Ha senso parlare ancora della malagestione nell’ateneo senese? Sì! Ricominciamo da -14!

OmbraScrive un collega: «Caro Giovanni, oggi navigando in rete mi sono imbattuto nel tuo sito. Ho notato che da più di due mesi non parli più del nostro ateneo, ma sempre e solo di fatti e notizie “esterne”. Mi sono chiesto: capperi, ci sarà un motivo! Poi mi sono detto: ma perché non chiederlo direttamente a Giovanni? Ed eccomi qua…». La risposta è semplice: ho messo il bavaglio al blog perché, ormai, parlare della malagestione nell’università di Siena serve a poco! Interessa forse a qualcuno l’impreparazione e l’insipienza dei vertici, incapaci di gestire persino l’ordinaria amministrazione? O l’esautorazione e l’acquiescenza degli organi di governo? O l’illegittimità di molti provvedimenti adottati? O l’assenza totale di trasparenza? O la truffa dell’utenza sostenibile per alcuni corsi di laurea, con il conseguente scadimento dell’offerta formativa e l’attuale crollo delle iscrizioni (-14%)? O la nomina del Direttore amministrativo, contraddistinta da ingerenze esterneprocedure calpestate,  omissioni, la cui retribuzione è stata sottratta alle competenze del CdA e maggiorata di circa 60.000 € lordi, probabilmente non dovuti? O della mancata nomina del Direttore generale, nonostante siano passati più di due anni dall’emanazione dello Statuto? O dell’inesistenza del necessario e obbligatorio piano di rientro dal disavanzo d’amministrazione? O il tentativo di speculare sull’università, con la costituzione di un fondo immobiliare che gestisse gli edifici da alienare?

Probabilmente, tutto ciò non interessa a nessuno, specialmente al corpo docente muto e latitante. Tuttavia, ho deciso di riprendere a scrivere, seguendo l’insegnamento del molfettano Gaetano Salvemini: «Fa’ quel che devi, accada quel che può». Intanto, sulla colonna di destra, cliccando sulle figure, si potranno rileggere articoli fondamentali per capire la «prepotente urgenza» che impone, a noi tutti, di affrontare immediatamente le questioni strutturali di un ateneo dal glorioso passato, tra le quali, la voragine nei conti e il dissesto etico.

Articolo pubblicato anche daIl Cittadino Online (20 febbraio 2014) con il titolo: «Serve ancora parlare della malagestione dell’ateneo senese?»

Al Politecnico di Milano imparino dall’Università di Siena, prima in tutto: sì ai corsi full english ma usando l’italiano

Maria Agostina Cabiddu

Maria Agostina Cabiddu

Politecnico: Azzone insiste sull’inglese (Il Mondo 6 dicembre 2013)

Fabio Sottocornola. Le acque tornano agitate al Politecnico di Milano sulla vicenda del full english, cioè l’obbligo di usare l’inglese nei corsi di laurea magistrale e dottorati dal novembre 2014: una bandiera per il rettore Giovanni Azzone. Che però nel maggio scorso ha perso una prima battaglia al Tar, promossa da 100 professori guidati da Maria Agostina Cabiddu, che non vogliono rinunciare all’italiano. Immediato il ricorso, presentato dal Magnifico al Consiglio di Stato, che dovrà decidere il prossimo 11 marzo. Nel frattempo, che cosa succede in università? Tutto deve rimanere congelato e nessuna decisione andrebbe presa, almeno fino al termine dell’iter giudiziale, dal momento che il Tar ha annullato le deliberazioni dei vertici. Eppure, in queste settimane, Azzone sta girando nei consigli dei corsi di studio dove incontra i coordinatori: sono 38 per le lauree magistrali (il cosiddetto +2), a riporto delle sei school del Politecnico. L’obiettivo del rettore è spingerli a far approvare, a livello dei corsi, il passaggio al full english. Che potrà così apparire come una richiesta della base, da ratificare nelle singole school di riferimento e in ultima istanza nel Senato accademico. C’è chi sostiene che il numero uno dell’ateneo si sarebbe spinto fino a promettere incentivi e risorse a favore dei programmi che scelgono l’inglese, ma non ci sono conferme o delibere scritte. Più definiti appaiono invece gli orientamenti tra i docenti: l’area architettura e design è per l’inglese; variabile la situazione a ingegneria, dove sposano il full english gli energetici; i meccanici sono a favore dell’italiano; indecisi i gestionali. Per questa via, sicuro sarà il pantano nel quale finirà il Politecnico se a marzo arrivasse la seconda bocciatura dei giudici. Azzone intanto non fa passi indietro né cerca soluzioni intermedie, anche se perde per strada vecchi e influenti sostenitori, come il suo maestro Umberto Bertelè e Giampio Bracchi, sempre più freddi sulla questione.

