Ateneo senese: la trasparenza invisibile

Il Prof. Angelo Riccaboni non può continuare a esporre al ridicolo, con risposte manifestamente illogiche e menzognere, sé stesso e l’istituzione che dovrebbe rappresentare. Come può definire della “massima trasparenza” la vendita del Palazzo Bandini Piccolomini, se ai cittadini è precluso addirittura l‘accesso alla documentazione tecnica? Lo ripeto per l’ennesima volta, il principio della trasparenza (L. 241/1990) ha assunto una diversa e più ampia configurazione, al punto che è definita nei termini di “accessibilità totale per tutti i cittadini” all’intero patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni (art. 11, D.lgs. 150/2009), allo scopo di favorire forme diffuse di controllo e trasformandosi, di fatto, in un mezzo fondamentale di prevenzione della corruzione, rendendo possibile una forma di rendicontazione sistematica ed evidente nei confronti dei portatori d’interesse, cioè dei cittadini. Alla cultura della trasparenza si è uniformato l’intero sistema universitario italiano, con l’eccezione dell’ateneo senese. Per restare nello specifico della vendita dell’immobile, perché la documentazione tecnica (mappe, foto, schede ed elaborati planimetrici) non è accessibile a tutti? Perché si è dichiarato che tutte le informazioni sono riservate e confidenziali, mettendo, così, la mordacchia a chi intende formulare una proposta d’acquisto? Ci sarà pure un consigliere del CdA disposto a violare queste illegittime disposizioni e a rendere pubblico tutto il materiale, ammesso che riesca a ottenerlo!?

Queste osservazioni e interrogativi non sono solo legittimi ma, nel caso di specie, doverosi, se si considerano i precedenti. Ne ricordo alcuni: il tentativo proceduralmente scorretto di far approvare dal CdA il progetto di costituzione di un Fondo immobiliare; il sospetto di una speculazione finanziaria ai danni dell’Università di Siena; le intercettazioni telefoniche che documentano il coinvolgimento di un docente del nostro ateneo e le agevolazioni a lui concesse, dal Rettore e dal Direttore amministrativo, tipo la giustificazione alle assenze (passate e future) a lezione e al ricevimento degli studenti.

Per concludere, il solito interrogativo, già posto in passato: l’Ateneo senese può continuare ad avere una guida priva di legittimazione, credibilità, autorevolezza e senso delle istituzioni?

Articolo pubblicato anche daIl Cittadino online (30 agosto 2012) con il titolo: Grasso replica al rettore: “ma quale trasparenza”.

La casa dei misteri: Palazzo Bandini Piccolomini a Siena

Palazzo Bandini Piccolomini

Uno dei più efficaci strumenti di prevenzione della corruzione è la trasparenza, intesa (secondo il D. Lgs. 150/2009) «come accessibilità totale delle informazioni allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principî di buon andamento e imparzialità». Non solo! Oggi, il Presidente della Corte dei Conti e il Ministro della pubblica amministrazione auspicano un innalzamento del livello della trasparenza, dovuta dalle amministrazioni ed esigibile dagli amministrati. Ebbene che succede all’Università di Siena? Con il triste primato dei bilanci truccati in più anni e con una voragine nei conti da € 250 milioni, ci si aspetterebbe massima trasparenza! I fatti, invece, dimostrano il contrario.

L’8 ottobre si svolgerà l’asta per la vendita di «uno dei più importanti e raffinati esempi dell’architettura rinascimentale a Siena», il Palazzo Bandini Piccolomini (superficie lorda: mq 2.721; prezzo base: € 6.500.000,00). Sul sito dell’ateneo, però, è presente solo l’avviso dell’asta; mentre manca tutta la documentazione tecnica. Eppure su quello dell’università di Pisa, per la vendita del complesso immobiliare “Podere Poggio al Lupo”, si trova di tutto: mappe, foto, schede ed elaborati planimetrici. Per l’ateneo senese, invece, solo chi intende formulare una proposta d’acquisto potrà consultare la documentazione. Infatti, si avverte che «tutte le informazioni sono da considerarsi riservate…». Non solo! «Le informazioni confidenziali vengono fornite al solo scopo di consentire al soggetto autorizzato la valutazione circa la formulazione di una proposta di acquisto; non si possono usare le informazioni confidenziali contenute, in alcun modo che possa arrecare danno alla procedura di alienazione del detto immobile. È assolutamente vietato violare ovvero comunque aggirare i dispositivi di sicurezza e consentire e/o permettere a terzi di accedere al sito utilizzando i codici di accesso nominativamente messi a disposizione.».

