
Albina Colella
Dopo la durissima condanna di Albina Colella, si riportano il link a una sua intervista e, di seguito, l’articolo di Massimo Zucchetti.
Albina Colella: non è cosa (il manifesto 23 ottobre 2015)
LO SCIENZIATO BORDERLINE Massimo Zucchetti. “Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che può venire chiamata una piccola storia ignobile. Io so i nomi dei responsabili che hanno portato alla condanna, presso il Tribunale di Potenza, a una pena complessiva di nove anni di reclusione, e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, di una docente dell’Università della Basilicata, Albina Colella, accusata di concussione e peculato per fatti avvenuti tra il 1999 e il 2001, relativamente a un progetto di ricerca con fondi europei da lei coordinato. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scienziato, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere.”
È venuto molto facile utilizzare una parte del testo di Pier Paolo Pasolini, “Io so”, apparso sul Corriere della Sera del 1974, per descrivere quanto sta accadendo in questa storia del 2015, che riguarda una collega con la quale ho avuto saltuari rapporti di lavoro e una reciproca stima. Albina Colella è una geologa, più o meno lo stesso mestiere che faceva mio padre; ed è professore ordinario di geologia presso il Dipartimento di Scienze dell’Università degli Studi della Basilicata. Da alcuni anni, Albina Colella svolge attività di ricerca e di denuncia sul preoccupante inquinamento dell’invaso del Pertusillo, in Val D’Agri, regione Basilicata, in una zona di massima concentrazione di pozzi petroliferi. Si noti come dall’invaso artificiale del Pertusillo venga tratta acqua potabile consumata dalla popolazione. Parlando di una scienziata e non soltanto di un’attivista, si riporta un esempio di un articolo scientifico su rivista internazionale nella quale l’autrice illustra le basi scientifiche della sua denuncia ambientale. Oltre al libro recentemente pubblicato, “Impatto Ambientale del Petrolio, in mare e in terra”, che si vede in figura in fondo all’articolo.
Per riassumere – dato che non di Lago del Pertusillo si parla qui, ma di nove anni di carcere inflitti ad una collega — le analisi effettuate nel corso delle attività di ricerca della prof. Colella mostrano come l’acqua di quell’invaso sia inquinata da idrocarburi, derivanti con ogni probabilità dall’attività estrattiva petrolifera. Albina Colella è pertanto una docente universitaria che è stata sempre in prima fila nel denunciare i gravi inquinamenti da idrocarburi derivanti dalle estrazioni petrolifere in Basilicata. Ha rifiutato, e di questo sono testimone, molti incarichi prestigiosi, e sono anche testimone di come si sia opposta a tutti i tentativi di mettere a tacere la vicenda, che è tuttora in divenire.
Mentre molti se la aspettavano fra i Consulenti Tecnici di una Procura, in un eventuale processo a carico della Compagnie Petrolifere, che facesse chiarezza su questioni che, riguardando un disastro ambientale potenziale, costituiscono un rischio per la salute degli abitanti di Basilicata e Puglia, la vediamo invece sul banco degli imputati per una vicenda risalente oramai ad un quindicennio fa. A dire il vero, non soltanto imputata, ma condannata – sebbene soltanto in primo grado – ad una pena di ben nove anni di carcere. Entriamo un poco nel merito, dato che non ci piace adombrare ingiustizie soltanto collegando eventi apparentemente non correlati. Albina Colella è colpevole, e merita nove anni di carcere? Il processo riguardava la malversazione di fondi europei destinati alla ricerca e l’uso improprio di un “gommone” di proprietà dell’Università, destinato alle escursioni scientifiche nel lago.
Il progetto di ricerca riguardava le risorse idriche in Val d’Agri, finanziato dalla Regione con fondi europei. Secondo l’accusa, la prof. Colella, per ultimare il progetto che era rimasto privo di fondi, avrebbe richiesto ad alcuni ricercatori di restituire parte dei loro compensi – si parla in tutto di una cifra equivalente a 50.000 euro, in realtà circa cento milioni di lire in totale, dato che i fatti risalgono a prima dell’avvento dell’euro – in maniera da riavere a disposizione fondi per il prosieguo del progetto. Che si è infatti concluso, poi, con soddisfacenti risultati, e senza insuccessi e restituzione di fondi all’Unione Europea, come invece capita spesso per progetti di quel genere.