Sentenza N. 01348/2013 del TAR Lombardia

A Siena è nato un altro blog non allineato: “Bastardo Senza Gloria”

Bastardosenzagloria

Accogliamo con grande soddisfazione la nascita del blog di Carlo Regina “Bastardo Senza Gloria”. Di seguito, il suo primo post.

UN ABBRACCIO

Bastardo senza gloria (Carlo Regina). Esiste un tempo nel quale si può anche stare ai margini della battaglia, esiste poi anche un tempo in cui non si può sfuggire alle proprie paure e quindi bisogna raccogliere tutte le forze, esiste poi, inoltre, un tempo, dove tutto diventa relativo e l’unica cosa che conta e ti fa avanzare uno spazio dopo l’altro, sono quei dieci, venti secondi in cui torni  al tuo primordiale desiderio di essere semplicemente quello che sei. Il tuo carattere è il tuo destino.

Per quelli che pensano di omologare il pensiero altrui e di ristabilire le regole del “groviglio armonioso senese”, sappiano che si sbagliano e da queste pagine, che altro non sono che una interfaccia di donne e uomini liberi, troveranno una diga invalicabile. Se noi non basteremo, altri verranno dopo.

Colgo l’occasione di questo primo post, per ringraziare la redazione di Fratello Illuminato, la quale mi ha concesso il privilegio, anche se solo “virtuale”, di contribuire con i miei scritti e per la quale ho stima ed ammirazione incondizionati. Saluto tutti gli amici “blogger”, vale a dire il coriaceo Federico Il Santo, l’inossidabile professore Ascheri l’Eretico, quella gran persona del professor Giovanni Grasso con “Il senso della misura”, porgo i miei omaggi alla testata giornalistica del Cittadinoonline e al suo direttore dott.ssa Raffaella Zelia Ruscitto. Io vi sono grato.

Un pensiero particolare va a C.R. (non si tratta chiaramente di me), siccome siamo vasi comunicanti e dal legame indissolubile.

Mi chiamo Carlo Regina e sono Bastardo Senza Gloria, questo sarà il mio blog.

Un abbraccio

La risposta di un cervello in fuga a chi si autodenuncia per i concorsi universitari truccati

Massimo Ragnedda

Massimo Ragnedda

Lettera aperta al Prof. Zeno-Zencovich sulla corruzione accademica in Italia

Massimo Ragnedda. Illustre professor Zeno-Zencovich, ho avuto modo di vedere l’intervista che ha rilasciato a Il Fatto Quotidiano circa i concorsi universitari in Italia e mi sento in dovere di ringraziarla. In realtà non ha detto niente di nuovo, tutti conosciamo l’inutilità dei concorsi universitari italiani, il sistema antidemocratico della cooptazione e la farsa concorsuale. Ciò nonostante, e lo dico senza ironia, mi sento comunque di ringraziarla per avermi fatto capire, una volta di più, che la mia dolorosa decisione di abbandondare il torbido mondo accademico italiano sia stata, per me, la scelta giusta. L’ho capito, in realtà non ve ne era bisogno, sentendo le sue parole e il suo modo baronale di ragionare. Non parlo della sua lettera ironica, che a tratti ho trovato anche divertente e intelligente, ma della sua intervista. Mi permetta, poiché sono parte in causa, solo alcune precisioni.