È incredibile! Sembra un segreto di Stato! Cosa ci può essere di riservato e confidenziale nella vendita di un immobile pubblico? Che sia per la maledizione del Bandini? No! Sarebbe il colmo! Comunque, ce la dirà, ovviamente in via confidenziale, chi farà l’offerta d’acquisto. Una considerazione finale. Chi è stato eletto irregolarmente, e, quindi, non ha la piena legittimità a esercitare le funzioni di rettore, non può permettersi di adottare provvedimenti immotivati e non trasparenti! Ovviamente, comportamenti del genere sono inaccettabili comunque!

Articolo pubblicato anche da: Il Cittadino online (27 agosto 2012) con il titolo: La casa dei misteri: Palazzo Bandini Piccolomini.

A quanto ammonta il credito dell’Università di Siena con il Sum per le borse di dottorato?

La domanda, non retorica, ci viene suggerita dall’articolo di Fabio Sottocornola, attento conoscitore delle questioni universitarie che, sul settimanale Il Mondo, tiene la rubrica “In cattedra”. Attendiamo una risposta! O dobbiamo chiederlo alla Corte dei Conti?

Sum, tra crediti e fusioni Normali (30 agosto 2012)

Fabio Sottocornola. Imbarazzante Sum, l’Istituto di studi umanistici fiorentino guidato, fino a qualche mese fa, dal professor Aldo Schiavone oggi sotto processo (con altri) per imputazioni come peculato e abuso d’ufficio. I fastidi riguardano il modo in cui l’élite accademica vorrebbe chiudere quest’avventura. Da un lato, c’è il progetto di unire in matrimonio l’alta scuola di dottorati con la Normale di Pisa, guidata da Fabio Beltram. L’idea delle nozze sarebbe di Alessandro Schiesaro, latinista della Sapienza, consulente di ministri, amico di Beltram. Su un’altra faccenda spinosa, qualche passo ufficiale lo ha mosso anche l’università di Firenze. Infatti, tempo fa il CdA dell’ateneo ha nominato Mario Labate liquidatore dell’Isu, Istituto di studi umanistici nato nel 2001, in pratica il nonno del Sum. Risale proprio all’Isu la creazione di un Consorzio (2002) con atenei come Bologna e Napoli Federico II, che a loro volta nel 2005 hanno dato vita al Sum. Curioso ciò che si legge nella delibera: dal febbraio 2011 l’Isu non ha più organi in carica, non svolge attività né tiene rapporti con il Sum. Ha però una «disponibilità di somme residue per 47.755 € e vanta crediti complessivi per 319.185 €». L’ente «detiene contabilmente beni acquistati negli anni per un costo di 110.567 €, privo di un valore effettivo». Significa che è roba da buttare? La delibera non dà risposta. Quanto al credito da 319 mila €, l’università può riaverne dal Sum 252 mila erogati come borse di studio. Invece «il credito di 66.896 euro è difficilmente recuperabile» dal debitore: l’École des hautes études en sciences sociales (Eehs). Una delle più prestigiose scuole di Parigi che aveva un accordo di cooperazione con il Sum. Nessuno ha spiegato di che tipo di credito si tratti. E perché dalla Ville Lumière non saldano il debito con Firenze. Domande che anche la Corte dei Conti dovrebbe porre.

Con i parametri adatti alla valutazione di un asilo infantile, l’università di Siena è prima in Italia

Rabbi Jaqov Jizchaq. Scrive la Santarpia che «l’Università di Siena è scomparsa dalla classifica Arwu, mentre l’Università di Pisa ha ottenuto un risultato lusinghiero anche per quanto riguarda i macrosettori: in Scienze naturali ha confermato la leadership, essendo l’unica italiana presente tra le prime 100 al mondo; in Matematica e Fisica ha ribadito l’eccellenza, posizionandosi per entrambe tra il 76° e il 100° posto al mondo; e in Chimica e Informatica è entrata tra il 101° e il 150° posto.»

