita pubblica. Confidiamo nel buon senso e nell’intenzione del Rettore e dell’Amministrazione di risolvere quanto prima la vicenda, non incorrendo nel rischio di assistere ad elezioni con una sola lista concorrente agli Organi di Governo o peggio ancora illegittime e irregolari.

Università di Siena: sindacati contro rettore e direttore amministrativo per il pagamento del salario accessorio

Riccaboni-FabbroPassa dal “via” senza ritirare i 20 euro

RSU d’Ateneo, Cisal, Cisapuni, Cisl, Flc-Cgil, Ugl, Uil PA-UR, Usb-PI. Ieri si è svolta una seduta d’informazione sindacale, forse una delle ultime con la dottoressa Fabbro. Sono passati quasi quattro anni dalla prima con la stessa, ma ieri, nulla sembrava cambiato. A cosa abbiamo assistito? Al solito rinvio dei pagamenti spettanti al personale tecnico e amministrativo. Ci hanno informato che a ottobre non pagheranno il salario accessorio 2011, 2013 e 2014!

Sì, ancora una volta aspettano una nota da funzione pubblica e Mef per sbloccare i pagamenti, ma questo documento di fatto serve solo a coprire le spalle da una eventuale denuncia alla Corte dei Conti per inadempimento amministrativo di rettore e direttore amministrativo. E così prendono tempo. Hanno assicurato che pagheranno a novembre, quanto ancora ci faremo raggirare?

Usano ancora lo scarica barile della responsabilità su qualcun altro, questa volta tocca al nucleo di valutazione, pare che questa nota serva a sollevare il nucleo da una sua inadempienza, ma non è così e chi non lo vuole capire è cieco, serve solo per loro, e a farne le spese però siamo ancora noi. Il documento in questione dovrebbe arrivare fra due settimane, sì come quello del MEF di tre anni fa! Ma, a detta del rettore, se non arriva pagheranno le somme dovute! Come si fa a credere a una bufala del genere?! Serve, questo documento, o no? Il rettore prende tempo, aspettando l’arrivo del nuovo direttore generale?

Sono saliti i toni, e non ce ne scusiamo, anzi li rivendichiamo, così come la Fabbro ha rivendicato il taglio del salario accessorio nel 2011, dicendo che se tornasse indietro lo rifarebbe! Lo rifarebbe? Ma come, non si era dimostrato, anche con una sentenza del giudice del lavoro che ha dato ragione a coloro che hanno fatto ricorso, che tagliare il salario accessorio anche in presenza di un bilancio in disavanzo fosse errato? Secondo lor signori no, dopo quattro anni, no. Vergogna!

Hanno parlato di voler riconoscere in ogni modo al personale l’impegno di questi anni, ora che stiamo uscendo dalla palude del Buco, uscendo… davvero? Questo sarebbe il riconoscimento? Ancora una volta veniamo umiliati nel modo più subdolo con il taglio delle retribuzioni dei lavoratori contrattualizzati, ancora. Dopo quattro anni siamo passati per l’ennesima volta dal via senza ritirare i 20 euro, grazie a due persone che ieri, in preda ad un delirio di onnipotenza, hanno affermato senza ritegno che è merito loro il risultato di questi anni, non di tutta la comunità universitaria.

Esiste ancora una comunità universitaria? I docenti avranno nulla da dire sul nostro ennesimo taglio? Forse no, qui nessuno parla. Noi crediamo che esista una comunità universitaria che deve ricostituirsi, ma esiste? Loro, i nostri vertici, nascondono la brace accesa sotto la cenere, ma è accesa, e si incendierà. Questo ateneo, come questa città, è silente, nasconde le ferite aperte, ma c’è un limite. Ai vertici di questo Ateneo abbiamo dato credito, dopo quattro anni abbiamo tentato in tutti i modi, ma sono ingiustificabili, inqualificabile il comportamento di queste settimane. Si può lavorare senza i giusti corrispettivi? No, invitiamo i responsabili a presentare le dimissioni, per l’ennesima presa in giro nei confronti della nostra dignità. I colleghi EP, C e D destinatari di incarichi presentino le dimissioni. Inutile la battuta tanto non si dimette nessuno, davvero? Nessuno ha dignità? Non ci crediamo. Invitiamo tutto il resto del personale ad attenersi al proprio orario a svolgere unicamente mansioni che ritiene adeguate, allo stipendio base.

Stiamo lavorando in una situazione surreale, un bilancio economico patrimoniale che il rettore dice sarà in pareggio, quando sappiamo che a prescindere dal sistema di contabilità è la tensione di liquidità che ci rallenta nei pagamenti, abbiamo immatricolazioni e iscrizioni in caduta libera e dovremmo accettare che i nostri pagamenti vengano rimandati? Stiamo parlando di arretrati 2011 e 2013! I nostri arretrati sono dovuti, così come sono dovuti i nostri pagamenti mensili spettanti, è ora di farla finita di ricominciare il balzello della difficoltà di cassa, e pagare ciò che è dovuto!

Siena-Lecce: giustizia a due velocità

miccolis_emilio.jpgLa vicenda giudiziaria del Dott. Emilio Miccolis, in qualità di Direttore amministrativo e Direttore Generale dell’Università del Salento, a seguito della denuncia di due sindacalisti di quell’ateneo, si sta sgonfiando, dopo il pronunciamento della Corte di Cassazione e dopo la recente decisione del Tribunale del riesame di Lecce. Del suo incarico a Direttore Amministrativo anche presso l’Università degli Studi di Siena, durato un solo anno, Emilio Miccolis ci ha lasciato alcuni importanti provvedimenti. Qui se ne citano due: 1) il corposo “Atto di ricognizione dei residui attivi e passivi” (CdA del 30 marzo 2009); 2) la Commissione tecnica d’indagine per l’accertamento amministrativo delle cause e delle eventuali responsabilità soggettive e oggettive, che hanno condotto l’Ateneo senese alla crisi finanziaria. La relazione finale della commissione fu consegnata, il 7 aprile 2009, da Miccolis al Sostituto Procuratore della Repubblica di Siena, Dott. Mario Formisano.