Ho partecipato a decine di concorsi universitari in Italia e, come dire, ho una certa conoscenza della materia: un’esperienza, se permette, acquisita sul campo. Ho sempre saputo con larghissimo anticipo il nome del vincitore. Sapevo, pertanto, che si trattava di una perdita di tempo, sapevo che era uno stress e un notevole dispendio economico (soprattutto per un precario), sapevo che era umiliante presentarsi a concorsi dove i commissari neanche ti ascoltano: il loro compito non è selezionare il più bravo, ma scrivere nero su bianco che il “prescelto” è il più bravo. I concorsi sono una farsa, una presa in giro, un modo per umiliare gli altri candidati che non hanno santi in paradiso. Sapevo tutto questo, eppure Professore, da ingenuo e testardo sognatore, non volevo arrendermi alla realtà. Realtà che lei ha egregiamente sottolineato. Mi è addirittura capitato di partecipare ad un concorso il cui colloquio si è tenuto nello studio di una delle candidate, studio che condivideva con uno dei commissari. Lascio a lei immaginare chi ha vinto.

Il merito è l’ultimo dei criteri che viene preso in considerazione. D’altronde, si chiede, cosa è il merito. Un libro è come un vino, un film e pertanto può piacere o no. È il barone, ovvero il docente che si sente padrone del proprio territorio (il proprio Settore Scientifico Disciplinare), che deve decidere. Voi baroni, con quell’atteggiamento padronale, avete potere di vita e di morte (vitae necisque potestas) sui candidati, decidete chi deve andare avanti e chi no. E non sempre, perlomeno parlo dei casi che conosco, queste scelte si basano sul merito. Si tratta di accordi tra le diverse baronie (io piazzo il mio cavallo da te e tra qualche anno tu puoi piazzare il tuo da me), di familismo, di parentele, di amanti o di semplici lecchini che hanno conquistato, con varie tecniche, il “cuore” del barone. Ho già denunciato l’ultimo concorso farsa al quale ho partecipato. Criteri così specifici (cosa che cozza con i “principi enunciati dalla Carta Europea dei Ricercatori”) che mancava solo il nome del vincitore. Facile vincere così. Un po’ come tirare un rigore a porta vuota, e magari si esulta anche credendo di aver fatto un bel goal: c’è proprio da esserne orgogliosi. È il barone che sceglie sulla base di suoi personalissimi criteri che niente hanno a che fare con una selezione pubblica per titoli e colloquio.

Lei dice: “il processo di cooptazione esiste in tutto il mondo”. Vede Professore è troppo intelligente da non capire la differenza tra il sistema di reclutamento nelle Università anglosassoni e quello feudale italiano. La cooptazione italiana rappresenta uno strumento di perpetuazione del ristretto gruppo dominante che segue regole non democratiche. Vede Professore, io non so quale sia la sua esperienza all’estero ma le posso parlare della mia, che poi è simile a quella di tanti troppi docenti fuggiti dall’Italia. Io ho vinto un concorso pubblico, aperto a tutti, in una Università nella quale non conoscevo nessuno: non conoscevo il direttore del Dipartimento (che nel frattempo è cambiato) né conoscevo quelli che oggi sono diventati i miei colleghi. Ho vinto quel concorso dopo essere stato selezionato, solo sulla base del curriculum, per il colloquio e dopo aver superato ben quattro prove: lezione di fronte agli studenti (anche loro esprimono un giudizio), lezione di fronte ai futuri colleghi, intervista con i responsabili della ricerca e colloquio con gli executives. La lettera di referenza (reference letter), cosa ben diversa dalla raccomandazione italica, è solo l’ultimo passaggio e ti viene chiesta solo se vieni selezionato. Non prima. Io stesso ho fatto parte di alcune commissioni giudicatrici e non ho mai ricevuto telefonate che potessero influenzare la mia valutazione e nell’esprimere il mio giudizio mi sono basato solo sul curriculum che avevo davanti a me e sulla performance del candidato/a. Posso aver sbagliato nel giudicare (siamo essere umani) ma io ho scelto senza dover ascoltare il “consiglio”/raccomandazione di qualcuno. Ho scelto, nel bene e nel male, da uomo libero.