Invece, secondo la classifica del Sole 24 ore, Siena è quinta e Pisa diciannovesima: con l’enorme e sincero rispetto che ho verso i nostri ingegneri, sicuramente campioni nel loro campo, non ho ben capito come sia possibile che Siena sopravanzi Pisa nel campo ingegneristico non avendo né l’ingegneria civile, né quella nucleare, né quella navale, né quella aerospaziale ecc. ecc. ecc… Lo stesso dicasi per la fisica e per le altre scienze, pure ed applicate: qualcuno coniò anzi l’espressione sarcastica, per cui a Siena il problema sono appunto le “scienze… avanzate” (segue sghignazzo 😦 ), che avanzano e pertanto sono destinate a finire nell’immondizia. Neppure il Censis è riuscito però quest’anno a sciogliere i consueti peana verso le facoltà di lettere (senza più filosofia) di Siena. Arezzo non ci risulta, ma naturalmente la ragione è che sono impegnati in un’aspra e disegual tenzone per il primato galattico con Oxford, Harward e altri siti stellari, sicché queste quisquilie provinciali non li sfiorano. Venuto alla luce lo “scandalo” dell’assenza dalle addomesticatissime classifiche del Censis (fonte oramai di ilarità per studenti e docenti), subitaneamente si è commentato che i divi che davano lustro alla facoltà, o perirono prematuramente sul campo rattristando l’ateneo tutto (per quanto in realtà studiosi di ben altro calibro laggiù operanti siano andati al creatore senza che l’ateneo li degnasse neppure di un necrologio), o si avviarono mestamente à la retraite: stronzata sesquipedale, giacché al momento della rilevazione erano tutti vivi, vegeti e a libro paga; ma che la ragione sia al contrario da ravvisarsi nella scomparsa, da oramai almeno due riforme degli ordinamenti, dei Corsi di Laurea Basilari (sostituiti da un generico quanto inutile “humanities”) e dalla pratica impossibilità di specializzarsi in alcunché, pare che a questi geni della comunicazione del Nulla che aborrono la parola “specializzazione” non sia passato nemmeno per l’anticamera del cervello. Per la classifica surreale del Censis, comunque, addirittura Siena… è prima; per il Sole 24 Ore Siena sopravanza Pisa di quattordici posizioni: una presa per i cabasisi notevole, si direbbe, dalla quale si conclude che secondo i parametri adottati da queste agenzie, il livello scientifico degli atenei nel campo delle scienze pure ed applicate, non conta una emerita mazza, ma contano altri parametri, più adatti, forse, alla valutazione di un asilo infantile, che ad un ateneo.

Per favore, il momento è grave, siamo seri: lasciamo ai buffoni della politica-avanspettacolo, dei “comunicatori” del Nulla, dei politicanti ricicciati come professori di qualche cosa d’indefinito e fumoso e dello stuolo di nani e ballerine che gli vanno appresso, il puerile divertimento di bamboleggiarsi con “le statistiche”.

Altro che prima in Italia: l’università di Siena è scomparsa dalla classifica di Shanghai

Valentina Santarpia (Corriere della Sera, 18 agosto 2012). Sono le Università di Pisa e La Sapienza di Roma i migliori atenei italiani: a sostenerlo è l’Academic ranking of world universities (Arwu), una classifica elaborata dalla Jiao Tong University di Shanghai, tra le più accreditate a livello internazionale insieme a quelle elaborate annualmente da Times higher education e QS World university rankings. La decima edizione della ricerca di Shanghai, che assegna ad Harvard il primo premio, elenca le 500 migliori università nel mondo: tra queste compaiono 20 istituzioni accademiche italiane, contro le 22 dello scorso anno, ponendo l’Italia all’ottavo posto tra le nazioni, insieme alla Francia.

Tra le novità più importanti, la «scomparsa» dalla classifica delle Università di Siena e Pavia, e il cambiamento di posizione di due atenei: Palermo, che è andata peggiorando, spostandosi dal gruppo collocato tra il 301° posto e il 400° a quello tra il 401° e il 500°, e la Scuola Normale di Pisa, che invece ha migliorato le sue performance, passando dal gruppo 301-400 al gruppo 201-300. I due atenei di Roma e di Pisa (nel blocco 101-150) precedono invece come l’anno scorso Milano e Padova, tra il 151° e il 200° posto, e quelli di Bologna, Firenze, Torino, del Politecnico di Milano e della Scuola Normale, che si situano tutti tra il 201° e il 300° posto. Nella parte bassa della graduatoria, si piazzano Genova, Napoli (Federico II), Roma Tor Vergata, tutte tra il 301° e il 400° posto, per chiudere con il gruppo più corposo, quello degli atenei collocati tra il 401° e il 500° posto, dove troviamo la Cattolica, il Politecnico di Torino, l’università di Bari, Ferrara, Palermo, Parma, Perugia e la Bicocca di Milano.
Sono tutti punteggi che a prima vista non appaiono così lusinghieri. Ma «se si considera che l’Arwu valuta circa 5.000 università in tutto il mondo, che essere fra il 100° e il 150° posto significa essere nel 3% delle università migliori al mondo», come fa notare il prorettore della Sapienza Giancarlo Ruocco, «il risultato è di tutto rispetto».