Albina Colella non ha intascato un euro (anzi, una lira), ma ha – diciamo, sempre secondo l’accusa – commesso l’errore di chiedere indietro dei compensi già erogati, ai fini della chiusura di un progetto. Una procedura forse non piacevole per chi si è visto rivolgere una tale richiesta e che si poteva – tutto sommato – evitare. Ma sono cose che succedono, di restare senza fondi sul più bello e di avere bisogno ancora di un piccolo quid. Compiuta questa necessaria critica, sarebbe interessante approfondire in base a quali deduzioni – nelle motivazioni della sentenza – un tale atto meriti la reclusione per cinque anni. Anni cinque, ripeto, non vi sono errori di sorta, non si parla di mesi. Cinque anni.
La questione del gommone sarebbe quasi il caso di neppure menzionarla, tanto appare di trascurabile importanza. Ma dobbiamo invece parlarne, perché l’accusa ha ipotizzato che venisse usato dalla professoressa per motivi personali e non legati alla ricerca, contestando anche il fatto che la manutenzione del natante avveniva in Puglia (secondo la Colella a Potenza non vi erano officine specializzate in questo settore). Questo vale, sempre nella sentenza di primo grado, quattro anni di reclusione. Anni quattro, ripetiamo anche qui, non vi sono neppure stavolta errori di sorta, non si parla di mesi. Quattro anni.
Notiamo appena che il pm, in aula, aveva chiesto otto anni di reclusione, che il giudice ha dunque aumentato a nove (cinque anni per la concussione e quattro per il peculato). Notiamo che l’avvocato della docente ha dichiarato che “la sentenza non risponde all’esito dell’istruttoria dibattimentale” e che “l’impugnazione in appello sarà su elementi oggettivi che escludono la sussistenza dei reati contestati”. Notiamo appena che gli avvocati della geologa hanno chiesto la ricusazione del giudice che ha emesso la sentenza per manifesta inosservanza della procedura processuale. Non ci permettiamo di criticare una sentenza della Giustizia Italiana, ovviamente. Poniamo soltanto dei dati di fatto e delle domande che emergono da questi dati di fatto.
I dati di fatto sono questi. La supposta colpevolezza della prof. Colella appare imputabile per lo più ad un comportamento improprio – se vi è stato – atto a raddrizzare e ben concludere le sorti di un progetto di ricerca europeo. Se vi è colpevolezza, la pena appare assai severa, per utilizzare un eufemismo. La prof. Colella si è, in questi anni, resa assai scomoda per le sue denuncie riguardanti l’inquinamento in acque potabili della Basilicata dovuto alla presenza di attività di estrazione di idrocarburi da parte di compagnie petrolifere. Sebbene lo scrivente – così come molti altri finora – esprimano la propria solidarietà ad Albina Colella, e sebbene si tratti soltanto di una sentenza di primo grado, appare probabile che l’attività suddetta di denuncia e di lotta da parte di Albina Colella possa subire una battuta d’arresto, o perlomeno che ne venga danneggiata, influendo questa sentenza, ad occhi superficiali, sulla sua credibilità.
Questi sono i dati di fatto. Le domande, le lascio emergere da chi — leggendo questo spunto — approfondirà questa storia. Io, essendo uno scienziato ed un attivista, ho trovato subito le risposte alle mie domande. Le stesse risposte di Pier Paolo Pasolini, si parva licet. L’auspicio, amaro perché ci appare quasi superfluo, è ovviamente che Albina Colella possa uscire da questa vicenda, negli ulteriori gradi di giudizio, scagionata dalle accuse o comunque non condannata ad una pena che — sinceramente — atterrisce e costerna. Nel frattempo, anche se so che non ascolterà questo suggerimento, le consiglierei di occuparsi di geologia lunare, o marziana, o – meglio – di Plutone. E lasciar stare il Pertusillo: Albina, amica mia: non è cosa.

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