Mi permetta, infine, di soffermarmi su altri due passaggi nella sua intervista che mi fanno riflettere. Lei dice: “tutti hanno un professore di riferimento”. Quel professore di riferimento è il “padrino accademico”, il “barone” capace di farti vincere il concorso, capace di negoziare e ottenere un posto per te, presiedere la commissione e dire agli altri membri: questa è casa mia e qui comando io. Ha ragione, in Italia hai bisogno di un “padrino” per vincere, all’estero no. Io non ho padrini, io non ho professori di riferimento (cosa diversa sono i docenti che stimi per la ricerca e con i quali ti confronti sui contenuti), io non ho baroni verso i quali mostrare eterna riconoscenza. E qui arriviamo all’ultimo passaggio della sua intervista, l’aspetto che a me più di tutti ha colpito: “quando sono stato sotto concorso – lei dice – devo ringraziare chi ha espresso giudizi nei miei confronti”. Ovvero, mi permetto di interpretare così le sue parole, deve ringraziare chi l’ha fatta vincere. Io, invece, non devo ringraziare nessuno, ma non perché sono ingrato, ma perché devo la mia vittoria ad una sola persona: me.

Ed è per questo che mi sento di ringraziarla per l’intervista che ha rilasciato. Perché, sentendola, ho capito che per uno come me, in Italia non c’è posto. Io non voglio dipendere “da lei” o da un suo collega, io non voglio sentirmi riconoscente a vita per i progressi o la promozione di carriera. In altri termini, io non voglio dipendere da nessuno che non sia il merito. Voglio lavorare duro, dare il massimo e non pensare a come “ingraziarmi” il beneplacito di vossignoria. Voglio che la mia carriera dipenda sempre e solo da me, dal mio lavoro, dal mio merito e dal mio impegno. In Italia è molto più importante chi conosci che cosa conosci. Vede Professore io non mi sento in debito verso nessuno e non mi umilierò mai a fare l’anticamera dell’ufficio del barone di turno per chiedere di vincere un concorso. Ecco perché la ringrazio della sua intervista, perché per quanto mi manchi la mia terra (figuriamoci, sono sardo), i miei affetti, non mi manca affatto questo modello feudale di reclutamento. L’Italia non è un paese per ricercatori/docenti liberi e io, caro Professore, ci tengo troppo alla mia libertà per negoziarla con un posto all’Università.

Malauniversità e azioni giudiziarie temerarie

Aldo Schiavone

Aldo Schiavone

Schiavone in rete rischia l’autogol (da: Il Mondo, 18 ottobre 2013)

Fabio Sottocornola. Una bella mattina dello scorso luglio la professoressa Lucia Lazzerini di Firenze si è vista notificare un atto di citazione in giudizio per diffamazione. A muoverle contro, intentando una causa civile, è Aldo Schiavone, ex direttore del Sum, la scuola pubblica per dottorati, che oggi è imputato con le accuse di peculato, abuso d’ufficio e truffa per le cosiddette spese pazze dell’istituto. Cioè, secondo i magistrati, viaggi in giro per il mondo giustificati con «fittizi incontri istituzionali», cene e pranzi «per svariate ragioni personali», regali per un totale di tre milioni di euro e 1.500 note spese con voci considerate irregolari. Per la cronaca, il processo che doveva aprirsi l’8 marzo scorso non è ancora partito, di rinvio in rinvio. Ultimo, quello di venerdì 20 settembre, causa sciopero nazionale degli avvocati. Tutto rimandato al 19 febbraio 2014. Eppure, di fronte a questo scenario, Schiavone si dice diffamato da Lazzerini, è amareggiato, lamenta di avere subìto un danno personale e familiare. Che cosa avrebbe combinato la docente di filologia romanza, oggi in pensione? Tra il 2006 e il 2011 ha animato un sito internet (Ateneopulito) fortemente critico verso il Sum. Vi si trovavano notizie, indiscrezioni, prese in giro. Per esempio sull’idea, sostenuta allora da Schiavone, di questa accademia come «rete di atenei» da Firenze a Napoli, da Bologna a Siena. Puntuali dal sito fioccavano gli accostamenti tra reti e retate. Ironie, appunto. L’ex direttore non ha gradito e chiede i danni. Ma forse dimentica che gli ultimi articoli sul sito sono usciti addirittura 24 mesi fa. E così la sua querela rischia l’autogol. Ma è in linea con una tendenza in atto, almeno in Toscana. La sua storia segue di pochi mesi la denuncia di Angelo Riccaboni, rettore di Siena, contro Giovanni Grasso, ordinario di medicina e animatore di un blog (Il senso della misura), critico verso la gestione dell’ateneo dal buco record in bilancio.