Allora perché gli atenei italiani ancora non riescono a entrare nel gruppo dorato delle prime cento, occupato per lo più da inglesi e americani? «Quello che ci manca è la capacità di organizzare il reperimento di fondi progettuali – spiega ancora Ruocco –. Soprattutto le università generaliste, non riescono a creare dei progetti validi che attirino risorse economiche e che ci permettano di crescere, anche a livello internazionale. E infatti uno dei compiti che ci siamo dati – conclude Ruocco – è quello di creare esperti del settore, professionalità specifiche in grado di mettere a punto i progetti di ricerca».
In effetti la classifica Arwu dà grande importanza alla qualità delle performance, sia accademiche che di ricerca, considerando elementi come il numero di riconoscimenti internazionali ottenuti dallo staff accademico, il numero delle pubblicazioni e delle citazioni, i risultati conseguiti in relazione alle dimensioni dell’istituzione. Rischia di non essere obiettiva, come ipotizza la ministra francese all’Istruzione Geneviève Fioraso, secondo cui l’Arwu «non tiene conto della qualità dell’insegnamento e ignora in gran parte le scienze umane e sociali»? «Tutte le classifiche sono parziali, indicative, perché fanno riferimento solo ad alcuni indicatori – risponde il presidente della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) Enrico Decleva –. E comunque in Italia o si assume un atteggiamento più responsabile, e cioè ci si rende conto che bisogna investire in alta formazione, oppure le università nostrane non potranno mai essere ai primi posti della classifica».
Un esempio su tutti? «Il rapporto docente/studente sta precipitando nel nostro Paese – sottolinea Decleva –. E questo va corretto: l’internazionalizzazione ha bisogno di risorse, umane ed economiche». «Non a caso i primi sono sempre gli inglesi e gli americani – incalza il rettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone –. In quei Paesi ci sono alcuni poli universitari che attraggono la maggior parte delle risorse e che così diventano eccellenza in settori specifici. In Italia questo non succede, è tutto molto frammentato». Come se ne esce? «Imitando il modello francese e tedesco – spiega Azzone –, dove si hanno molti centri di qualità ma si punta sull’eccellenza di alcuni». È la strada intrapresa dall’Università di Pisa, che non a caso nella classifica Arwu ha ottenuto un risultato lusinghiero anche per quanto riguarda i macrosettori: in Scienze naturali ha confermato la leadership, essendo l’unica italiana presente tra le prime 100 al mondo; in Matematica e Fisica ha ribadito l’eccellenza, posizionandosi per entrambe tra il 76° e il 100° posto al mondo; e in Chimica e Informatica è entrata tra il 101° e il 150° posto.
Ma numeri in classifica e graduatorie hanno davvero un senso per chi studia? «Assolutamente sì – conclude Azzone –. Sono passati da due a quattro milioni i ragazzi che ogni anno scelgono di frequentare l’università all’estero nei Paesi dell’area Ocse. Dobbiamo avere visibilità internazionale se vogliamo essere competitivi e attrarre cervelli. O non far fuggire i nostri».