I concorsi universitari pilotati fanno ancora notizia?

Un concorso universitario

Un concorso universitario

Un docente del nostro Ateneo mi ha segnalato un articolo di cui riporto titolo e link: Cardiologia, concorso scandalo alla Sapienza. “Ecco i vincitori”, già noti un mese prima, “la Repubblica” 19 settembre 2013.

Il professor Fedele: “Concorso pilotato? A parità di cavallo scelgo quello che conosco”, la Repubblica 19 settembre 2013.

Può darsi che episodi del genere facciano ancora notizia nel resto del Paese; di sicuro non a Siena, purtroppo!

Università: facoltà di barare

MariaChiaraCarrozzaUniversità, facoltà di barare. La classifica degli atenei è fuffa (La Notizia giornale, 2 agosto 2013)

Andrea Koveos. È recente l’uscita della prima classifica delle università italiane redatta da Anvur, l’agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca; l’ente pubblico, vigilato dal Ministero dell’istruzione, che ha il compito di valutare gli atenei statati e privati destinatari di finanziamenti pubblici. Peccato che quella classifica sia piena di buchi e priva di un fondamento scientifico degno di questo nome. Come ha scoperto e dimostrato la rivista Roars c’è più di qualcosa che non va, a cominciare appunto dalle cifre. Andiamo per ordine. I dati sulle pagelle degli atenei che Anvur ha diffuso alla stampa sono diversi da quelle desumibili dal rapporto finale. 
La duplicazione delle classifiche sembra essere un tratto distintivo di questa prima graduatoria: infatti, anche le classifiche dei dipartimenti diffuse alla stampa non trovano riscontro nelle relazioni finali degli esperti della valutazione. Anomalie che trovano conferma in un comunicato dell’Anvur che annuncia aggiornamenti, motivati dalla necessità di sanare le incongruenze tra le diverse classifiche dei dipartimenti attualmente in circolazione. Un vero e proprio pasticcio accademico a cui il direttore dell’agenzia, Roberto Torrini, cerca di metterci una toppa: “In maniera erronea, si è creata confusione. Era di più facile comprensione per la stampa. Si tratta di una preassegnazione dei fondi ministeriali tra le 14 aree disciplinari che hanno partecipato alla valutazione della ricerca. Essere primo, secondo o terzo in queste classifiche non conta nulla a meno che il ministro decida di dare tutti i fondi ai primi cinque atenei” (forse non conterà nulla, ma allora perché spendere centinaia di milioni di euro – 300 secondo alcune stime – per uno studio se alla fine non conta nulla chi vince?)

Le contraddizioni.
 Sta di fatto che le due classiche, quella fornita ai giornalisti e quella ufficiale pubblicata sul sito, ha prodotto una confusione megagalattica. Alla stampa è stata consegnata una graduatoria con tanto di bollini verdi per gli atenei «virtuosi» e bollini rossi per quelli “non virtuosi”. Nel rapporto ufficiale invece emerge un altro scenario, dove dodici atenei si scambiano il posto. Per alcuni giorni si è creduto che atenei come quelli di Pisa, Modena e Reggio Emilia, Parma e Camerino fossero finiti dietro la lavagna, mentre in realtà meritano la sufficienza piena. Viceversa, Roma Tre e Tor Vergata, Macerata e Napoli Orientale, Bergamo, l’università per stranieri di Siena e quella di Castellanza che la stampa ha creduto “virtuose”, nella relazione finale sono da bollino rosso. Nella categoria piccoli atenei il Sant’Anna di Pisa, diretto sino a poco tempo fa dall’attuale ministro Maria Chiara Carrozza ha ottenuto sui giornali la prima posizione per scienze agrarie e scienze politiche, seconda per ingegneria e per area economica e statistica. Nella relazione Anvur, quella pubblicata sul sito, però è solo quinta.

Cosa succede all’estero. L’agenzia di valutazione inglese, che può vantare una consolidata esperienza nel settore, si rifiuta categoricamente di fornire classifiche di atenei e di dipartimenti. Esistono, infatti, basilari ragioni tecniche che sconsigliano di avventurarsi su questo terreno, prima fra tutte la difficoltà, se non l’impossibilità di confrontare istituzioni di dimensioni diverse. Ed è proprio su questo punto che l’anvur è inciampata, dal momento in cui le classifiche in contraddizione tra loro nascono proprio dall’uso di diverse definizioni dei segmenti dimensionali che contraddistinguono atenei o dipartimenti piccoli-medi-grandi. 
La produzione maldestra di classifiche che si smentiscono a vicenda mostra la fragilità di questo strumento, poco o per nulla scientifico, e mette a nudo le carenze scientifiche e culturali del consiglio direttivo dell’agenzia. Sarebbe sufficiente questo per mettere una pietra sopra la volontà di stilare classifiche. La cosa certà è che quelle elaborate da Anvur sono poco significative perché dipendono dalle dimensioni degli atenei e da molti fattori che misurano la capacità di attrarre risorse esterne o di istituire collegamenti internazionali ad esempio. Aldilà delle pagelle, dei promossi e dei bocciati chi davvero decide a chi distribuire le poco risorse disponibili è solo la politica. La stessa che ha creato l’Anvur e la stessa che ne ha nominato i componenti.

I trucchi dell’Anvur e le classifiche alterate per accaparrarsi fondi e studenti

DeNicolaoUniversità, il bluff della classifica Anvur

Il Secolo XIX del 26 luglio 2013. A smascherare la classifica dell’Anvur è stato il gruppo di ricercatori e docenti che anima Roars, il più seguito sito dedicato all’università . Da sempre critico nei confronti degli esperti dell’Anvur – definiti «bricoleur della valutazione»- Roars mette in guardia contro le conseguenze di quegli errori. Le classifiche date in pasto ai giornali saranno brandite, scrive Roars, «all’interno di ogni ateneo da parte dei gruppi che aspirano ad accaparrarsi fondi di ricerca e soprattutto punti organico». E influenzeranno, a settembre, le iscrizioni alle università.

Sergio Benedetto, responsabile della classifica dell’Anvur, parla di equivoco e spiega: «Delle due valutazioni abbiamo scelto di dare ai giornalisti quella che usa l’indicatore più semplice, non contestabile». L’altra, quella contenuta solo nel rapporto, si basa invece su «indicatori poco definiti» e quindi esposti a critiche. «Non c’è stato alcun trucco», sottolinea Benedetto. Il trucco c’è stato eccome, insiste Roars. Giuseppe De Nicolao, professore di analisi dei dati all’Università di Pavia e tra i redattori del sito, lo illustra così al Secolo XIX: «Una delle due classifiche riguarda solo la ricerca, l’altra tiene conto anche di altri fattori, come la capacità di attrarre finanziamenti. Nella conferenza stampa del 16 luglio e nelle cartelle date ai giornalisti, sono state alterate tutte e due. Sia, in un caso, usando formule matematiche diverse, che hanno in parte modificato il risultato, “promuovendo” atenei che nel rapporto finale risultano “bocciati”. Sia, in entrambi i casi, modificando le linee di confine tra atenei grandi, medi e piccoli. Ma quelle linee di confine sono decisive e devono rimanere fisse. Se le sposto, è ovvio, altero il risultato. Ed è quello che è accaduto».

Un Gattopardo all’università di Firenze

Nepotism

Ateneo, la deroga strizza l’occhio al nepotismo (Da: “la Repubblica” Firenze, 8 luglio 2013)

Franca Selvatici. L’università di Firenze ha adottato il Regolamento dei dipartimenti il 23 luglio 2012, ma già ha ritenuto di doverlo modificare. In particolare Senato accademico e Consiglio di amministrazione hanno introdotto alcune deroghe in materia di mobilità interna fra dipartimenti. E poiché – come ha ha autorevolmente insegnato Giulio Andreotti – a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina, alcuni docenti si chiedono se le modifiche al Regolamento non abbiano una qualche relazione con le imminenti decisioni relative alla abilitazione scientifica nazionale, il nuovo sistema di reclutamento introdotto dalla riforma Gelmini con l’obiettivo di contrastare il nepotismo. Vediamo.