Quando del sistema Siena se ne occupa il web

Alla vigilia di ferragosto, il sito Corsera Magazine ha pubblicato un articolo sulla situazione senese con un titolo eloquentissimo: «Monte dei Paschi di Siena, la grande truffa a danno degli azionisti». Altri tre pezzi erano usciti in precedenza: il primo l’8 agosto Monte dei Paschi di Siena, il più grande scandalo finanziario italiano»); il secondo il 9 («Elezioni 2013, Partito Democratico il virus Monte dei Paschi di Siena») e il terzo l’11 agosto («Monte dei Paschi di Siena virus Lehman Brothers»). La foto che accompagna gli articoli è quella dell’ex presidente della Banca, Giuseppe Mussari, ritenuto dal Corsera Magazine il «coautore del disastro» e la sua elezione alla presidenza dell’Abi considerata una «beffa per gli azionisti trombati; come dire un mascalzone latino che, dopo aver condotto il vascello di Rocca Salimbeni al disastro finanziario, adesso pontifica dallo scranno più alto». Con linguaggio colorito, zeppo di refusi e di errori, gli articoli non firmati – riconducibili i primi tre a una ipotetica redazione di Roma e l’ultimo a quella di Milano – denunciano quel che tutti ormai sanno, dopo il servizio di Report e l’articolo di Der Spiegel. Con una novità, chiaramente espressa in tutti i pezzi, l’auspicio che il Pd non vinca alle politiche: «Pierluigi Bersani è preoccupatissimo sa benissimo che, con il Monte con le pezze al culo, il Pd finirà per perdere le prossime elezioni, perché i cittadini non si fidano dei cattivi gestori». Stupisce il linguaggio crudo di Corsera Magazine: «La Banca MPS vale meno di zero… dei suoi immensi pascoli ha ritirato soltanto la merda delle bestie con le corna… e il letame del MPS ha investito anche il Quirinale. Il più grande scandalo finanziario di tutti i tempi in Italia, la più grande cloaca puzzolente che ha inghiottito il letamaio Banca Antonveneta… con la precipitosa uscita di Caltagirone e una minusvalenza di oltre trecento milioni di euro. Quanti sono gli allegri miliardi di euro concessi a clientela che, in realtà, non poteva onorare quei prestiti?». Forse, le dimensioni del dissesto e l’impunità, che si suppone sia garantita ai responsabili, giustificano questi eccessi verbali, considerando, infine, che le stesse espressioni sono da mesi sulla bocca di tutti.

Nelle condizioni in cui si trova l’università di Siena è meglio gongolarsi con i dati del Censis opportunamente addomesticati

Rabbi Jaqov Jizchaq. Vorrei chiedere ai sindacati, ai politici, ai manager universitari (non si dice così adesso?), ai “giornalisti” catafottuti a insegnare qualche cosa senza aver affrontato alcuna valutazione, ai tessitori del Groviglio Miracoloso, dopo che si sono satollati con i dati del Censis e hanno sciacquato i cabasisi con quelli del Sole 24 ore, se sanno cos’è l’Anvur, cos’è il Vqr, che vuol dire “impact factor”, “peer review” e quant’altro: tutti strumenti di tortura coi quali vengono oggigiorno stritolati quei giovani (in senso italico, in un paese dove le vite accademiche paiono avere durate bibliche) che si occupano veramente di “scienza”. Vorrei dunque domandare ai cantori dell’Armonia Prestabilita se hanno una vaghissima idea di quali siano gli standard di rigore richiesti per stare dentro al “gotha” della ricerca internazionale o anche degli standard professionali e il grandissimo mazzo, individuale e collettivo, creativo e organizzativo, che tocca farsi per ottenere questo scopo. Se possano concepire un’orchestra sinfonica, senza che il pensiero corra agli eserciti di Federico il Grande, se ritengono cioè di poter sopravvivere in un mondo globalizzato dove la ricerca promana da grandi istituti di livello internazionale, senza organizzazione, massa critica, teorizzando la frammentazione particolaristica e la tutela del proprio “particulare” a discapito del tutto. Il problema su cui volevo attrarre l’attenzione del gentile pubblico del blog è dunque il deteriorarsi delle condizioni stesse della ricerca.

Prendiamo la cosa da quest’angolatura: a breve partiranno i concorsi per le idoneità di associati e ordinari (i ricercatori non esistono più). Qui a Siena cambierà poco, e temo che con lo spread e l’Europa sull’orlo dell’implosione, c’è poco da sperare in risorse che cadano come manna dal cielo. Si dice publish or perish, in inglese. Qui però c’è la variante molto originale che comunque vada, “perish”, anche se “publish” a iosa, ahimè: uno si piglia l’idoneità, dopo di che, può farne un buon uso come carta igienica, visto che c’è poca trippa per gatti, e quel che è peggio, v’è più ragione per credere che la trippa residua sia per i soliti gatti (quelli del giro precedente, il rumore delle cui mandibole ancora turba le nostre notti) e altrove, non essendo cambiato molto del tradizionale sistema feudale, è assai improbabile che si accattino un “forestiero” senza adeguate entrature. Dunque, per molti si tratterà di partecipare con spirito decoubertiano subendo l’ennesima presa per il didietro e non potranno non chiedersi: cui prodest? Ciò nonostante, voglio sperare che per il sottobosco della clientela, delle “famiglie”, dei posti alle concubine e ai figlioli degli amici, ai pluripoltronati della partitocrazia, vi sia con questo nuovo corso nazionale un po’ meno spazio. E nonostante l’inerzia del sistema, mi spingo a prevedere che ve ne sarà sempre di meno: agli atenei che non si adeguano, infatti, resterà solo la magra consolazione di gongolarsi con i dati del Censis opportunamente addomesticati e interpretati dagli esegeti del Groviglio a uso dei babbei che gli danno il voto.

Non so se si capisce, messa in questi termini, l’insistenza di alcune Cassandre (fra le quali il sottoscritto) sul dramma, che pare serenamente ignorato dal dibattito pubblico, costituito dalla polverizzazione di gruppi di ricerca, dei corsi di laurea, dei dottorati, delle specializzazioni ridotte a masse informi, dello stillicidio di chiusure e soppressioni perpetrato in modo talvolta incosciente e del tutto indipendente da considerazioni di valore, sia per la tragica fatalità delle uscite di ruolo senza ricambio, sia per incapacità di fronteggiare il narcisismo e la mancanza di contatto con la realtà di personaggi che rifiutano di far fronte comune, come università statali, o addirittura segmenti della medesima università, contro le avversità di un destino oltraggioso, sia per l’efficientismo solo apparente di una burocrazia cieca, distante dalle esigenze ineludibili della scienza e della cultura.
Qualcuno in questo forum cercò di aizzare una rissa fra capponi di Renzo: i ricercatori stabilizzati contro i non stabilizzati, forse nel vano tentativo di depistare e distogliere l’attenzione dal vero problema, che qui almeno non è certo quello! Molte discipline non esattamente inutilissime, molti corsi sono stati soppressi o marginalizzati, o non hanno alcuna prospettiva di durata e di sviluppo, “pace” ogni considerazione circa la loro importanza e il valore individuale di chi ci stava dentro.

Bisognerebbe dirlo chiaramente e agire efficacemente: il giornalista germanico forse non sospetta nemmeno che quello che a casa sua il Land – erogatore degli stipendi agli universitari – è capace di fare, ossia programmare le università, chiudere un corso di laurea e concentrare i docenti in un’altra sede del medesimo territorio, se necessario, qui non pare nemmeno proponibile, benché io non veda altra soluzione all’attuale stillicidio, per tutte quelle discipline che hanno il destino segnato (e non voglio neanche più domandarmi se è giusto o no che a Siena tutto ciò che puzza di “scienza pura” sia oramai considerato superfluo mentre trionfano le cazzate). Mi permetto di segnalare che tra l’altro, stiamo parlando delle vite di diverse persone (un numero destinato a crescere, vista oltretutto la poca probabilità di sopravvivenza di certi corsi di laurea così come sono stati recentemente rimaneggiati) delle quali nessuno mai si è peritato di verificare se lavorano, non lavorano, cosa fanno, cosa non fanno: anche se questo è un costo umano reputato accettabile, da certi dispotici e algidi Gauleiter nostrani, procedere così, oltre che un danno, è semplicemente un controsenso.

Università di Siena: verità nascoste e cialtronate evidenti

La vicenda dell’Ateneo nella crisi senese

Zoom (9 agosto 2012). La doccia fredda sui 5,4 milioni di euro che secondo il Ministero dell’Economia sarebbero stati pagati in eccesso ai dipendenti dell’università di Siena non è un semplice fatto contabile e nemmeno un episodio da circoscrivere all’interno dell’ateneo. Come nel caso delle retribuzioni negate ai dipendenti del Monte dopo i cambiamenti al vertice, ma soprattutto con le sempre più palesi difficoltà della Banca a far fronte alle sue debolezze, siamo di fronte al venire al pettine di complesse vicende riguardanti il modo con cui sono state gestite le nostre istituzioni più prestigiose, un modo determinato soprattutto da come è stata concepita la politica in città.