In materia di mobilità interna, il Regolamento adottato il 23 luglio 2012 stabilisce che, una volta scelto un dipartimento, docenti e ricercatori non possano chiedere di trasferirsi in un altro prima di tre anni. Ed è quasi impossibile, salvo casi eccezionali, che un docente o un ricercatore possa passare in un dipartimento in cui manchi il settore scientifico disciplinare a cui appartengono: per esempio, un docente di lettere a medicina, un ingegnere a filosofia. Le modifiche approvate, invece, consentono a professori e ricercatori di presentare domanda di trasferimento da un dipartimento all’altro anche prima dei tre anni, purché nel nuovo dipartimento sia presente il loro settore scientifico-disciplinare: per esempio i trasferimenti sono possibili fra i vari dipartimenti di medicina o fra scienze giuridiche e scienze politiche e così via. Nel caso in cui il trasferimento sia chiesto verso un dipartimento in cui non siano presenti altri docenti dello stesso settore scientifico-disciplinare, il nuovo regolamento lo consente verso il dipartimento che abbia il maggior numero di settori affini.

È possibile che queste modifiche siano state studiate per rendere meno ingessata l’organizzazione di ateneo. Ma potrebbero rivelarsi utili anche per i docenti i cui figli abbiano affrontato la Abilitazione scientifica nazionale e si attendano di essere dichiarati idonei. L’idoneità è una condizione necessaria ma non sufficiente per avanzare nella carriera universitaria. Occorre, infatti, essere chiamati da un dipartimento di un ateneo. Ma la legge Gelmini e (sia pure in maniera assai timida) anche il codice etico dell’ateneo fiorentino non permettono le chiamate di «docenti con un grado di parentela o affinità fino al quarto grado con un professore del dipartimento che effettua la chiamata». Con il rischio, quindi, che alcuni figli, pur avendo conquistato l’idoneità, non vengano chiamati da nessuno, perché graditi solo nel dipartimento in cui lavorano il padre e i docenti a lui vicini (magari beneficiati in passato da concorsi compiacenti). Ecco quindi la possibile soluzione. Il padre chiede il trasferimento in altro dipartimento e i docenti suoi amici chiamano il figlio. Nei prossimi mesi si capirà quanto siano fondate queste maliziose previsioni.

Giornata di sciopero dei bloggers senesi

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Abbiamo assistito negli ultimi mesi ad attacchi e speculazioni vergognose al solo fine di delegittimare l’opera di libera informazione dei bloggers. Non si è esitato a cercare di strumentalizzare eventi tragici che meritavano e meritano rispetto, pur di conservare le proprie posizioni di potere ed il ruolo di unici divulgatori dell’accomodante verità divulgata dal Potere.

La Magistratura ha fatto un lavoro encomiabile, ma, da parte di una certa stampa sia nazionale che locale, si tende a minimizzarne i risultati per attutire l’impatto politico e sociale della verità sul modo con cui è stata gestita la città tutta, e la sua primaria fonte di reddito (Mps) in particolare.

Il tentativo d’intimidazione si è volto anche ad utilizzare gli strumenti legali: l’azione penale è obbligatoria, ma non si può fare a meno di distinguere fra ipotesi di reato ed ipotesi di reato, fra cause ed effetti, fra miliardi di euro volatilizzati e presunti reati d’opinione.

La cattiva coscienza di molti e la responsabilità di un’intera classe dirigente (politica e finanziaria), unita alla quasi totale assenza d’informazione, ha permesso di nascondere per anni i comportamenti che hanno inquinato la società senese.

Se a Siena, piaccia o meno la cosa, si è avuto modo di conoscere fatti e circostanze di grande importanza per la comunità senese tutta, ciò si deve anche – e soprattutto – al lavoro dei bloggers.

Oggi si tenta l’ennesima grande mistificazione cercando di stravolgere la realtà e trasformando i colpevoli in vittime.

Per questo motivo oggi, 28 giugno, è indetta un’astensione per una giornata di tutti i bloggers che hanno criticato il Potere, a tutela della libertà e della verità dell’informazione.

Raffaele Ascheri (Eretico di Siena)

Federico Muzzi (Il Santo Notizie di Siena)

Carlo Regina (Bastardo senza gloria)

Giovanni Grasso (Il senso della misura)

Chiunque voglia aggiungere la sua firma, è ben accetto