Il calvario dell’Ateneo è ormai iniziato da ben 4 anni e, oltre ai noti problemi del drammatico deficit, vede protagonista la Procura della Repubblica di Siena che ha indagato e richiesto il rinvio a giudizio di 18 persone per il dissesto e di 10 persone per le presunte irregolarità nell’elezione del Rettore, tanto per rimanere alle questioni più eclatanti. Perché esiste anche un esposto per la presunta irregolarità della nomina del direttore amministrativo, un altro per presunti traffici immobiliari su beni dell’Ateneo e così via. Un complesso di questioni che pone problemi di legittimazione dell’Ateneo non solo sotto il profilo giuridico, ma anche sotto l’aspetto politico perché è evidente che si tratta di un bene di tutta la città e non di una cittadella fortificata impermeabile all’esterno. A parte una mozione proposta dalle Liste Civiche, poi accorpata in un documento unitario di maggioranza e opposizione mai discusso per le note vicende del Comune, altro non è emerso in seno alle istituzioni locali nonostante che il Comune, la Provincia, la Banca, la Camera di Commercio, la Regione ed il Governo abbiano un rappresentante ciascuno nel CdA dell’Ateneo.

E ancora: l’ex Sindaco Ceccuzzi è intervenuto all’assemblea dei lavoratori esasperati per questa vergognosa vicenda del salario accessorio ed ha fatto generiche promesse che, al momento, non ha alcun titolo per onorare, tanto più che il suo partito si è ben guardato dal prendere delle chiare posizioni. Proprio com’è avvenuto sulla vertenza sindacale al Monte dove, alle sporadiche dichiarazioni di sostegno allo sciopero, nelle file delle forze di centrosinistra si sono contrapposti apprezzamenti niente affatto velati per il piano di “lacrime e sangue” del nuovo vertice montepaschino.

I problemi dell’Università senese, in un tale contesto, non sono quindi soltanto quelli, pur pesantissimi, di un dissesto finanziario che sembra aggravarsi invece di cominciare a risolversi, ma nella perdurante ostinazione a volersi nascondere le responsabilità scaricando volta volta i problemi su chi resta colpito. Non dobbiamo però dimenticare che la vicenda dell’Ateneo è stata soltanto la prima a manifestarsi, ma non è isolabile da un contesto dove, purtroppo, si trova in buona compagnia.

Das Fiasko von Siena: gli occhiali di Der Spiegel e le bende sugli occhi dei media locali

Alexander Smoltczyk

Dopo Report (Il Monte dei fiaschi), il caso Siena approda sul più prestigioso organo di stampa tedesco, Der Spiegel, con un titolo eloquentissimo: “il fiasco di Siena”. Ecco il sommario dell’articolo pubblicato a pag. 56: «Das Fiasko von Siena: Die älteste aktive Bank der Welt, Monte dei Paschi, brauchte 535 Jahre, um ihren Reichtum anzuhäufen. Drei Krisenjahre genügten, um ihn zu verspielen. Eine toskanische Idealstadt erlebt den Einbruch der Wirklichkeit ins Idyll – nicht anders als derzeit das ganze Land.» Di seguito i link per leggere l’articolo integrale nella traduzione in inglese o in italiano.

– Alexander Smoltczyk. Downfall of Tuscan Paradise. Spiegel Online International, 8 agosto 2012.

– Il fiasco di Siena – Der Spiegel (traduzione dal tedesco di Silvia Tozzi). Il Santo notizie di Siena, 8 agosto 2012.

Commenti sull’argomento:

Raffaele Ascheri. Der Spiegel: c’è Monti, ma anche il Monte (e l’eretico)… l’Eretico di Siena, 7 agosto 2012.

Raffaella Zelia Ruscitto. Il fiasco di Siena… ma tutto resta com’è. Il Cittadino online, 8 agosto 2012.

Per il resto, silenzio assordante nel sito della Provincia e in quello dell’Università di Siena. A ogni buon conto, nella rassegna stampa dell’Ateneo si legge che «l’aggiornamento della rassegna riprenderà il giorno 20 agosto, con la riapertura delle strutture universitarie.» Ovviamente, per quella data sarà molto difficile che il rettore tiri fuori la testa dalla sabbia e consenta alla comunità accademica senese di conoscere quanto “Der Spiegel” ha scritto sul sistema Siena.

Analogie inquietanti: governatore abusivo e rettore abusivo

Il Governatore abusivo (Da: Europa, 27 luglio 2012)

Marco Cappato. Il presidente Formigoni rimane innocente davanti alla legge almeno fino a sentenza definitiva. Non è sulla base di indagini non terminate che si possono esigere le dimissioni di chicchessia, per quanto Formigoni per primo faccia il possibile per farsi travolgere dalla fragilità dei suoi stessi proclami prima ancora che dalle gravi accuse che gli sono mosse. C’è chi lo chiamerebbe “garantismo”, in contrapposizione al “giustizialismo”, intendendo in realtà due partiti faziosi e intercambiabili a seconda del collegamento politico delle parti in causa.
Nel partito che fu di Enzo Tortora, più del garantismo ci interessa la legalità, il rispetto della legge. In uno stato di diritto tanto dovrebbe bastare, ma l’Italia non è né una democrazia né uno stato di diritto, e il “caso Formigoni” rende necessaria qualche riflessione in più.
Proprio se non si vuol far danzare la politica al ritmo delle inchieste, non si aspetta il procuratore di turno per battersi contro un sistema di potere che opera contro le libertà civili ed economiche, né per denunciarne l’occupazione abusiva delle istituzioni. In Lombardia, i lavori pubblici, gli appalti, la sanità (e il fatto stesso che accuse come quelle del caso Daccò possano essere mosse dice molto sulla trasparenza del sistema, vedremo sulla sua legalità), le opere infrastrutturali, le costruzioni, le bonifiche e tanto altro ancora sono governati da regole non scritte di lottizzazione feroce ed efficiente, in una rete fitta di conflitti d’interesse, di controllori controllati, di consigli d’amministrazione pubblici e privati incestuosamente intrecciati.
La sussidiarietà modello Comunione e liberazione è utilizzata come cavallo di Troia contro il mercato, per saccheggiare risorse pubbliche e coinvolgere il privato nei meccanismi clientelari e consociativi che dominano il pubblico. La straordinaria capacità di Roberto Formigoni è stata quella di saper affasciare attorno a sé per quasi un ventennio le più diverse forze economiche, ottenendo sostegni da parte del mondo della cooperazione (non solo Compagnia delle opere, ma anche cooperative bianche e rosse) e di rappresentanti istituzionali di destra, di centro, ma anche di sinistra. Il tentativo di esprimere una vera alternativa è infatti stato del tutto assente nell’opera di leader come Penati, rassegnati a difendere una parte minoritaria di potere invece di provare a metterne in discussione i meccanismi.
Di fronte a tale sistema di potere, è oggi indispensabile parlare di giustizia, non per cavalcare le inchieste in corso, ma per denunciare come al sistema formigoniano non sia stata e non sia estranea né la malagiustizia italiana (quella che colleziona record di condanne in Europa) né il palazzo di giustizia di Milano. Per comprenderlo, si dovrebbe infatti partire dallo scandalo “Oil for food”, dove la condanna in primo grado per corruzione internazionale ai danni delle Nazioni unite e del popolo iracheno comminata a faccendieri in stretti rapporti con Formigoni fu cancellata dalla prescrizione.
Va poi ricordata la sentenza con la quale un giudice stabilì che il limite di due mandati consecutivi non si applica a Formigoni in Lombardia (dunque neanche a Errani in Emilia), avallando un sovrapposizione ormai totale tra governo e potere che è all’origine dei guai ai quali il governatore è andato incontro.

Per terminare il quadro, ricordiamo un fatto semplice: due anni e mezzo fa, noi Radicali portammo all’allora sostituto procuratore Bruti Liberati indizi seri di una truffa elettorale senza la quale non solo Formigoni, ma tutta la coalizione PdL più Lega non avrebbe potuto presentarsi alle elezioni. Formigoni ci accusò di aver ordito una macchinazione, fu chiesta l’archiviazione senza indagini, ma quando poi portammo le prove della falsificazione materiale delle firme imponemmo l’apertura di un’inchiesta, e ora di un processo, oltre a quello per diffamazione ai nostri danni. La giustizia amministrativa, l’unica che potrebbe – e dovrebbe in tempi immediati – determinare l’annullamento o la convalida di elezioni truffaldine, si è però infilata su un binario morto, con la copertura della Corte costituzionale che ha così creato un precedente devastante per l’impunità dei crimini contro la democrazia.
Auguro a Formigoni di dimostrare la propria innocenza (magari prima della prescrizione) sull’inchiesta in corso su tangenti e sanità. Rimane un presidente abusivo, che non avrebbe potuto nemmeno candidarsi, emblema e sintomo di un paese dove il potere si considera al di sopra della legge, potendo contare sul fatto che non vi è una giustizia in grado di fargliela rispettare.